Il Centro Cultural Tina Modotti è oggi una realtà culturale composita e vitale, “un punto di incontro di bellezza e cultura fra Italia e Latino America” come si legge nella seguitissima pagina FB dedicata a questo progetto: puoi spiegarci di che cosa si tratta esattamente e la storia della sua nascita ed evoluzione?

All’inizio la pagina voleva essere un supporto al Centro Tina Modotti di Caracas, dove si insegnava letteratura, cinema, lingua e l’arte italiana, poi con gli scontri del 2017 si è dovuta chiudere la nostra sede fisica ma non volevamo abbandonare il lavoro intrapreso. Con un piccolo team di amici si è deciso di trasformare la pagina in un ponte virtuale tra l’America Latina e l’Italia, usando come linguaggio principale di questo dialogo la poesia, dando spazio soprattutto a quella dei giovani autori italiani e ispanoamericani, attraverso la traduzione dei loro testi. Altra grande passione è l’arte visiva in ogni sua espressione, e per questo si è dato risalto alla fotografia, anche in onore della donna  e artista a cui è dedicata la pagina: Tina Modotti. Nel mentre con il poeta attore e amico Ezio Falcomer abbiamo iniziato a produrre quelli che noi abbiamo chiamato “vision book”, cioè delle opere in equilibrio tra la video arte e la video poesia.

Poesia e web, un binomio che mai come oggi sembra essere leva di un cambiamento paradigmatico, che investe la diffusione e la fruizione di contenuti letterari e artistici: quali sono gli scenari attuali e futuri, secondo te, alla luce anche dell’esperienza ormai pluriennale del Centro Cultural Tina Modotti?

Sicuramente per i prodotti di nicchia  – almeno a livello commerciale – come la poesia, la trasmissione del testo poetico grazie al mondo digitale è diventata più abbordabile per tutti, ma non per questo facile da confezionare. Se da un lato si sono viste apparire riviste digitali di poesia, in tutti i paesi che conosco sia in America Latina sia in Europa, queste sono state troppo spesso pensate graficamente come libri digitali o articoli di un giornale e comunque per un pubblico di “conoscitori-amanti” del fare poesia. In qualche modo sono rimaste ferme e ancorate a una poesia digitale muta come un libro o a volte dotata di parole con video dove la poesia è il poeta che legge, spesso male: sono poesie in video-selfie, dove il mondo digitale e tutte le sue possibilità di “trasportare poesia” s’arenano sul volto incorniciato da una libreria, le sudate carte, nella camera-studio-cucina-sala da pranzo dell’autore, che sorride.

Fotografia, video, arti figurative e poesia: una commistione virtuale e virtuosa, nel segno di un’opera totale versione 2.0, che segna l’esperienza del Centro Cultural Tina Modotti. Quali sono i presupposti e le ragioni di questa scelta?

I presupposti reali sono semplici, forse persino banali, ma l’idea è sempre stata quella di dare vita a una pagina dove poter condividere il bello o almeno quello che per noi del cctm è bello. Collaboratrici preziose sono Carla Secchi, web master per passione, e creatrice del sito web che dà concretezza a quel lavoro digitale ed effimero fagocitato dai ritmi di FB, e Dina Carruozzo Nazzaro, curatrice della parte più popolare e immediata (la condivisione dei contenuti sulla pagina), ma non per questo priva di contenuti, con l’unico fine di arrivare in modo più diretto al pubblico. Tutti agiamo autonomamente e indipendentemente, anche da noi stessi. La speranza è che la bellezza tutta popoli la pagina, dove mettiamo in musica d’immagini una sinfonia scomposta, a rappresentare e raccontare la poesia o meglio a dirla, a declamarla. Molto prima della pandemia il Centro Culturale ai suoi albori, quasi dieci anni fa, cercava con scarsi risultati di interesse da parte del pubblico, la creazione di materiali per l’insegnamento a distanza e si basava solo sul concetto di poter arrivare a tutti nel linguaggio più prossimo al “presente digitale di massa” e non come una copia di un libro da sfogliare. Un’altra cosa, insomma, un contenitore di esperimenti ed esperienze messe in atto, rubate in rete, presentate, condivise, un mondo riunito sotto lo stupore umano che ancora affligge i creatori del cctm.

Poesia e traduzione: altro cardine del progetto, che ti vede spesso impegnato nel ruolo di traduttore. Quali sono le difficoltà che incontri più spesso in questo lavoro di mediazione tra due lingue – lo spagnolo e l’italiano – e due mondi apparentemente molto affini, ma attraversati da sostanziali differenze?

Tradurre è come fare l’autista di un taxi: porti le parole da un capo all’altro di questa città chiamata Poesia. Nessun autista fa cambiare d’abito al passeggero, cerca solo di portarlo a destinazione comodamente e nel tempo più breve possibile. Poi le strade delle città sono quello che sono e gli intoppi non mancano mai. Le differenze culturali sono enormi ed è una visione ancora ottocentesca quella che ci fa dire che in America Latina si parla spagnolo, quando in Messico si parla messicano e in Colombia colombiano e così fino ad arrivare alle punte estreme di quest’America Grande che parte dalla frontiera con gli USA per attraversare mondi che si distendono sulla parte estrema del Sud d’Occidente, fino alla Patagonia.

America Latina e Italia: quali sono a tuo parere i punti divergenti e le esperienze comuni che segnano i rispettivi mondi poetici e letterari?

Comuni sono la poesia in sé in quanto linguaggio universale, ma che passa attraverso visione del mondo differenti, dove gli oggetti anche più comuni, e comunque spesso introdotti dal colonialismo e dalle immigrazioni del secondo dopo guerra nel quotidiano, assumono significati e significanti che non hanno nulla a che spartire con il nostro sentire e vedere. Muoversi per Città del Messico è come muoversi in universi più o meno ordinati per stato socio-economico ed etnico differenti e sono 40 milioni le persone che la percorrono. Le lingue sono tante e non hanno bisogno di un traduttore ma direi quasi di uno spettatore complice quasi come in un “terzo piano” alla Fassbinder. L’America del Sud ha vissuto il terrore: mentre in Europa s’alzavano i libretti rossi per le strade di Parigi o di Roma, là si issavano le bandiere delle dittature. Ogni volta che penso alle storie dei Paesi Latini cerco di trovare dei punti di convergenza o qualcosa del genere, ma non ci riesco mai. Per me il Messico o la Colombia o il Venezuela hanno storie in comune tra loro e non solo il Colonialismo, ma hanno poco a che vedere con il nostro mondo, la nostra maniera di vivere nella e con la natura, il senso di immensa precarietà che fa del giorno un infinito. No, se devo essere sincero, non ci trovo nulla di convergente tra il mondo americano e quello europeo, ma proprio l’immaginario e il mescolarsi delle lingue apre un mondo al lettore di questa poesia così altra da essere nostra.

Quali sono i futuri sviluppi del Centro Cultural Tina Modotti? Hai mai pensato a una pubblicazione cartacea che raccolga gli anni di scritture e traduzioni?

Gli sviluppi sono quelli di mantenersi fedele alla semplicità iniziale e continuare a curiosare e trasmettere idee, immagini, parole e quant’altro fino a quando ne avremo voglia. No, trasportare dal digitale al cartaceo e per di più in forma antologica, perdendo la ricchezza del mezzo digitale di cui il cctm si fa promotore e difensore, sarebbe come tradire la base della bellezza condivisa nel ritmo dei post del Centro che nella loro scompostezza dimostrano che la bellezza non è mai ordinata, ma nemmeno disordinata. Un libro limiterebbe troppo i linguaggi artistici che parlano la nostra pagina e il nostro sito web.

 

 

Antonio Nazzaro (Torino, 1963), è giornalista, traduttore, poeta, video artista e mediatore culturale e fondatore e coordinatore del Centro Cultural Tina Modotti. Collabora con le riviste italiane “Atelier” e “Fuori/Asse”. È responsabile della collana di poesia latinoamericana di Edizioni Arcoiris Salerno. Collabora con la rivista venezuelana Poesía e la cilena Ærea, la rivista Ablucionistas, Latino America e la rivista Taller Igitur, Messico. Ha pubblicato per le Edizioni Arcoiris Salerno il libro Odore a, Torino Caracas senza ritorno (2015, in italiano e spagnolo) e Appunti dal Venezuela. 2017: vivere nelle proteste; Amor migrante y el último cigarrillo/Amore migrante e l’ultima sigaretta (RiL Editores; Arcoiris 2018) e Cuerpos humeantes/Corpi Fumanti (Uniediciones 2019). È creatore e direttore della collana di poesia italiana contemporanea “Territorio de Encuentro”, in coedizione con Samuele Editore e Uniediciones Ibáñez, bajo el patrocinio dell’Istituto Italiano di Cultura a Bogotá e fondatore e direttore della rivista di poesia internazionale “Caravansary” (Uniediciones, Bogotá, 2019). Come traduttore, ha tradotto il libro del poeta argentino Juan Arabia, edizione bilingue, Il nemico dei thiirties (Samuele Editore 2017); La notte/La noche, di Dino Campana (Edicola Ediciones 2017); Hotel della notte/Hotel de la noche di Alessandro Moscè (Buenos Aires Poetry 2018) La lingua instancabile/La lengua incansable. 10 voci contemporanee della poesia italiana (Samuele Editore/Buenos Aires Poetry 2018); l’antologia della poesia colombiana La generazione senza nome/ Generación sin nombre (Arcoiris 2018); Tierra y Mito di Umberto Piersanti (Uniediciones, Samuele Editore, Bogotá 2019). Nello stesso anno ha pubblicato anche la silloge Le svelte radici/Despojando raices del poeta italiano Sandro Pecchiari, così come le sillogi Le distrazioni del viaggio/ Las distracciones del viaje di Annalisa Ciampalini e Sulla soglia/En el umbral di Monica Guerra tutti per l’editore Uniediciones Ibáñez, Bogotà. Ha pubblicato, in collaborazione con Pro Helvetia e Ril Editores, la traduzione del libro di Fabiano Alborghetti, Equazione della responsabilità. E ha pubblicato la traduzione del libro di Khédija Gadhoum Oltre il mare (Arcoiris 2019). Nel 2020 ha pubblicato la traduzione della silloge Farragine del poeta italiano Marco Amore (Uniediciones, Samuele Editore, Bogotá) e la silloge Olimpia di Luigia Sorrentino per la casa editrice cilena Ril Editores.

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