Fotografia di Ivan Piredda

 

Dalla prefazione di Azzurra D’Agostino

La fiamma di Cubeddu parla sardo. E lo parla in un modo assai diverso dalla poesia solitamente scritta in questa lingua: in qualche maniera assume su di sé la rivoluzione che i poeti dialettali del Novecento hanno compiuto nella poesia italiana. Un rifondare la tradizione uscendo da ogni strettoia manieristica e al contempo un restituire dignità alle cose chiamate col proprio nome. Un percorso che alcuni poeti sardi stanno portando avanti e che questo lavoro può contribuire a sviluppare in modo originale. Nonostante il desiderio di rafforzare le proprie origini, le proprie “radici”, anche a livello istituzionale, non sempre l’esito di questi sforzi porta a qualcosa di davvero vivificante.

 

da Areputzu Asfodelo (Vydia editore 2021)

Areputzu

Areputzu acanta de s’arau, nieddu
in sa frisca lea lughente
colore ’e terra su matzulu ’e reìga
reighina marigosa po su frore
isteddau biancu de Prosèrpina;

deo acapiau a palas a su jua
cricu a chie mi bendet su sentidu
po custa die de chelu fritu frimu;
arrimau su murru asuba ’e manta
s’oretu de sos ogos aprontios
sa lusinga de sa oghe tussiada
sos foeddos chi proent butia butia
de sa radio sonande chi bustat
cun cafelatte e nughi cun pabassa

inghiaidèmi, giaidèmi s’inghiada
po poder torrare in mesu ia.

Asfodelo

Radice di asfodelo accanto all’aratro, nero
nella lucente zolla fresca
mazzo di ravanelli color terra
radice amara per il fiore
stellato bianco di Prosèrpina;

io legato al giogo per le spalle
cerco chi mi venda il sentimento
per questo giorno di cielo fermo freddo;
il muso appoggiato alla coperta
l’agguato degli occhi svegli
la lusinga della voce tossita
le parole scendono goccia a goccia
dalla radio che suona a colazione
con caffelatte e noci e uva passa

datemi l’avvio, datemi una spinta
per poter tornare sulla strada.

 

Sa manu

Sa manu chi oe ti at giau su soddu
est sa matessi chi ti at nau ca no;
ariseo maru e oe fattu a bellu
seo sèmpere cuddu chi no biet
s’òmini in sa manu pedidora:
si fuit istetiu a buffae impare
allegande de babbos e de mammas
de terras cun abba fatta a pruniu
de logos a tesu in mesu ’e mare
si fuit istetiu a s’abadiae in cara,
ma no ti potzo bìere in s’oru ’e s’enna
a isprigu de sa manu pedidora.

La mano

La mano che oggi ti ha dato la moneta
è la stessa che ti ha detto no;
ieri cattivo e oggi diventato buono
sono sempre quello che non vede
l’uomo nella mano tesa a chiedere:
se fosse stato un bere insieme
a parlare di padri e di madri
di terre con acqua fatta polvere
di luoghi lontani in mezzo al mare
se fosse stato un guardarsi in faccia,
ma non ti posso vedere sulla porta
a specchio della mano tesa a chiedere.

 

Terachìa

Beni, beni, ca non ti fazu nudda,
naraiat mamai,
tantu a domo depes torrae.
A essere pitzinnu
est a essere sèmpere cundennau:
est a chèrrere essere mannu,
liberu,
no essere prus su chi fui
finzas si no ischidiu
su chi fui.
Essere comente farde meu
istimau comente fuit
issu.

Infanzia

Vieni che non ti faccio nulla,
diceva mia madre, vieni vieni,
tanto a casa devi tornare.
L’infanzia è una continua colpa:
essere grande, essere libero,
non essere quello che ero
anche se non sapevo chi e cosa
ero.
Essere come mio fratello,
amato come lui
era.

 

Mario Cubeddu è nato a Seneghe, in provincia di Oristano, nel 1947. È cresciuto in una famiglia e in un mondo contadini in cui i mezzi di locomozione erano cavalli ed asini e l’energia per il trasporto e l’aratura dei campi era fornita dal giogo dei buoi. Ha studiato Lettere Antiche all’Università di Cagliari e ha insegnato materie letterarie negli Istituti Superiori. Si è occupato di storia del mondo agrario e di storia sociale della Sardegna nel XX° secolo, pubblicando alcuni saggi sull’argomento. È tra i promotori del festival di poesia “Cabudanne de sos poetas” di Seneghe, inaugurato nel 2005. Suoi componimenti poetici sono stati premiati al Premio “Giuseppe Malattia della Vallata” di Barcis e al Premio “Giulio Angioni” di Guasila. Alcune sue poesie sono state tradotte in francese da Franc Ducros e pubblicate da Revue Europe, e altri testi tradotti in occitano da Bruno Peyras sono apparsi sulla rivista OC. Areputzu (Vydia editore 2021) è il suo primo libro di poesie.

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