Particolare di una fotografia di Daniele Ferroni

Vi sono scritture, di questi tempi, che sembrano carezzare l’immediato quotidiano per offrirne una visuale differente. Questa scelta comporta solitamente alcune difficoltà: prima di tutto il rischio di essere tacciati di furbizia, perché la totale immedesimazione del lettore è considerata, in ambito poetico, una sorta di furto. Questa è una questione molto complicata e che farò l’errore di abbandonare immediatamente: considero infatti la poesia, se parliamo di lettori e di mercato, un’attività inesistente. Un giorno discuteremo del libro-poesia come di un oggetto, un work of art che deve farsi carico di alcune basilari aspettative, al di là della ristretta cerchia dei lettori ideali. Nel caso di Alter di Christian Sinicco (Vydia editore 2019) ci troviamo di fronte a un’opera dalle forti motivazioni, e come tutte le opere di questo genere ci accorgiamo di trattare un congegno affascinante ma di difficile accesso. Se quindi il primo rischio individuato sarà immediatamente accantonato (il libro è stato pubblicato ad aprile 2019, un anno prima delle assurde condizioni in cui viviamo da un paio d’anni), il secondo, quello dell’impenetrabilità della scrittura, deve essere compreso in un progetto che mira all’universale sconvolgendo l’ordine cosmico e linguistico. La forma di Alter è totalmente ibrida e tende al poemetto, ma il verso è costantemente frammentato, dislocato in pagina, in un affastellarsi di visioni analogiche potentissime (Giancarlo Alfano, nella sua Prefazione, oltre al dialogo con lo sperimentalismo novecentesco ci ha visto anche un certo dannunzianesimo 2.0; cosa che, al termine della lettura, si rivela assurdamente vera per la memorabilità e lo slancio lirico di alcuni versi).

Diviso in due fasi, il primo tempo di Alter è Città esplosa, esposizione apocalittica del mondo azzerato e narrato immediatamente da uno sguardo itinerante. Credo, in effetti, che la caratteristica più interessante dello stile di Sinicco sia l’illusione sincronica tra scrittura e visione; non è il cronachismo a interessare l’autore, quanto la sfida a ricamare in pagina una nuova possibilità di conservazione per l’universo precario e manomesso. Si parte per questo dalle rovine e dalle crepe, poiché la visione poetica ha a che fare con un insediamento nella materia; già all’inizio di Città esplosa è dichiarata la necessità di andare oltre la compattezza oggettuale: «quando la palpebra chiude/ forme creare dall’informe» (p. 15). La modalità del non-vedere non è dunque ascrivibile all’oscurità ma a un cambio di prospettiva. Si tratta di rendere palpabile ciò che vi è di più irrealizzabile: questo mi pare fortemente evidente nelle ipotesi assurde e ossessive, come «e se la realtà dovesse frantumarsi del tutto» (p. 16), quindi un grado zero dell’esistente che sappiamo non potersi dare in scrittura; oppure «la volontà che si possa catturare/ qualsiasi esile e piccolo/ attimo del/ movimento» (p. 20), ossia una scrittura che non racconta ma tesse una realtà istantanea, facendo quindi del poema un software manovrato dall’autore; e infine la più apocalittica, dove si annuncia «l’angelo dell’embrione solare» che «brucerà il vento e scoprirà/ l’osso del mondo» (p. 28), sorta di veltro dantesco che ne svelerà l’essenza più intima.

 

La seconda parte è dunque la sperimentazione del mondo da parte di Alter: esso è un automa che registra differenze e deviazioni tra sé e il resto, ricercando un «alfabeto fuori di sé» (p. 33), nel tentativo di far emergere il meccanismo umano della codificazione delle cose. Lo sforzo compiuto da Sinicco è quindi prima di tutto un esercizio di stupore; per far questo l’approccio sensoriale deve essere compiuto da un sistema immacolato, un «uomo deserto di sé» (p. 35); così è ‘Alter’, doppelgänger in forma di congegno scritturante che compie un secondo tentativo di esperienza. Non è la chiusura del meccanismo, ci dice Sinicco, a poter riscrivere una nuova storia di sé; essa si compie soprattutto nello scambio con un’alterità, alla quale non si accede ma si lascia entrare come nuovo componente del sistema: «ho pronunciato »entrata«/ deposizione chiara/ di particelle, di un mio uragano/ che si sposta sul ventre,/ nella dorsale e poi verso la costa/ ho pensato che era l’attimo, mentre/ la bocca mi scoppiava» (p. 43). Da qui in poi assistiamo al fluire di una macchina desiderante che «usa le concatenazione per sfuggire agli effetti» (p. 44), dichiara la propria ragione di esistenza nel contatto estasiato con le cose. Alter si rivela dunque un organismo pulsante di rimodulazione dell’esperienza: deve essere questa, in fin dei conti, la ratio legis che muove la scrittura di Sinicco: «ciò che è adesso, è stato/ riavvolto in una impercettibile/ differenza, uno scarto di ritmi/ turchino, e le macchine del più/ sono questo mistero:/ ricombiniamo» (p. 45).

 



Fai girare il Grammofono e leggi Alter (Vydia editore 2019) assieme alla musica dei Baby Gelido utilizzata per la performance di Christian Sinicco


 

 

 

(Visited 194 times, 1 visits today)