«In un tappeto d’acqua / ricamo i miei giorni, / i miei dèi e i miei malanni. / In un tappeto di verde / ricamo i miei dolori rossi, / i miei mattini azzurri, / i miei borghi in giallo e le mie fette di pane e miele». Con queste parole Thomas Bernhard (in Sotto il ferro della luna, trad. di Samir Thabet, Crocetti 2020) cantava la tensione estatica della propria umana impermanenza, le primavere e gli inverni del cuore, i bagliori e le afflizioni del proprio essere vivo. Questi aspetti, ma non soltanto, risuonano nell’ultima prova poetica di Franca Alaimo, 7 poemetti, che con «spiccata vocazione creaturale», nella «sinuosa sensualità del dettato» – come sottolinea sapientemente Rosadini in prefazione – ci accompagna, tra delizie e tremori, in un cammino poetico e meditativo di rara intensità. C’è una fanciullezza intatta, serbata con tenera caparbietà nei versi di Alaimo, nel lasciarsi lambire dalla bellezza e dalla ferocia, dall’ossimoro che tutto intride e illumina. Nel fraseggio prende forma la sismografia di uno scuotersi continuo dell’universo, tra inciampi e recessi in cui s’annida il patito e il mancato di un’anima – poetessa e Donna – che, per serena scelta di vita, fa di ogni mattino un battesimo, e di ogni dolore una gemma. «Dall’inizio del mondo occhi minuscoli / guardano i boschi / e raccontano ciò che sanno, cantando la bellezza della luce»: questa del pettirosso è la postura della poetessa, che si fa cosa piccola, dilatata in visione e ascolto, tanto da percepire, per propria proiezione, un mondo pieno di innocenza. «Tutto sogna quando cade: / i rami sull’erba, i nidi dai rami, / le piume dai nidi così leggere, / leggere più dell’aria»: eccola, l’essenza del nostro essere qui: in caduta lieve dal sogno di Chi forse ci ha desiderato, sulla superficie della Terra, imperfetti e dolenti, ma accesi e salvi, se ancora siamo abili a sentire, accogliere «qualcosa, / più lontano, che piange o che canta». Ci sono istanti nei quali tutto è in bilico: in ciascuna morte o profanazione del corpo è oltraggiato il sacro che pulsa nei viventi, nella furia «muore / la grazia del mondo e comincia la barbarie». La piccola creatura «umile come una tana / profumata come un vaso di unguenti» freme al ricordo della «madre-rosa», e il dolore dissolve solo in territori aerei e pacificati, dove il giorno si disincarna, e c’è «un cuore senza peso, un tempo senza mesi». È il libro della premura e dell’incanto questo di Franca, in cui la purezza di un azzurro ancora assopito in perfezione attraversa le opere e le creature terrestri, e si ridà in pienezza, radiante di ogni nostra pena e tumulto. Nel cuore nudo e commosso, pronto al mondo «per chissà quale fedeltà», nel nitore di una pietas che vibra dell’essenza stessa dell’esser vivi, la poetessa esperisce l’ardere inquieto, l’impeto che brama trascendenza, ma si eleva in umanità perfetta: riposta l’afflizione, volteggia nel chiarore. È un tempo circolare quello di Alaimo, il tempo di Eliot, dello stesso Bernhard; ma c’è, nello struggersi dell’anima poetica, ferita dalla propria caducità, una continua adesione avvinta, rapita, se pur a tratti sofferta, al ritmo e al senso del tutto, che chiama ed evoca spiritualità numinose, tutelari: «Vengono sempre gli dèi sciolti nell’aria, / nel sole, cadendo tra le dita, soffiano gioie / con i venti d’Oriente ed Occidente». Lo si sente nel vento, nel ronzare delle api, il canto della vita, mentre una natura splendente e segreta attraversa il nostro spasimo di creature tangibili e manda presenze alate, l’annuncio di un divino che diviene pietoso, rispondente. La creatura al cospetto del reale è continuamente toccata e riplasmata, commossa a flussi che divengono visioni, sogni, inventari di conforto e di rovina, nell’innocenza feroce che, come nell’occhio alla tigre, tutto ritma e pervade; ma, nel ruotare impietoso degli anni, nel curvarsi a ponente dei giorni, nel sapere lo scorrere, il divenire dei cerchi del tempo, Alaimo si ridà alla luce in interminate vie, in cui nuove infanzie spargono «semi / per vedere come crescono i fiori», e hanno occhi inermi e spalancati in rotondo stupore, radiosi nel «sorriso purissimo / di chi ricorda i cieli prima del cielo». Questo dischiuso assenso, che apre al corso degli eventi, è sensibile, devoto al soffio vitale delle altre anime, e scende nel mondo disciolto in diligenza e cura: Franca conosce l’altro, e abita il dono, anche letterario, con la grazia di chi esprime una matrice profonda, identitaria: «Tacitamente stanno sullo scrittoio / cumuli di libri aspettando che le parole / siano raccolte come fiori / da coltivare nell’acqua dell’anima»; come chiamano, questi versi, un cenno di Hölderlin: «Così è l’uomo; se c’è il bene, e tramite doni / un dio stesso ha cura di lui […] ora, ora possono sorgere, come fiori, le parole» (in Poesie scelte, a cura di Susanna Mati, Feltrinelli 2018). Rosadini nota come in Alaimo il dolore sia «strumento di cognizione di sé e del mondo», che «spalanca la possibilità […] di attraversarlo rovesciandolo nel contrario». E davvero c’è un dolore garbato, messo a frutto, nel canto di Franca: nella reazione alchemica, ancora una volta, amore si fa sostanza e formula, si fa soluzione e scelta: un offrirsi tenero ed eletto, un conservarsi celeste che risorge da ogni nostra sconfitta, da ogni oscurità, portando luce: «l’ostia della luna / si scioglie sulla lingua del sole. / La notte si sfarina /in impalpabile chiarore».

da 7 poemetti (Interno Libri Edizioni 2022)

In: Non siamo che un ghirigoro
                                               per Ignazio Apolloni

[…] Ronza l’amore come un’ape.
Con dolcezza lei reclina il collo quando
lui la bacia là dove si curva
l’epidermide sul battito del sangue.
Il caldo sale fino alle orecchie
che profumano di fiori.
I lobi hanno il vermiglio del corallo.
Ti sento fino al midollo – dice lui.
Mi sono spalancata – dice lei.
Ci sono sempre due corpi
che vanno incontro ad un altro
come ad un radioso ornamento:
l’amore liscio come un ciottolo
levigato dal liquido amniotico
per nove mesi a tutto tondo.
Partorito con quell’odore di fresco
che fa la vernice della vita
soltanto il primo giorno.
Oh, benevolmente benvenuto a te,
corpo nuovissimo che non parli,
a te che non cammini,
non hai capelli né denti,
ma soltanto il sorriso purissimo
di chi ricorda i cieli prima del cielo. […]

In: La casa degli addii

[…] Io tenevo gli occhi chiusi.
Ad occhi aperti tutto mi faceva male.
I giorni ruotavano attorno al perno delle stagioni
come piccoli frutti voltati e rivoltati
dalla mano sul loro picciolo.
E adesso sono caduti
come tutte le cose dell’attraversamento
come argini dissolti dell’avanzamento
di un fiume vertiginoso.
Vengono ad una ad una le immagini,
i suoni e i profumi con un tremolio d’aureola
come da un’infinita distanza.
Il ronzio incessante delle api
insiste nel silenzio per rammentare
che perfino la morte canta
con i crepitii del disossamento
e i colori guasti della dissoluzione,
che la Voce dell’Universo è una fiamma accesa
dall’autocombustione del tempo. […]

Veniva il fiato caldo dell’estate
a tormentare i fiori,
a svaporare in sudore
il lamento del corpo solitario.
E nella notte di San Lorenzo
distesa su un’asse di legno
che raschiava le scapole come una croce
raccoglievo negli occhi la mappa delle costellazioni
attendendo il cadere fiammante delle stelle
per dire a Dio: eppure com’è tutto bello,
come riluce la morte, lo schianto, l’urto tra cielo e terra!
Cose che adesso pronuncio
con chiarità, senza paura.
Cose che hanno la fissità dell’accaduto
e risuonano in uno spazio tiepido dove
le dita le sfiorano senza più bruciarsi.
I miti delle felicità più remote nel tempo
mai più ritornano, non si voltano indietro.
Perse così per sempre Orfeo
la sua bella Euridice.

Lettori

Chi legge come capirà ciò che legge? L’albero all’oriente, l’occhio del passero colmo di stupore e la luna (la mia) sono movimenti di suoni nel sangue. In questo momento, il dolore estraniato di limoni contro la ringhiera bianca delle pagine vuote e la mano sopra i seni non ancora scritti. Oh, io ti vedo, bacio sui miei capelli! Bacio che non esisti.

Lo spazio-tempo

Mentre ero in dormiveglia giunse la dea delle rose. Con movimenti lenti portava l’ebbrezza del profumo all’altezza degli occhi. La mia vista ondeggiò prima di accoglierla. Poi, tutto accadde in un unico movimento: l’avvicinarsi della sua mano, la trasformazione della rosa nel tempo senza tempo e dei nostri occhi in uno spazio senza i limiti dello spazio. Prima di aver saputo tutto questo, morii e ritornai infinite volte.

Visi

Acqua di sorgente. Acqua delicata. Pieno di luce diventa luce, il tuo viso-specchio. Il mio volto cielo: pioggia che cade, nuvola cangiante. Visi fluenti come ruscelli, chiari come aria, attraversati da ombre e ali.

Franca Alaimo è nata a Palermo, dove vive. Esordisce come poeta nel 1991 con Impossibile luna, cui seguiranno altre diciannove sillogi, le più recenti delle quali sono: Sempre di te amorosa (LietoColle 2013), Traslochi (LietoColle 2016), Elogi (Ladolfi 2018), Oltre il bordo (Macabor 2020) Sacro cuore (Ladolfi 2020). Sul sito «La Recherche» ha pubblicato quattro e-book (tre sillogi poetiche e un epistolario). Ha collaborato con P. Terminelli nella redazione della rivista «L’involucro», con T. Romano in quella di «Spiritualità & Letteratura», e attualmente con Maggiani e Brenna, direttori della rivista on-line «La Recherche». Ha tradotto due brevi sillogi di Peter Russell. Ha pubblicato saggi sulla poesia di Domenico Cara, Tommaso Romano, Gianni Rescigno. Luciano Luisi, Franco Loi, l’Antrigruppo siciliano, Vira Fabra, e ha scritto centinaia di recensioni per poeti contemporanei. È presente in molte antologie (Newton Compton, LietoColle, Aragno, l’Arca Felice) e riviste (tra le quali, «Poesia» di Crocetti, «Atelier», «ItalianPoetry Review», «Il Portolano»). Nel 2019 le è stato dedicato il primo volume dell’opera Italia insulare. I poeti. Vol. I. Franca Alaimo: «e d’improvviso il canto», a cura di Bonifacio Vincenzi (Macabor). Nel 2018 ha curato per l’editore Ladolfi, insieme a Antonio Melillo, l’antologia L’eros e il corpo. La sua prima antologia è uscita nel 2017 sul sito on-line «Bomba Carta», gestito da Liliana Porro e Elio Andriuoli. È autrice di tre romanzi: L’uovo dell’incoronazione (Edizioni Serarcangeli 2001); Vite Ordinarie (Giuliano Ladolfi Editore 2019) e La gondola dei folli (Spazio Cultura 2020). Alcuni suoi testi sono stati tradotti in varie lingue.

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