Immagine di Fernanda Veron

Dalla Motivazione della 6a edizione del Premio nazionale editoriale di poesia “Arcipelago itaca” – Raccolta inedita di versi – Non opera prima, di Daniele Mandolini

C’è moltissima vita, nel lavoro in versi di Silvia Molesini che porta il titolo di Dentro il tuo occhio nero dormiamo. L’autrice offre al lettore – visto l’incalzare delle sequenze dei testi e dei versi potremmo meglio affermare che impone al lettore – molteplici e sorprendenti visioni (come dei piani-sequenza a volte ad arte interrotti) sul proprio e comune essere al mondo. Chi compone non manca di rivolgere uno sguardo attento ad una quotidianità dove emergono tra i protagonisti, solo per fare alcuni esempi, sia il pensiero della morte che l’amore, che l’idea di dio. Il mosaico assemblato dai versi della Molesini, però, pare connotarsi soprattutto per una dimensione/dinamica che affascina in quanto, si potrebbe dire, “differentemente dotata” di una concretezza fruibile in primissima battuta. Il versificare è spesso come sospeso in un ambito di dialogo tra sé e sé dove il passato, il presente e il futuro si fondono in un’unica entità, dove le azioni sembrano confondersi e contraddirsi (…) e dove una catena di minimi eventi – che in qualche caso possiamo riconoscere come appartenenti alla vasta schiera delle miserie umane – viene narrata con dovizia di particolari parimenti minimi ed apparentemente marginali. […]

da Dentro il tuo occhio nero dormiamo (Arcipelago itaca 2021)

Nuda allineata al mostro degli occhi suole
scarpata come una che disintegra fare a
pezzi : i ruoli sono fotografie sui comodini.

Vecchia quanto loro e quanto loro esorta
la strada il senso la commessa il decreto o
s’imporpora va a fuoco la diresti dare crème.

Sbagli: è continua la lotta per l’inconclusa
sua domesticata suo potere sonnifero sua
gogna, espone e chiude, spacca-sogna.

*

Dici che ancora ti ricordi di me
quando sono sparita per cent’anni
e sono diventata un’altra tale
questa cartolina ritagliata a cui dai
in malincollata composizione
le tue linee, scatto, gesso, come ali
spaghi nastro-di-carta terre vitrail
rottami polveri d’ossi ocra neri
– visioni della luce quando scompari –
di un “no se” cattiva maniera sporchetto
presa pure qui ci scommetto
dalle tue sacre vene; e la riga
spuria che risolve senza parole
si sente con l’anima un po’ dura
ma morbida di tutta la luce
capisce il senso del taglio del blu
e dio si arrabbia allora con tutta te
e allunga una ruggine che ci ama.

*

Occupata da qualcosa di lontano che appare vicinissimo
Giovanna Ivana Maria scorre le cose del passato
ogni mattina si sveglia dopo tre ore di sonno la stanza
sembra subito un cimitero morbido poi si trasforma nel
movimento appena nato del corpo disteso lungo.
I pensieri come personaggi allineati dell’appena ombra
parlano tra loro dicendo di fatti come confondendosi in
conclusi ma non sappiamo se lo siano stati mai in fine
cosa si sa? sa questi accumulano incoerenze parla al
sogno una volontà di inquadramento nel coso di Sé.
Io l’ho chiamato imbroglio ma in verità nessuno mai
ha voluto davvero questo tutto è filato perché poarin
è una robina magra bianca e molle non sa come fa
a resistere nel buio della luce sperperata che l’estrae
è disoccupato da qualcosa che ora lo scaraventa.

*

ma prendiamo per esempio la ragazza
quella che avrebbe il folle andare e cento
isolette conseguenti in pensiero
prendiamo questa vecchia che gira nel
l’incantesimo incatramato e che niente
ha mai veramente incontrato salvo
un piccolo splendore locale,
somigliava alla madre
l’hanno trovata piangere
su poca cosa,
ovviamente
certi poeti sanno quando smettere
ma mica tutte le ragazze hanno la vecchia
accanto a parlare con tre persone
sempre, a chiedere cosa si è rotto
cos’è saltato sopra le mine e
chi ha sparato; invece non è successo
(somigliava alla madre che piange
senza il figlio morto sulle gambe)
niente tutto appunto
avrebbe un garbo
insolente

*

È sempre torbido parlare noi
ma non c’è altro che possiamo
la paranoia sottomessa al parlato
noi sempre torbidi ci amiamo e
vengono i funamboli a portare
in giro le lettere e l’estate.
Ci raccontano le robe sporchissime
a cui non si crede ma da
qualche parte sporge una specie
di sintomo, un sospetto, e cediamo:
si cede sempre da vecchi, inutili
spossati inermi e soli, chiunque.

 

Silvia Molesini, nata il 14 luglio 1966, vive e lavora come psicoterapeuta a Costermano sul Garda. Ha pubblicato le raccolte Nuova noia (Ibiskos 1987), L’indivia (Campanotto 2001), Il corpo recitato (I figli belli 2004), Lezioni di vuoto (Liberodiscrivere 2006), Cahier de doléances (Samiszdat 2009), 13 algebriche mistiche (voici la bombe 2010), Un Es opaco (ebook, amazon 2014), Mazzo di fiorellini (Oèdipus 2016) e il romanzo in blog Nascita e morte (titolo provvisorio). Ha partecipato al romanzo a rete Rifrazioni scomposte su corpo 12 e, per circa due anni, è stata membro fondatore, al progetto Karpòs. È presente in diverse antologie, su riviste letterarie , fascicoli e siti web (“Le voci della luna”, “Filling Station”, “L’ortica”, “Critère”, “Niederngasse”, “Progetto Babele”, “Il foglio letterario”, “Historica”, “Absolute Poetry”, “Lettere Grosse”, “La dimora del tempo sospeso”, “Podcast di Poecast”, “La poesia e lo spirito”, “Private”, “Tellusfolio”, “Nuove Tendenze”, “Ellin Selae”, “Versodove”). È stata segnalata in alcuni concorsi di poesia (nel 2008: con Esanimando al Premio “L. Montano”, e al premio “Mazzacurati/Russo” con Cahier corpo piccolo). Ha collaborato con “Zeropoetry”, “Absolute Poetry” e “Vdbd” e tuttora collabora con “NiedernGasse”. Work in progress: Castello.

(Visited 245 times, 1 visits today)