da L’Enigma del Paguro, La Memoria della Magnolia, L’Approdo del Salmone (2019)

18. Globalizzazione mediterranea

L’innalzamento dei mari
già mi scortica i piedi:
il Mediterraneo ha sommerso
città, Alpi e chiese,
lambisce la mia quotidianità.
Onde di carne e parole gridate
portano relitti di foreste lontane.
Un treno corre sulle rotaie.
Parlano a voce alta dall’Africa nera
in telefoni di sangue e pietra,
videochattano due slavi
intimità pubbliche e violente,
borbotta il vecchietto nostalgico
di qualcosa che non c’è mai stato.
Memorie e dialetti faranno la fine
dei califfi andalusi di Cordova?
Non lascio a nessuno occhi verdi e sorriso;
spero di lasciare qualche verso,
un po’ di sale per questa zuppa di sangue.
Siamo africani, indiani, romagnoli,
abbiamo odori diversi
ma lo stesso destino:
scendere dal treno
e andare chissà dove.
Cerco un pensiero per surfare le onde
o stivali divini per camminare sulle acque.
Ma trovo solo slogan
che galleggiano a malapena.

*

41. Un inizio eterno

Chissà com’era il giorno del Big Bang.
Il mio è appena iniziato
e mi godo il tutto che sta ancora
fra le tue braccia e le mie.
Due fratelli fanno da satelliti
al nostro sorridere all’unisono.
Sono sempre belli gli inizi:
il tempo pesa niente sulle mie spalle,
ne porto solo pochi sacchi
e posso correre leggero.
Del futuro immagino le pozzanghere del cortile,
le partite a burraco e le cioce.
Farò il trattorista insieme a Pasqualino
mentre tu mi guardi sorridendo.
Sono sempre belli gli inizi.
E per me l’intero universo è in questo inizio,
fra i miei lego e il tuo sorriso.
E questo inizio dura in eterno.

*

69. Il valore di un nome

Guardo un fiore appena sbocciato.
Non ha nome.
Io lo chiamo rosa
ma non ho scelto io questa parola,
me l’hanno insegnata con l’italiano.
Deriva dal latino, rosa rosae,
che deriva dal greco ῥόδον,
che deriva dall’antico persiano vereda,
che deriva dall’indoeuropeo vardh.
Che deriverà magari da un qualche verso
di un qualche ominide dimenticato.
Chiamo quel fiore rosa
perché un ominide
duecentomila anni fa
ha fatto un verso.
La rosa tace.
Crescono le spine.

*

97. La fine dello spettacolo

Io lo so che un giorno
prima del previsto
ci chiameranno tutti sul palco,
Re, banchieri e mendicanti,
sipario chiuso, cuore in gola,
ad aspettare il responso del pubblico.
Chi ci sarà in quella platea?
Apollo e Dioniso?
San Pietro e San Paolo?
Shiva e Visnù?
Lo Yin e lo Yang?
Uno strabordante Nirvana?
Non lo so.
Ma so Chi sarà nel palco d’onore.
Per questo scrivo poesie.

 

Paolo Gambi è nato nel 1979. Poeta, scrittore e giornalista. Nato a Ravenna, si è laureato a Bologna prima in giurisprudenza, poi in psicologia. Ha un dottorato di ricerca in materie storico-giuridiche. Ha scritto saggistica, narrativa e poesia. Da anni ricerca il rapporto fra la poesia e le nuove tecnologie. Da alcuni anni cerca di fare da cerniera fra il vasto mondo della “instapoesia” e il mondo della poesia autentica tramite il suo profilo instagram. Scrive poesie legate alla crescita personale. Ha operato per alcuni anni come mental coach. Da quest’esperienza è nata la raccolta “L’enigma del paguro”, da cui ha tratto anche uno spettacolo. Sperimenta l’ibridazione fra poesia e arti visive. E fra poesia e musica. Nel mondo dell’arte collabora per esempio con la Galleria Marignana Arte di Venezia. È stato nominato “Testimonial del mese della cultura italiana” nel Principato di Monaco nel 2014. Ha scritto complessivamente 28 libri ed è tradotto in cinque lingue. Per molti anni ha pubblicato per il Gruppo Mondadori. Ha scritto per molti giornali e riviste sin dalla fine degli anni “90: Il Resto del Carlino, il Giornale, La Voce di Romagna, l’Huffingtonpost. Dopo un’esperienza al Financial Times a Londra è tornato in Italia. Per sette anni ha scritto e condotto programmi sull’emittente emiliano-romagnola “Tele1”. Dal 2005 è contributing editor del Catholic Herald di Londra. Ha vissuto e operato a Malta. Ha scritto la raccolta poetica poetica L’Enigma del Paguro, La Memoria della Magnolia, L’Approdo del Salmone (2019).

 

 

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