Dalla prefazione di Federico Donatiello

[…] Per il lettore italiano di poesia il nome di Mircea Ivănescu suona completamente nuovo e di difficile contestualizzazione. A parte un ristretto numero di componimenti presenti nella bellissima antologia di poesia romena del Novecento curata da Marco Cugno, non esistono, infatti, traduzioni italiane, nemmeno parziali, della sua opera. Così come non ne esistono in altre lingue di circolazione europea, a parte una recente antologia inglese. Eppure, non si tratta di una figura di secondo piano. Anzi, potremmo dire che Mircea Ivănescu è una delle voci più alte e importanti della poesia romena del secondo Novecento, ed è autore di indubitabile grandezza europea. La sua opera ha segnato un profondo rinnovamento ed una vera e propria svolta nella lirica romena degli anni Settanta e Ottanta (quelli più bui del regime totalitario), proponendo un percorso originale e personalissimo di scrittura, che, in molti casi, servirà da esempio per le giovani generazioni di poeti che si sarebbero affermate in Romania dopo il 1989. […] La scelta di Ivănescu è stata quella di un radicale e coraggioso cambio di passo: la sua poesia è narrativa e oggettiva, ha abbandonato completamente il linguaggio metaforico e sublime dei suoi contemporanei a favore di una lingua eminentemente colloquiale, priva di eccessi e preziosismi, eppure raffinata, con l’incedere tipico della conversazione colta borghese. Pratica a piene mani l’ironia e l’autoironia, l’understatement, la meta-letteratura. In contrasto con le forme liriche che si erano consolidate nella prassi modernista, predilige lavorare sulla sintassi, che assume per la prima volta nella poesia romena forme sviluppatissime, di chiaro orientamento prosastico, ricca di fratture, incisi, inarcature, che generano l’idea di un continuum privo di interruzioni marcate (con la conseguenza di spezzare continuamente la linea e l’afflato lirico dei suoi versi). […] Le poesie di Ivănescu prendono spesso come spunto iniziale una banale situazione legata alla vita quotidiana, successivamente sviluppata attraverso una narrazione neutra degli avvenimenti, volutamente incolore e attenta ai dettagli più futili. Lo stile uniforme e controllato, i giri spiazzanti della sintassi, l’enumerazione dettagliata e fredda fanno parte di una calcolata strategia tendente ad abbassare i toni e a disintegrare la dimensione sublime del linguaggio lirico. […] Il gusto per il gioco letterario di Ivănescu è […] sempre percorso da ombre più profonde, le sue ambigue combinazioni di riflessi, di specchi, di bagliori sono un ultimo tentativo di riconciliare, forse per l’ultima volta, vita e letteratura. […]

Dalla presentazione della casa editrice

Sin dall’apparizione della prima raccolta di Mircea Ivănescu, uscita nel 1968, la poesia romena non è stata più la stessa. Poeta dei gesti non eclatanti, riservato e “trasparente” nella sua ricerca di invisibilità sia nella vita reale che nella sua arte, Ivănescu ha proposto una “rivoluzione silenziosa”, introducendo nuovi modelli letterari che hanno anticipato la stagione postmoderna. Poeta dal linguaggio inconfondibile legato al quotidiano, ma anche all’artificio letterario, Ivănescu crea un vero e proprio “mondo di carta”, una continua e sorprendente variazione sul tema, che nasconde una riflessione sulla letteratura e sull’autenticità del vissuto, a tratti ironica, a tratti disperata. In questo mondo doppio, a volte indecifrabile, ma così vicino a noi, emerge la figura immaginaria di mopete, un alter-ego poetico di Ivănescu stesso, protagonista di una rossiniana comédie humaine, che alterna speranze, paure, rimorsi, depressione, donne angelicate, alcool e gatti.

da Altre poesie scelte (1968-1976) (Criterion Editrice 2020)

Anno in declino

L’autunno, certamente, può essere come in un’immagine a colori
di una rivista patinata (una pubblicità di sigarette,
in cui ti piacerebbe immergerti, tra alberi immensi,
con sopra piccoli fuochi crepitanti, innaturali, e tra l’erba
scivola, come un serpente rotondo, il gatto).
D’autunno fai bene ad uscire fino all’estremità del giardino
a spiare le lucertole sul muro arso dal sole,
e se volgi il capo un po’ all’indietro senti
come declina l’anno verso l’inverno –
e senti freddo. E dopo, con il gatto in braccio,
ti siederai alla finestra e guarderai
come il giardino scolora –

Anul în scădere

Toamna, desigur, poate să fie ca într-o imagine colorată
dintr-o revistă lucioasă (o reclamă pentru ţigări,
în care ţi-ar face plăcere să mergi, pe sub arbori imenşi,
cu focuri mici pâlpâind deasupra, nefireşti, şi prin iarbă
alunecă, asemenea unui şarpe rotund, pisica).
Toamna e bine să ieşi până în fundul grădinii,
şi să pândeşti şopârlele pe zidul fierbinte de soare,
şi dacă răstorni capul puţin pe spate simţi
cum se înclină anul spre iarnă –
şi ţi se face frig. După aceea, cu pisica în braţe,
să te aşezi la fereastră şi să priveşti
cum se decolorează grădina –

La poesia è altro?

In poesia non devi raccontare – ho letto
il consiglio dato a un giovane poeta – pertanto non racconterò
come lei si svegliasse molto presto la mattina e seduta sul bordo
del letto
aspettasse che le si calmasse il respiro con il volto tra le mani –
e non dirò nulla del suo viso talmente stanco
che le spalle le si incurvavano, davanti allo specchio, quando
si pettinava lentamente. E non confesserò le mie paure
vicino al suo viso estraniato, distolto da me.
Non camminerò con dei versi, come con uno specchio tra le mani
in cui si riflettono le mattine di luce cinerea
prima dell’alba. La poesia non deve essere rappresentazione,
serie di immagini – così sta scritto. La poesia
deve essere discorso interiore. Insomma,
dovrei essere sempre io a parlare del suo volto ansimante,
alla ricerca del proprio respiro? Ma sarebbe allora soltanto il
modo in cui io parlo
del suo volto, dei movimenti rallentati tra strati
di torbidi rimorsi, di pensieri esclusivamente miei,
della sua immagine – soltanto un volto, un’immagine –
e lei – allora, il suo vero essere?

Poezia e altceva?

Nu trebuie să povesteşti în poezie – am citit
un sfat către un tânăr poet – deci să nu povestesc
cum, foarte devreme, ea se scula dimineaţa, şi aşezându-se pe pat
aştepta să i se liniştească respiraţia, cu faţa în mâini –
să nu spun nimic despre chipul ei atâta de obosit
încât i se încovoiau umerii, în faţa oglinzii, când
se pieptăna încet. Să nu-mi mărturisesc spaimele
lângă faţa ei înstrăinată, întoarsă de la mine.
Să nu umblu cu versuri, ca şi cu oglinda în mâini
în care se răsfrâng acele dimineţi cu lumina cenuşie
dinainte de zori. Poezia nu trebuie să fie reprezentare,
serie de imagini – aşa scrie. Poezia
trebuie să fie vorbire interioară. Adică
tot eu să vorbesc despre faţa ei înecându-se, căutându-şi
respiraţia? Însă atunci ar fi numai felul în care eu vorbesc
despre faţa ei, despre mişcările încetinite prin straturi
de remuşcări tulburi, de gânduri doar ale mele,
ale imaginii ei – a fi numai un chip, o imagine –
şi ea – adevărata ei fiinţă atunci?

mopete nell’atmosfera intima

mopete una sera si è sistemato comodo
vicino al fuoco a leggere il giornale –
dietro di lui, la scala che porta in soffitta
crepitava quando la luce del fuoco conficcava le sue scintille
su di uno scalino. anche mopete frusciava
quando voltava pagina per seguire cosa vi fosse scritto
su questo o su quello. ogni tanto si annotava sui polsini
qualche idea, per poterla trascrivere più tardi,
quando sarebbe andato a dormire, sul muro sopra
il letto. accanto, sul tavolino, aveva la bottiglia e i bicchieri,
(aveva aspettato quella sera il suo
grande amico – ma non era venuto). aleggiava
sull’intera scena una tranquillità benefica.
il livello del liquido nella bottiglia scendeva di qualche palmo
rassicurante.

mopete în atmosfera lăuntrică

mopete s-a instalat într-o seară comod,
la marginea focului, să-şi citească gazeta –
în spatele lui, scara care suia la pod
trosnea când lumina focului îşi înfigea egreta
pe câte o treaptă. mai foşnea şi mopete
când întorcea foaia să urmărească ce scrie
despre una sau alta. din când in când îşi nota pe manşete
câte o idee, ca să poată mai târziu să o transcrie
când avea să se ducă la culcare, pe perete deasupra
patului. alături, pe măsuţă, avea sticla şi paharele
(îl aşteptase în seara aceea pe marele
lui prieten – dar nu venise). asupra
întregei scene era o linişte binefăcătoare.
nivelul lichidului în sticlă scădea cu câte o palmă liniştitoare.

perché ricordiamo

rovesciato sul divano, osservando come si infrangono
sul soffitto i suoni del pianoforte, dalla scatola accanto,
e senza colore si sperdono in aria. incapace
di pensare da qui in poi. questa
l’ho già scritta – come se l’intero tempo non fosse altro
che la ripetizione degli stessi, degli stessi pensieri
– e ricordi – e desideri. (e quando tenti di mutarli,
non rimane più nulla di vero. devi rimanere
immobile – per quanto velocemente tu possa fuggire dentro di te
e fuori,
ad ascoltare come si infrangono i suoni di allora,
gli spaventi di allora, sul soffitto. e per tutto il tempo, impaurito,
che nevichino invisibili luci su di te. e non puoi continuare
a pensare – a volte ti dimentichi
cosa sia stato. – tuttavia non ti allontani, che tu voglia
continuare a pensare più in là, e alla fine ricordare.)

de ce ne mai aducem aminte

răsturnat pe divan, şi privind cum se sparg
pe tavan sunetele pianului, din cutia de-alături,
şi fără culoare, pierzându-se în aer. fără să pot
să gândesc de aici mai departe. asta
am mai scris-o – ca şi cum n-ar fi toată vremea
decât repeterea aceloraşi , aceloraşi gânduri
– şi amintiri – şi dorinţe. (şi când vrei să le schimbi,
nu mai este adevărat nimic. trebuie să rămâi
nemişcat – oricât de tare-ai fugi în tine, în afară,
să asculţi cum se sparg sunetele de atunci,
spaimele de atunci, pe tavan. şi tot timpul, înfricoşat,
că ning, nevăzute lumini peste tine. şi nu poţi
să gândeşti mai departe – şi uneori uiţi
ce a fost. – dar tot nu treci mai departe, să vrei
să te gândeşti mai încolo, şi pe urmă să-ţi mai aduci aminte.)

i romanzi lunghi e freddi, come la coda di un ratto…

un tempo, tutto avviene da sé – la scena
in cui tutti si muovono con naturalezza, si rispondono
educatamente, si chinano a mettere la legna sul fuoco –
o qualche volta guardano dalla finestra, volgendo
agli altri le spalle – a dire se si è sciolta
la neve – la sera, gli uomini bevono uno o due bicchieri
di alcool forte, – lei si attarda, con le gambe raccolte
sotto di sé, all’angolo del letto, a leggere e con il gatto in braccio.
(il gatto fa le fusa), e, poi, d’improvviso, una sera
cambia qualcosa, impercettibilmente si scivola
in una irrealtà letteraria, come se, ad esempio, uno di loro
le chiedesse, all’improvviso, il permesso di baciarla sulla bocca.
e, per un motivo o per l’altro, lei, invece di sorridergli,
lo guardasse, soltanto, seria. da quel momento, le cose non sarebbero più
come prima. – vorrebbe dire che, la sera,
quello con gli occhiali inizierebbe a bere sempre di più,
e le mattine, di nuovo. e fuori si farebbe l’inverno sporco
della fine della vacanza – e il pelo del gatto
odorerebbe di cognac perché lui gli ha rovesciato, malignamente,
un bicchiere, di nascosto, sulla schiena. e il tempo
diventerebbe una confusione immobile, lunga
come la coda di un ratto – che il gatto, ora arrabbiato,
non avrebbe più voglia di catturare con la zampa.

romanele lungi şi reci, ca o coadǎ de şobolan…

un timp, totul urmează ca de la sine – scena
în care se mişcă firesc cu toţii, îşi răspund
cuviincios, se apleacă să pună lemne în foc –
sau câte o clipă privesc pe fereastră, întorcându-le
celoralţi spatele – să le spună dacă s-a mai topit
zăpada – seara, bărbaţii beau unul sau două pahare
cu alcool tare, – ea mai întârzie, cu picioarele strânse
sub ea, în colţul patului, să citească şi cu pisica în braţe.
(pisica toarce), şi, pe urmă, deodată, într-o seară,
se schimbă ceva, pe nesimţite alunecând
într-un livresc ireal, cum ar fi, de pildă, dacă unul din ei
i-ar cere voie, pe neaşteptate, s-o sărute pe gură.
şi, dintr-o pricină sau alta, ea, în loc să-i surâdă,
l-ar privi, doar, gravă. de aici, n-ar mai fi
lucrurile la fel ca înainte. – ar însemna ca, seara,
cel cu ochelari să reînceapă să bea tot mai mult,
şi dimineţile, iarăşi. şi afară s-ar face iarna murdară
dinspre sfârşitul vacanţei – şi blana pisicii chiar,
ar mirosi a coniac căci el i-ar turna, rău,
câte un pahar, pe furiş, pe spate. şi timpul
s-ar face o confuzie nemişcată, prelungă
ca o coadă de şobolan – pe care pisica, acum supărată,
nici n-ar mai avea chef s-o prindă cu laba.

Aria limpida

Come se tu colpissi col pugno il vetro, e la stanza
si raffredda e una luce aggrovigliata,
come dopo un colpo di vento, e vuoi parlare forte, e
ti senti, e stringi il pugno con l’altra mano, e giri attorno al punto sul parquet
dove si sono rovesciati anche verso l’interno i frantumi,
e tutto è sempre uguale, e qualsiasi pensiero ti riporta lento
allo stesso genere di parole – e fuori
ci sono i luoghi dove desidereresti andare,
e scende lenta la sera,
e rimane tutto sempre uguale, e hai le mani gelide,
e parli da solo, e non c’è più nulla,
e vaghi per la camera che si raffredda.

Aer curat

Ca şi cum ai izbi cu pumnul în geam, şi se face
Frig în cameră, şi o lumină învălmăşită,
ca după vânt, şi vrei să vorbeşti tare, şi te
auzi, şi-ți strângi pumnul în mâna cealaltă, şi ocoleşti locul de pe parchet
unde s-au răsturnat şi spre înăuntru cioburi,
şi e deci totul la fel, şi oricare din gânduri ţi se întoarce încet
în acelaşi fel de cuvinte – şi afară
sunt locurile pe unde ai vrea să mergi,
şi se face încet seară,
şi e totul mereu ….?, şi-ţi sunt mâinile reci,
şi vorbeşti singur, şi nu mai este nimic,
şi mergi prin camera unde se face frig.

Mircea Ivănescu (1931-2011) è stato uno dei più grandi poeti del ‘900 romeno, precursore del postmodernismo romeno, scrittore e traduttore di James Joyce, Franz Kafka e F. Scott Fitzgerald, tra gli altri. Poeta prolifico, debuttando con Lines nel 1968, ha pubblicato quasi ogni due anni un nuovo volume per quattro decenni. Ha vinto il Premio di poesia Mihai Eminescu (1998) ed è stato proposto dall’Associazione degli scrittori professionisti rumeni per il Premio Nobel nel 1999.

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