Particolare dell’immagine di Catrin Welz-Stein

ANALYTICA

rubrica a cura di Francesca Innocenzi

Cullata morte 

3 luglio 2019, Tunisia
Naufragio al largo della Tunisia

Forse il mare lo sa
e glieli porta i corpi senza nome.
Arrivano con il pescato. Galleggiano
a fianco della sua imbarcazione.
All’alba.

Dalla terra           al mare
dalla Libia           alla Tunisia
respinti                sospinti

cullata morte      cullato mare.

Chams si china a Zarzis
in un pezzo di terra
e seppellisce destini incompiuti,
volti, che ancora chiedono sponda.

Ma, quale sponda?

Chams annota
la geografia dei loro corpi
sesso presunta età
caratteristiche somatiche
un segno una cicatrice.
Forse servirà.
A lui serve.
Per ricordarli.

Non c’è più spazio.
Chams guarda
a un campo da calcio
poco più in là, dove nessuno gioca.
E chiede quella terra,
terra per la misericordia chiede.

Ma forse
non esiste tale cambio di destinazione.

Non esiste un cambio di destino.

Ora, resta. Come
sfinito abito della notizia appeso al filo
campana a vento della memoria
orchestra del mare

cullata morte       cullato mare.

Adriana Tasin

 

La poesia Cullata morte, tratta dalla raccolta Fatti reali immaginari, Arcipelago Itaca 2022, è ispirata al ricordo di un naufragio avvenuto nell’estate 2019 al largo di Zarzis, in Tunisia. Un gommone partito dalla Libia e diretto in Italia, con a bordo persone provenienti da vari Paesi dell’Africa e dell’Asia, naufragò provocando circa ottanta morti. In una nota al testo l’autrice delinea contorni e retroscena dell’accadimento. A Zarzis non è infrequente che i pescatori si trovino a soccorrere i naufraghi o a recuperare i cadaveri trasportati dalle correnti. Chamseddine Marzoug, detto Chams, si occupa della loro sepoltura, accompagnandoli nel cimitero dei morti senza nome, nel terreno di una vecchia discarica. Invitato presso il Parlamento Europeo, Chams afferma che è necessario avere altro terreno per continuare a seppellire i naufraghi. Sempre a Zarzis, Mohsen Lihidheb raccoglie da anni gli oggetti che il mare deposita sulla spiaggia; un impegno ecologista, ma anche, con il tempo, una missione di recupero della memoria. Così prende forma il Museo della memoria del mare, dove gli indumenti, le scarpe, gli effetti personali appartenuti ai naufraghi vengono esposti, appesi con un filo alle mensole. In Italia un progetto analogo, volto al recupero e al riuso sotto il segno di una rinascita, è realizzato grazie al lavoro di maestri liutai e dei detenuti del carcere di Opera di Milano; con il legno dei barconi dei migranti arrivati a Lampedusa si producono violini, viole e violoncelli che formeranno “L’orchestra del mare”.
La poesia si apre con il riferimento ai corpi galleggianti accanto alla barca da pescatore di Chams, in un’alba estiva: «Arrivano con il pescato». La sovrapposizione morte dei pesci/morte degli umani crea uno scenario denso di pathos. Ma mentre la prima si lega ad una sia pur crudele legge di natura dettata da sopravvivenza, la seconda è tragicamente insensata. In un mare che troppo spesso divide anziché unire, l’impatto visivo dato dagli spazi vuoti all’interno dei versi sta a rappresentare la frattura, la terra di nessuno che separa ed inghiotte tra sponde opposte, irrimediabilmente lontane. L’io poetante si fa portatore di una narrazione paratattica e asciutta, ma non priva di compartecipazione emotiva: «Ma, quale sponda?». Questa interrogativa, drammaticamente retorica, in carattere corsivo, sembra pronunciata dalla voce corale di una tragedia antica, ad esaltare la dinamicità del racconto e l’empatia. Nella volontà di preservare uno scampolo di giustizia, resta la preghiera che la terra possa almeno ospitare degnamente i loro corpi, corpi di donne, uomini, bambini: «E chiede quella terra,/ terra per la misericordia chiede». Un appello in nome di leggi universali, enfatizzato dalla ripetizione del verbo e del sostantivo, in posizione di chiasmo.
Rimane la preziosa presenza degli oggetti, che parlano alle generazioni attuali e future, testimonianza e monito di coscienza. Questo significa cullare la morte, il mare: avere cura di quanto la morte ha risparmiato, di ciò che il mare ha reso, in una promessa di vita rinnovata nei percorsi della memoria.

 

Adriana Tasin è nata a Tione di Trento nel 1959. Si è laureata in Scienze Naturali all’Università di Bologna e fino al 2021 ha insegnato discipline scientifiche in Val Rendena, a Madonna di Campiglio, dove tuttora vive. Si è dedicata alla scrittura in forma poliedrica e negli ultimi anni ha focalizzato l’attenzione sulla produzione poetica ottenendo importanti riscontri positivi anche in questo ambito, oltreché in quello narrativo. Suoi testi inediti compaiono in antologie collettanee e blog letterari quali “Bibbia d’Asfalto – Poesia Urbana e Autostradale”, “Di sesta e di settima grandezza”, “Larosainpiù”, “La dimora dello sguardo”, “Transiti poetici”. Nel gennaio 2020 ha pubblicato la sua raccolta poetica d’esordio, Il gesto è compiuto, con Puntoacapo Editrice. L’opera ha ricevuto importanti riconoscimenti in diversi concorsi letterari risultando, in particolare, tra i vincitori nei premi: “Cecco D’Ascoli” Opera prima 2020, “Alberoandronico” 2020, “Città di Arcore” 2021, “Tra Secchia e Panaro” 2021. Una selezione di testi inediti di Fatti reali immaginari è stata presentata in anteprima a Genova durante il reading, nell’autunno 2021, dell’evento Poème électronique, rassegna di poesia e musica elettronica.

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