Fotografia di Dino Ignani

L’autrice cerca quindi di creare un ambiente sonoro, nel quale il lettore deve immergersi non per “capire” ma per sentire, anche in senso forte, nel senso di “stare” in questo orizzonte, di abitarlo. La poesia di Marina Pizzi è quindi difficile perché chiede, anzi esige, un abbandono, nel senso di mettere da parte i propri schemi mentali di “lettore di poesia” o di “critico della poesia”, ma nello stesso tempo chiede a colui che legge o recita questi versi una fatica creativa più che interpretativa nel senso tradizionale. La poeta chiede insomma di essere poeti per entrare nel suo gioco linguistico. Paradossalmente non ci offre perciò il “suo” verso o la “sua” poesia, ma ci stimola a sentire la “nostra” poesia, un po’ come negli spartiti musicali di John Cage, nei quali spesso non vi erano note musicali ma soltanto indicazioni e suggerimenti o al massimo qualche frammento tematico, che gli esecutori suonavano seguendo l’ispirazione personale del momento. [Gianmario Lucini]*

 

da Segnacoli di mendicità (CFR 2014)

3
l’altare della scissione è stato il plasma
il sangue in pasta con il pane nero
così triste la stanza di paese
con il panorama magnifico.
tutto parve bello eppure un velo
di morte consegnò per remoto
il padre dello sguardo. la rana pigra
capì il disilluso le gemellari caverne
del vento capitano. a due a due i ladruncoli
del fango ebbero castello alla faccia
del giusto. in fondo le costiere
murarono se stesse. così finì l’albore
finì l’abbecedario.

8
ho visto un eremo sbadato
giocare al lunapark
con le conchiglie dei parchi innamorarsi
similoro e bagliore in greto al fiume
come un principe fatato e senza voglie
più che felice. il corrimano della scala mobile
mi chiama al dovere di arrivare
dove il malato è plasma infetto
dove il varo delle rondini non serve
a far felice un discolo. qui si arena
il ditale della sarta senza cucire
vedova. vale l’angolo di commettersi
colpevoli. pensati senza l’anima salva coste.
in meno di una capanna ho visto l’indice
delle fazioni in campo senza l’arcangelo
del polo del freno. si chiama shock l’arena
delle tenebre bambine botaniche le rese
nelle sabbie mobili e le paludi spie.

25
nomea del buio stare con le pietre
per spaesarsi dentro le chimere
di regole del dubbio. meno che meno
è vita le macedonie delle bestemmie
in dolo in atto in perno di nomea.
eppure le doglie delle creature
vendemmiano cipressi neonati
per le lenti botaniche del bello
per le nature di fati che non stempiano.
le grandi emergenze delle favole
sono al gerundio di capire il mondo.

76
la mela sterile che appassisce in terra
ripete le cartelle dell’obitorio
quelle penombre a vuoto non più duttili
del gioco dei dadi. in mano al crisantemo
del perpetuo il tuo passire nel gergo
della terra. le statue fredde riflettono
le mani visitanti rimorsi
nel simbolo pensanti. in chiodo alla nomea
il grido della vanga che gareggia un pulpito
migrante. non c’è nessuno nel fulcro
della gronda nel colosseo demolito.

93
caos da culla
[se ne consiglia la lettura ad un pubblico scarnificato]

così si piange con l’elefante in mano
senza pensare che la ciotola è sbiadita
oltre il residuo del grano. senza senso
ti parlotta il guaio di far sentiero l’io.
il musico mutilo è solo un nome
di sopportare le frasi della comica
senza atto di riso. per le smorfiette
televisive ho perso l’oasi e la sciabola
del caso delle rimostranze pro o contro
non importa proprio a nessuno. tu tienimi
i polsi voglio vincere la voglia di uccidere
tutti i calendari gli orologi le giostre di fulcro
con le caviglie vizze. non venirmi a dire
che la pace viene mantenuta dalla biologia
notturna. tutti si rammentano di una altana
tanto aperta alla campagna musicata dal faro
del petto di guarigione. non starmi a dire
che è giorno di stipendio per il dio della spiaggia
pagato granello per granello di sabbia.

 

Marina Pizzi (1955) è nata a Roma, dove vive. Ha pubblicato i libri di versi: Il giornale dell’esule (Crocetti 1986), Gli angioli patrioti (Crocetti 1988), Acquerugiole (Crocetti 1990), Darsene il respiro (Fondazione Corrente 1993), La devozione di stare (Anterem 1994), Le arsure (LietoColle 2004), L’acciuga della sera i fuochi della tara (Luca Pensa 2006), Dallo stesso altrove (La camera verde 2008, selezione), L’inchino del predone (Blu di Prussia 2009), Il solicello del basto (Fermenti 2010), Ricette del sottopiatto (Besa 2011), Un gerundio di venia (Oèdipus 2012), La giostra della lingua il suolo d’algebra (Edizioni Smasher 2012), Cantico di stasi (Edizioni di Cantarena 2013, selezione), Segnacoli di mendicità (CFR 2014); Plettro di compieta (Lietocolle 2015), Cantico di stasi (Oèdipus 2016), Declini (Macabor 2017), Misere asfalto : Afasie dell’attitudine, 2007-2017 (La Linea dell’Equatore 2017), Miserere asfalto : Afasie dell’attitudine, 2007-2018 (Terra d’ulivi 2018), La cena del verbo (Raffaelli 2018) e Finita Locazione (Bertoni 2020). Inoltre le plaquettes: L’impresario reo (Tam Tam 1985), Un cartone per la notte (a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998) e Le giostre del delta (a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario” 2004).

*Articolo in collaborazione con Poiein APS

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