Intervista a Dunya Mikhail di Elena Chiti da Annuario 2015 In una delle tue poesie immagini una seconda vita, una sorta di seconda possibilità dopo la vita già vissuta, e dici, usando la prima persona…
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Poesia del nostro tempo è il titolo scelto per Argo – Annuario 2015.
Con questa pubblicazione Argo intende approfondire il discorso critico sulla poesia contemporanea e iniziare un percorso di formazione e di informazione del pubblico. Il desiderio è segnalare, anno dopo anno, il dibattito culturale, evidenziando le differenze tra i generi della poesia e sottolineando i titoli da acquistare nelle librerie, senza trascurare il concetto enorme delle realtà politiche e sociali che i poeti si trovano a vivere.
Per questo motivo sono state raccolte, attraverso interviste, analisi e traduzioni, le voci dei poeti che vivono in zone di crisi geopolitica e le riflessioni dei poeti italiani sul periodo storico che stiamo vivendo.
Per l’Annuario 2015 mi sono occupato della prima sezione dal titolo Vicini alla realtà, non senza alcune difficoltà. Il perché è chiaro, sono anni che è così, la poesia in Italia vive come anestetizzata dalle polveri di un formalismo, spesso residuo o scarto delle posizioni teoriche delle avanguardie, movimenti che però avevano come sfondo la realtà, nella sua complessità politica, e non solo formale. Non solo, non possiamo attribuire alla sola critica impegnata a salvaguardare se stessa in un circuito di abili rimandi al recente passato letterario la sorte della poesia italiana. Si tratta di questo, i poeti e i critici si sentono una élite: ho sempre trovato questo atteggiamento come insopportabile, come se non nascessimo tutti dallo zero della forma. Trovo che la gente non creda più alla poesia per colpa dei suoi molti elitarismi, del troppo egotismo e autoreferenzialità a tutti i livelli del sistema letterario.
Tuttavia i poeti più grandi sono anche intellettuali attenti, capaci di ritagliare il presente, scomporlo, comporlo nuovamente, facendo emergere quella visione del mondo in cui si approfondiscono l’esperienza della lingua e della cultura e la sensibilità umana, dando alle generazioni il modo di collaborare nella direzione della bellezza, della conoscenza e dell’apprendimento. Mi piacerebbe dare un nuovo titolo alla sezione che ho curato, Nella direzione della bellezza: credo che sarà questo a motivare la mia ricerca nei prossimi anni.
La navigazione di questo primo Annuario è partita dall’Italia: Alessandra Giappi ha ricordato la strage di Piazza della Loggia, discutendo alcune opere di Mario Luzi. Carlo Bordini ha riflettuto sul nostro periodo storico e sulle miopie della politica europea e mondiale. Massimo Zamboni, storica figura del rock italiano ed ex componente di CSI e CCCP, ha donato i versi che parlano della “Rotta” del nostro paese, canzone-poesia interpretata da Angela Baraldi, ascoltabile dallo smartphone grazie ai QR CODE presenti sul libro.
Non potevano mancare poeti provenienti da paesi attraversati da forme diverse di conflitto, come la Turchia, dove abbiamo intervistato il presidente del Festival Internazionale di Poesia di Istanbul Adnan Özer e la giornalista Müesser Yeniay, e la Grecia, con un percorso tra le poesie di Katerina Anghelaki Rooke, Yiorgos Chouliaras, Stamatis Polenakis e Hatto Fischer. In Israele ci ha colpiti la riflessione di Hilà Lahav, che pone l’attenzione sui movimenti che desiderano la pace tra israeliani e palestinesi.
Sono state fonte di meditazione le parole dell’irachena di origini cristiane Dunya Mikhail, perché il Medioriente non è il luogo del califfato islamico, della distruzione e della rovina, ma quello dove le comunità di fedi e culture diverse, nel tempo, sono riuscite a convivere.
Uno spaccato del Mediterraneo l’abbiamo trovato nelle poesie del maltese Adrian Grima, che ha tracciato nei suoi versi la criticità della migrazione, mentre il nigeriano Chijioke Amu Nnadi ha posto l’attenzione sulla cultura africana e sulla poesia del suo paese, anch’esso aggredito dall’estremismo.
Nonostante investa la nostra coscienza di occidentali, si è deciso di puntare la lente sul rap inglese, grazie all’indagine svolta da Emilio G. Berrocal sui cantanti che sono andati a combattere in Siria e Iraq.
Dall’Afghanistan Analysts Network, è stato tradotto un articolo di Borhan Osman sulla comunicazione che avviene proprio grazie a una forma di poesia, i distici in pashtun, che gli afgani usano disegnare sui teloni dei TIR, rimandando sia a temi di amore che di politica.
Grazie agli articoli presentanti, alle parole e ai versi degli autori che hanno portano qui la loro testimonianza, l’Annuario si è posto l’obiettivo di rivedere quel ruolo e quel peso sociale, della poesia e della figura del poeta, che si è dissolto nell’Italia degli ultimi trent’anni. Si è trattato di esplorare la realtà attraverso un viaggio fatto tra i poeti, perché sono essi i più vicini al linguaggio del nostro tempo.
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