da Annuario 2015
 

Ero Maddalena è un poemetto incentrato su due figure femminili che si specchiano e compenetrano, pur appartenendo a vicende ed epoche diverse. Da una parte c’è la figura evangelica di Maddalena, dall’altra quella di una donna senza nome che ha subito violenza e si aggira per le strade della Bologna contemporanea, rivolgendosi a Maria di Magdala fino a identificarsi con essa, come simbolo della violenza e della redenzione che tutte le donne possono trovare nello spirito. Il poemetto di Demi si articola, dunque, su più piani, non solo perché vi sono i due personaggi a confronto, ma perché la stessa Maddalena è in realtà più maddalene, ognuna con la sua verità, la sua narrazione, la sua particola poesia. Maria di Magdala è figura esclusivamente nuovo testamentaria poiché la verità storica di questa donna, non essendoci altre fonti, è racchiusa tutta nei quattro vangeli canonici e nei successivi vangeli apocrifi, i quali accrescono la figura della Maddalena di ulteriori attributi e vicende. Il vangelo di Maria, scritto in lingua copta nel II secolo d.c. da un proto testo in lingua greca, ci è arrivato per frammenti in tre distinti papiri, di cui l’ultimo, il più completo, è stato pubblicato per la prima volta a Berlino nel 1955. In questo testo, inquadrato nell’ambito dei vangeli gnostici i cui echi si trovano anche nei padri della chiesa, il cuore della rivelazione di Gesù non è affidato ai discepoli bensì a Maria Maddalena, la cui autorità viene messa in discussione dai discepoli Andrea e Pietro. L’eco di questa contrapposizione fra ortodossia e esoterismo, fra apostoli e discepole, fra uomo e donna, si può rinvenire nel poemetto di Demi: « – mandatela via via / non può stare più qua / non può stare tra noi / troverà un altro luogo / una pietà che l’accolga-». In questo libro vi è dunque una Maddalena esoterica che affiora in più punti: «sono figlia di questo tempo / di sensi e di guerrieri / celibato degli esseni», dove la Maddalena viene messa in relazione con gli esseni e con le teorie di questa setta che, unica nel panorama giudaico precristiano, concepiva la resurrezione. Come si accennava, è nei vangeli canonici che la figura della Maddalena ha maggior risalto. Essa compare sia nei Sinottici che in Giovanni; viene introdotta da Luca in 8-2-3: «con lui vi erano i dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da malattie: Maria, detta Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, l’amministratore di Erode; Susanna e molte altre che assistevano Gesù e i dodici con i loro beni.» (nuova riveduta). Gianfranco Ravasi ebbe occasione di scrivere di questa figura in un saggio del 1989, dal titolo Una santa calunniata e glorificata, introduttivo di un libro sull’iconografia della Maddalena curato da Giovanni Testori (citato da Cinzia Demi a pagina 56). Ravasi metteva in luce gli equivoci su questa donna che partivano proprio dai «sette demòni» citati innanzi. Si trattava di un male fisico o morale (il numero sette, che nella tradizione biblica indica pienezza, ne sottolineava la gravità) che la tradizione aveva messo in relazione con il peccato, dal quale la Maddalena sarebbe stata liberata da Gesù, divenendone discepola. Poco prima, al capitolo 7 versetti 36-50, Luca aveva raccontato la storia della peccatrice penitente: «ed ecco, una donna che era in quella città, una peccatrice, saputo che egli era a tavola in casa del fariseo, portò un vaso di alabastro pieno di olio profumato; e, stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio» (nuova riveduta). La tradizione, stante la vicinanza dei due episodi descritti dall’evangelista, aveva accostato le due donne fino ad identificarle. Demi accetta questa identificazione, la quale tuttavia ha rilievo per il suo connesso risvolto psicologico: la violenza subita dalla protagonista è vissuta come peccato, come l’onta dei «sette demòni» che possiedono e imbrattano un corpo che in verità non ha alcuna colpa: «e mi stringo nella veste / tocco i miei capelli / e ricordo ancora un gesto // i suoi piedi impolverati / lavati con amore / con l’olio profumati // asciugati coi miei capelli / i capelli questi quelli / che adesso strapperei // Cristo, signore, dove sei / nascosto in quale via / casa borgo periferia». La liberazione dai demoni, operata da Gesù in Maria di Magdala, è prima di tutto una liberazione dal peccato. Questa redenzione da una femminilità esibita e vissuta fino allo sconcerto aveva portato la tradizione a operare un’ulteriore identificazione, immotivata dal punto di vista testuale e biblico: quella con l’adultera salvata dalla lapidazione da Gesù. Anche Demi fa propria questa ulteriore tradizione, nella quale la linea che dal corpo, dalla sua vulnerabilità e della sua potenza fisica e sessuale arriva al peccato e alla sua redenzione come accettazione di se stessa e della propria fisicità è presente come interpretazione del binomio peccato – redenzione: «cosa credi cosa vedi in me // mia madre ripudiata / lapidata sulla sabbia / calda del suo amplesso».

Si deve osservare che la circostanza dell’unzione e dell’asciugatura dei piedi di Gesù, narrata da Luca in 8-2-3, ha generato un’ulteriore confusione: quella dell’identificazione della Maddalena con Maria di Betania, sorella di Marta e Lazzaro. Giovanni al Capitolo 12 versetto 3 afferma che «allora Maria, presa una libbra d’olio profumato, di nardo puro, di gran valore, unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i suoi capelli; e la casa fu piena del profumo dell’olio» (nuova riveduta). Poiché i sinottici parlano dell’unzione dell’adultera avvenuta in casa di un fariseo di nome Simone a Betania, mentre Giovanni omette tale episodio, ma narra dell’unzione operata da Maria sorella di Marta e Lazzaro sempre a Betania, sorge il sospetto che trattasi, nella realtà, di un solo episodio, che la tradizione ha successivamente saldato con la figura della Maddalena, facendo, in buona sostanza, di tre donne una sola. Tali identificazioni, in particolare quella della Maddalena con l’adultera della quale i vangeli non ci hanno tramandato il nome, ma che Gregorio Magno avvalora come certa, in un sermone del 591 d.c., restituisce una Maria di Magdala dai contorni sensuali, il cui rapporto in qualche maniera intimo e confidenziale con Gesù, nella letteratura e nell’arte va oltre la lettera del vangelo. Su questa linea è l’iconografia della santa, le cui conturbanti nudità e la pienezza delle forme tracciano un confine estremamente labile fra santità ed eros, fra purezza d’animo e cedevolezza del desiderio. Analogamente il Vangelo secondo Gesù Cristo di Josè Saramago restituisce una Maddalena prostituta redenta e compagna di Gesù. Anche Ero Maddalena riprende il tema: «un bacio sì un bacio / sulla bocca me l’ha dato / un saluto una carezza // […] // l’ho scambiato per amore // il sudore nella schiena / mi bagnava infradiciava / una marea che non si arresta». Analogamente Cinzia Demi raccoglie la leggenda, anche questa apocrifa, di una Maddalena con un figlio (forse di Gesù?), perseguitata e costretta a fuggire in Provenza dove morì nel 63 d.c. e dove si stabilirà un culto favorito anche dalla presenza delle relative reliquie: «sulle rive di Francia / mi daranno la gloria / i miei figli i miei fedeli // avrò chiese e monasteri / sarò onorata e pregata».

Fin qui si è accennato alla vicenda evangelica della Maddalena. Il vangelo, nonostante i fraintendimenti della tradizione, regala una Maddalena dalla straordinaria importanza teologica e fattuale. Come i discepoli viene dalla Galilea e da un paese di pescatori sul lago di Tiberiade. Per i sinottici, è Maddalena, insieme ad altre donne, ad accompagnare Gesù nel suo ultimo viaggio a Gerusalemme ed è lei ad assistere alla crocefissione. È presente alla sepoltura, nel capitolo 20 del vangelo di Giovanni è lei ad andare al sepolcro di buon mattino e a trovarlo vuoto. È sempre lei – prima creatura umana a farlo – a vedere cristo risorto e a chiamarlo «Rabbunì», Signore; e mentre lei vorrebbe trattenerlo, Gesù la invita ad andare a rendere testimonianza della sua resurrezione: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli, e di’ loro: “Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro”» (Giovanni 20-17 nuova riveduta). Maddalena ripercorre le vicende di Gesù, è parte essenziale della sua vicenda terrena, e fin dall’unzione dei suoi capelli (per quanto frutto di un fraintendimento) rende testimonianza della sua divinità.

Ero Maddalena si pone come una sorta di vangelo apocrifo, fatto di vita, morte e resurrezione. La narrazione avviene attraverso una prospettiva del tutto interna e psicologica, quella di una donna rosa dall’amore e dalla fede, ma anche dal dubbio e dallo smarrimento: «non lasciarmi ti prego il lutto / la bestia che sento dentro / il frutto del mio malanno // non lasciarmi a rinnegare / cadere in nuove seduzioni / fammi morire oggi con te». La prospettiva teologica, dell’interrogazione del sacro, si nutre di corpo, di sensualità, di recupero di una fisicità che proprio nella crocefissione, nel dolore e nello smarrimento trova la sua essenza. Questo piccolo vangelo apocrifo è il vangelo degli altri, dei non protagonisti, senza i quali la buona novella non potrebbe esistere: è il punto di vista dei peccatori e dei malati, senza i quali non si potrebbe rendere gloria al perdono e alla guarigione. È il vangelo del dubbio, di un percorso di coscienza che è tale perché costellato di cadute e di rifiuti. È il vangelo dell’altra pro-tagonista, della donna violentata che a Maria di Magdala si rivolge e che in lei trova un modello di redenzione, ma anche uno specchio dei fraintendimenti che legano la sensualità di un corpo al peccato, e fanno di un abuso una colpa da espiare. Emerge in questi versi il lato psichico, inconscio, esistenziale. Rosa Elia Giangoia nella postfazione, parla di «dramma esistenziale» attraverso il quale ritrovare se stessi attraverso l’esperienza dello smarrimento. È la voce che emerge dal buio, la parola che si fa luce e carne, rompe la superficie levigata del quotidiano, di una Bologna contemporanea che emerga quasi allucinata qua e là nei versi. Il poemetto è scandito in stanze di quattro terzine ciascuna. Il ritmo è continuo, a tamburo, quasi ci si trovasse di fronte a un albero di trasmissione dove la cadenza oscilla fra la tensione narrativa del Passio evangelico e il dolore fisico di rivivere quella passione sulla propria pelle, sull’esperienza della carne. La scrittura è tesa, si nutre di spazi bianchi, di versi brevi che eliminano ogni spreco verbale. È questa la lingua attraverso la quale Demi conduce una ricerca di se stessi e della propria voce. La poetessa dà voce a Maddalena e dà voce a se stessa attraverso Maddalena; conduce la ricerca di un nome, una fede, un’identità.

 
maledetta sì, la mia
bellezza schiava di aratri
campi e corpo solcati
le labbra carnose
i seni la pelle troppo bianca
sono stanca ora
non riposo nel letto
vedo sempre quel volto
e le spine a corona alla
fine che mi vorrà dire
mi potrà aiutare non credo
non prego mai su un altare
 
*
 
il vicolo si riempie
di luci  di voci  di suoni
è il giorno di Santa Rita
rose profumate a colori
(dio, dio, come son vestita!)
benedette da mani sapienti
donne in fila ai banchi
del mercato è salato il prezzo
del fiore in devozione
se mi vedono mi chiedono
chi sono cosa faccio
non reggerò l’emozione
 
*
 
il cielo è un tranello
Magdala è ancora là sul
lago bello Tiberiade
limpide le sue acque
fertili di nuove vite
nomade la sua voce
come la croce
che incontro sempre
nei rami dell’ulivo
nel declivio del monte
al crocevia di un passaggio
messaggio sacro o profano che sia
 
*
 
è un nome che cerco una
carne che risponda non più
ferita umiliata una carne
che pulsi di vita non
lasciata marcire
nella stanza più buia
nel lurido cortile dai
muri alti eterni
a mangiare erba vermi
e ancora ripresa
straziata strappata dalla fossa
dalle ossa staccata a forza
 

Cinzia Demi è nata a Piombino (LI) nel 1960, lavora e vive a Bologna. È operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. È direttore della Nuova Collana di Poesia Contemporanea «Sibilla» per la Casa Editrice Pendragon di Bologna. Nel 2007 pubblica il libro Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon) con il quale contribuisce alla conoscenza del Poema tramite incarichi per progetti scolastici (scuole medie di primo e secondo grado), conferenze e drammatizzazione dei testi in varie realtà istituzionali, teatrali e culturali d’Italia. Ha inoltre pubblicato: Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, Catania 2009); Al di là dello specchio fatato. Fiabe in poesia (Albatros, Viterbo 2010); Caterina Sforza. Una forza della natura fra mito e poesia (FARAEditore, Rimini 2010); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, Rimini 2012); Ersilia Bronzini Majno. Immaginario biografico di un’i-taliana tra ruolo pubblico e privato (Pendragon, Bologna, 2013) e Ero Maddalena (Puntoacapo editrice, Novi Ligure 2013).

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