Tutta l’attenzione del mondo poetico è continuamente puntata su una produzione di stampo tradizionale, in cui la composizione si muove lungo le rette orizzontali e verticali stabilite da una formattazione conclusa nella sua rigidità unanimemente approvata. Tuttavia, sebbene in Italia sia raro, resiste, nelle plaghe periferiche sia dell’editoria che della promozione letteraria, qualche solido e valido esempio di sperimentazione che, recuperando delle esperienze avanguardiste novecentesche l’opportuno spirito di innesto nella contemporaneità di cui la poesia dovrebbe nutrirsi, pratica la strada dello stravolgimento della dimensionalità tipica del verso, ed il libro Sequenze per sbagliare il bersaglio (Pietre Vive 2021) di Giulio Maffii coglie benissimo questo approccio.
Tra mandala da ufficio delle human resources e miniaturismo di ascendenza medievale, questo libro strania la poesia nella forma canonizzata strappandole di dosso la ieraticità della direzione obbligatoria: il testo, tra frecce e costrutti ad albero, ci informa su un suo plausibile orientamento, ma in background risuona chiara la domanda “chi sono io per dire al lettore come deve leggere il mio pensiero?”. Questa mossa sfasa la visione e impone una costruzione alternativa, condivisa e decentrata, dell’universo di senso applicato al reale, rifondato su una planimetria a scansioni speculari, simmetriche, in cui predomina la circolarità ossessiva ed inquieta del sosia, duplicato allarmante che muta il circostante affinché coincida col suo passo titubante, con la sua fragilità pulviscolare.
Maffii ci fa leggere in diagrammi e istogrammi la precarietà di questa «vita al condizionale» (p. 16), mettendo in mostra quanto la parola sia «frattura esposta» (p. 27) che fa sgorgare dolore, delusione, spasmi di volontà che attendono di essere frantumati. In più luoghi sperimentiamo la burocrazia del vivere, l’obbligo a seguire il copione e rispettare i ruoli, ma questa staffilata funge anche da invito alla reazione, a sbagliare volontariamente e non colpire il bersaglio che ci hanno posto di fronte, a «ricordarsi / di tanto in tanto / di essere felici / perlomeno / unici» (p. 24).
La parola poetica si candida quindi ad interrompere l’ossessività del pendolarismo esistenziale che ci assillerà fino al capolinea, e addirittura chiudere gli occhi ed abbandonarsi al nero pece dell’ultima pagina sarà l’atto supremo di ribellione: sottrarsi al tiro al bersaglio e sentirsi finalmente, felicemente in fuga.

 

da Sequenze per sbagliare il bersaglio (Pietre Vive 2021)

Giulio Maffii, scrittore e critico, ha diretto la collana di poesia contemporanea per le Edizioni Il Foglio, ed è stato capo redattore della testata giornalistica «Carteggi Letterari» e adesso per la rivista «Atelier». È docente di storia contemporanea del corso di laurea in Scienze giuridiche della sicurezza presso l’ISP di Firenze. Nel 2013 è uscito per Marco Saya Edizioni il saggio breve Le mucche non leggono Montale. Nel 2014, ha pubblicato per Marco Saya Edizioni Misanabì sui miti della morte degli Indios Taino. Nel 2015 esce il poema storico Il ballo delle riluttanti (Lamantica Edizioni) e nel 2018 Angina d’amour (Arcipelago Itaca). Maffii fa parte dell’associazione “Pallaio” per gli studi antropologici e multidisciplinari di Firenze.

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1 Comment

  1. Mauro Barbetti 16/07/2021 at 8:06 pm

    Trovo questa proposta poetico-visuale di Maffii davvero interessante e ben calata nel contemporaneo di uno spazio-parola ormai poli-direzionale e poli-concettuale.