Nati negli anni Ottanta è un progetto a lungo termine che ha l’intento di riassumere e catalogare le esperienze poetiche individuali o collettive portate avanti da autori scriventi in italiano nati tra il 1980 e il 1989. Si tratta di poeti cresciuti letterariamente in ambiti e contesti diversi e dunque legati spesso a modi di intendere il discorso in versi del tutto differenti. Per segnalare i libri dei poeti nati negli Ottanta scrivete sul form di contatto.

 

Davide Castiglione (1985) è docente all’università di Vilnius, dopo un dottorato in Inghilterra. Ha pubblicato saggi su riviste quali «Strumenti critici» e «Language and Literature», e di recente lo studio monografico Difficulty in Poetry: a Stylistic Model (Palgrave 2018). I suoi interventi militanti sulla poesia contemporanea italiana sono raccolti sul suo sito (davidecastiglionecritica.wordpress.com). Come poeta, ha pubblicato Per ogni frazione (Campanotto, 2010) e Non di fortuna (Italic Pequod 2017); con alcuni inediti è stato di recente finalista al Montano (2018) e vincitore al Premio Renato Giorgi (2018).

 

 

 

Poesie tratte da Per ogni frazione (Campanotto, 2010)

 

C’è un passare di gente,
di visi in vetrina e sotto i portici
l’arco più basso delle labbra.

Non è l’inverno ad abbottonarla,
mi convinco, se i cappotti
stringono i gesti a farli simili
a un viale senza deviazioni;

sarà la paura di urtarsi
pari al desiderio di urtarsi,
sui marciapiedi un vestirsi a sorriso
che più eccede e più lascia

nudi: così, per non sentirci
assenza o incrocio mancato,
gente a passarsi in mezzo,
in vetrina, a passare, a non conoscersi.

 

 

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Poesie tratte da Non di fortuna (Italic pequod, 2017)

 

Ape

Sul battiscopa la sua mite industria
le rimane aliena. Parlo di cose più grandi
di noi, di un’ape che si arrampica,
malamente – ti suono lontano, al telefono, e quella pena
in salita, che non potrà salvarsi
dai ricami sull’esistenza e i merletti accaniti
si stacca; è un corpo
per terra; tòrto; terminale.
Capiterà di pestarlo; passare
l’aspirapolvere la spugna e via.
Avrò strisciato un ciao in minore
e chiuso, avrò passato l’aspirapolvere, e via,
l’acino scheletrito ascende e va alle stelle
la fiducia alla tele, l’annuncio
che la stagione si apre in grande
e macché cadere lei dolcemente scendeva
dal pendio domestico, che l’inverno è anche questo.

 

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Checco

Si innalzano blocchi di anche un decennio
tra le parti, i gruppi, le coppie; e non “kumpa”,
compagnia si dice, non in gergo, non più in, il
gergo ci costringe le biografie all’indietro
(stesso compito svolge il punteruolo
su un foglietto, o i colori che portiamo addosso).

In questa miniatura come tante dello stare
è cosi: sei la palta indifesa, Checco,
scavata dentro lo scherzo degli altri.
Che unisce. Salvi tutti, allora, da un parlarsi sopra
a rovescio. I venerdì, guidando, rimaneva fuori
come San Salvatore da Val Parolo

la distanza dentro di me congenita,
uno meno espugnabile ma appena
(intanto proseguono, tirano dritto
la prassi degli uffici, l’idea sola dei negozi,
le transazioni destrutturate;
l’hangar dei telecomandati è entrato

in disuso). I venerdì, col racconto e la strana fidanzata
che da un’era ti sei fatto promettere, che scritto non hai mai,
la paura degli apripista e la mia
è salva, sventata dai suoi versanti, svanita
fino al sogno delle tre del mattino:
dove non trovarti è un nostro fallire, come prima.

 

 

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Poesie tratte dalla raccolta inedita Diario della baldanza

 

Il bimbetto fa una marcetta in cerchio, come se girasse sul triciclo, calcando l’affondo del piede sul parquet, come se facesse fondo in montagna. Mentre la madre esagera nel fingersi indaffarata nella stanza accanto, e io la aspetto per una fattura imprecisata, lui innalza e mantiene una nota quasi di soprano, un filo sonoro neogotico che ha dell’inquietante. What a nice voice dico a un certo punto con una sincerità sinistra. Per tutta risposta lui mi guarda un attimo, poi di scatto si volta seguito dall’onda del caschetto biondo, e riprende la sua nota.

 

***

 

Dove è l’implosione non sono io. Mi espando infatti, in gesti ed escrementi disseminati anche nei nodi del virtuale. Ingegnatevi a far sì che sia tutto giuntura, poiché fa paura la carne, cattolici o meno. Lasciati andare, attraversare da tutto mi soffi tu addosso, e cosa ci faccio allora qui ai limiti del passaggio pedonale, ad aspettare che l’omino stilizzato non imploda, diffonda verde.

 

 

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Poesie tratte dalla raccolta inedita I doveri di questa costruzione

 

I progettisti (le gradazioni del cielo)

I depositi John Lewis fanno mimesi col cielo delle cinque,
i progettisti mandati all’aria aperta, a studiare le gradazioni,
dopo un pranzo leggero tra colleghi
platessa indivia e un bianco un po’ frizzante
realizzano tutto d’un colpo, il tono da intercettare
lo passeremo ai pixel e da lì ai pannelli di ghisa
renderemo leggeri gli imballaggi e spirituale il terziario
il nostro premio d’appalto, questo vasto quadrilatero
enigma o pastello evanescente. Per oggi
è decisamente molto, è quasi tutto per oggi,
torniamocene a casa ma tu, la cravatta già allentata,
nascondilo un po’ meglio quel mezzo passo di danza.

 

***

 

Performance elettronica no. 4

Il mantice rimesta una malinconia sinuosa,
senza oggetto, spietata, moto di circoli,
brodo di un mondo non disabitato
ma che distanze, grandi, tra gli elementi primari e sparsi,
per esempio questi graffiati che montano in grumi,
proprio un dolore che si rigira nel suo rituale,
si trascina il pianto come un’avanzata di rettili lenti
vòlti verso un’estinzione cocente
una di quelle per cui mi persi è in questo locale qui
la fascia una mantella zingara e chic
me la sottrae una colonna nera le volute
del brodo si gelano sugli inseguimenti
per strada (film d’azione con pretesa autoriale)
la voce dell’help desk è flebile ma non da escludere
suona come un’ipotesi nella testa del detective
ogni corda di contrabbasso toccata
suscita l’interrogativo vuoto e il sussulto
della domanda privata di contenuto
qua e là scattano cancelli
o sono borchie o catene a minacciare
dallo sguardo intento e pacato di lui
dietro la colonna di prima intuisco
le parole di lei la sua postura si sta chinando
a guardargli le mani, forse il polso
su cui campeggia un tatuaggio cool
mi vengono interrotti di schianto
da un vibrare definitivo, lungo capodoglio,
ondate da stadio, catenaccio ipnotico e furbo,
strategia d’accerchiamento
che tiene a distanza i fischi dei rapaci i
sibili delinquenti che rilanciano il rischio
finché s’immette un certo allarme nel fumo
un barrito d’avvertimento dal fondo buio
riporta a galla il brodo indistinto, il grumo indomandabile
dove tutte le ferite si raccolgono nell’unica.

 

 

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Poesie tratte dalla raccolta inedita La parzialità dei molti

 

Alcuni sono una forza, una. Angolo cucina con torta che fuma.
Balcone dove fuma ogni tanto anche lei, dove imita le voci lui,
e io ci casco e condivido io. Lei dopo i pacchi riposti con cura.
Dopo miglia di furgone lui, l’unghia annerita dal peso di una porta.
Televisore da quaranta pollici, per le partite e le notizie da
un’Italia che mah, si riprenderà? La piccola è una forza, una,
ha l’accento di qui. Sul suo monopattino rosa, nuovo di zecca,
supera in scioltezza tutto lo sporco, i go fuck yourself che ci tocca
subire e peggio, quella volta che le ostetriche, strafottenti, ti dico,
e come se rischiavo, di morirci rischiavo, ma poi il secondo,
miracolo di papà e mamma, occhietto calmo e ditino di panna…
vi daremo tutto quel che riusciamo, risplendiamo di voi già adesso.

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