Il volume antologico Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla rete curato dal team di Alma Poesia, è una corposa e accurata opera di mappatura che raccoglie i testi di autrici e autori appartenenti a diverse generazioni e le loro riflessioni in versi sulla Rete e sul significato che essa ha assunto nelle nostre vite. Innanzitutto perché la scelta del titolo Distanze obliterate, che è un frammento di una delle liriche contenute nel libro, firmata da Giovanna Rosadini?

La nostra idea iniziale era quella di rinvenire tra le poesie che sarebbero arrivate le parole che avrebbero costituito il titolo del progetto e, in uno dei testi di Giovanna Rosadini, una volta ultimato tutto il lavoro di selezione e di costituzione del volume, abbiamo trovato quelle che meglio esprimevano il senso generale dei componimenti che erano andati a costruirlo. Infatti, i vocaboli di Rosadini, in questo accostamento sostantivo/aggettivo, uniscono un concetto, quale quello di distanza, correlato alla Rete fin da suoi esordi, a obliterate, che efficacemente ne declina l’accezione con la quale l’idea è stata rielaborata dalle autrici e dagli autori presenti nel volume, con sorprendente trasversalità generazionale. La Rete aveva promesso, dapprima, un abbattimento delle distanze spaziali: anche se lontani, saremmo stati vicini; centinaia di chilometri ridotti a un clic. Contestualmente, la promessa di riduzione distale aveva investito anche la sfera temporale: la possibilità di facile recupero di amicizie e rapporti ascrivibili a un tempo altro della nostra vita rispetto a quello presente, comunicazioni rapidissime, tempi di passaggio tra penso di fare/faccio pressoché ridotti a zero. Eppure, a stretto giro, la Rete ha presentato il conto altissimo dell’eliminazione apparente di queste distanze, generando una modificazione del rapporto pubblico/privato non ancora metabolizzata pienamente e una separazione nella vicinanza, una disgregazione di quello stesso villaggio globale che essa stessa aveva contribuito a costruire. Insieme ma soli, espressione con la quale è stata tradotta nella nostra lingua la titolazione dell’opera Alone together di Sherry Turkle, ben sintetizza questo fenomeno che rappresenta, in relazione al volume, la spinta più forte che ha smosso le penne/tastiere dei nostri autori. La nuova distanza, che potremmo definire come distacco e quindi come allontanamento forzato da qualcosa in precedenza unito, e dalla quale deriva la perdita di valore dei simboli preesistenti (σύμβολον è ciò che è stato messo insieme) e la ricerca spasmodica di nuovi, si è declinata con esiti ovviamente differenti, anche in relazione alla sfera anagrafica di appartenenza; inoltre, l’obliterazione, rimanda etimologicamente a ciò che non c’è più perché cancellato, reso illeggibile con un evidente richiamo alla parola che in questo lavoro è, insieme alla Rete, grande protagonista.

L’antologia è suddivisa in due parti: la prima accoglie gli omaggi di autrici e autori dalla carriera poetica ormai consolidata, che hanno accettato l’invito a presentare propri contributi sul tema proposto; la seconda ospita invece gli inediti di poete e poeti che hanno risposto alla call del blog Alma Poesia e che dal suo comitato editoriale sono stati considerati idonei. In ognuna delle due sezioni, generazioni anche lontanissime tra loro (comprese tra il 1940 e il 1999) sembrano dialogare a distanza, appunto, sul destino a cui le nostre esistenze stanno andando incontro nell’era digitale, popolata di luoghi virtuali, come ad esempio i social, nei quali a volte sostiamo più che in quelli fuori dagli schermi. È possibile tracciare per i vari gruppi anagrafici presi in esame delle macro-tendenze che definiscano questa relazione con la Rete e con le sue forme di comunicazione fluide e immediate? La visione del Web e del suo groviglio di relazioni e informazioni muta nello sguardo di chi appartiene a generazioni (e dunque a tempi) differenti, e se sì, in che cosa?

Ogni sezione anagrafica è accompagnata da un commento critico, curato dai membri di Alma Poesia, che ha come obiettivo proprio quello di mettere in luce possibili analogie o differenze all’interno di uno stesso cluster che poi, nella postfazione, vengono messe in collegamento le une con le altre. Andando a ricomprendere uno spettro così ampio (l’autore più adulto è nato nel 1938, l’autrice più giovane nel 1999), avevamo messo in conto di rilevare atteggiamenti e visioni molto diverse, o addirittura contrastanti, e che queste disomogeneità si sarebbero trasposte anche nella struttura formale dei testi. E così, in effetti, è stato. Sinteticamente, nelle generazioni più mature, c’è una marcata distinzione tra la dimensione offline, alla quale si guarda con nostalgia e idealizzazione, e quella online, che diviene una sorta di personificazione del “male del mondo”. I soggetti delle generazioni Quaranta, Cinquanta e Sessanta tentano di applicare alla Rete le regole del “fuori dalla Rete” con esiti ovviamente fallimentari; il loro canto è un lamento e, allo stesso tempo, un’invocazione al ritorno di un tempo passato in cui era possibile vivere più autenticamente; nelle generazioni successive, quelle degli anni Settanta e Ottanta, la frattura online/offline è vista più da vicino ma l’impatto non è meno prepotente; tuttavia, al posto che guardare indietro, i soggetti di questi gruppi provano a guardare in avanti, seppur con disincanto e rabbia, poiché è dopo che si svolgerà gran parte della loro vita. Gli anni Novanta, che non esperiscono la rottura stando in continuità nella Rete, non sono però meno critici nei confronti della stessa: ne rilevano limiti e ambiguità, sperano in un suo utilizzo più consapevole e in una dimensione esistenziale meno immersiva. Di fatto, quindi, la visione negativa della Rete, ritenuta soprattutto responsabile di un indebolimento delle relazioni e di un affievolimento della solidità identitaria, è comune a tutte le generazioni, sebbene le modalità sia formali che sostanziali di espressione assumano esiti molto diversi tra un gruppo anagrafico e l’altro e, talvolta, anche all’interno dello stesso target. Ciò che sorprende è il comune desiderio di tornare all’intero: dal 1930 fino al 2000 tutti si vuole uscire dai frammenti, essere di nuovo parte di un tutto. E la poesia, altra risposta cruciale che abbiamo rinvenuto, continua a essere reputata uno strumento fondamentale per riacquisire, o almeno tentare, quella interezza e integrità di cui tanto si sente la mancanza.

È molto interessante notare come qualche poeta abbia affrontato l’argomento proposto riferendosi nel contempo anche a un altro tema molto attuale, e cioè la pandemia e i confinamenti che ne sono seguiti. Questo richiamo al tempo pandemico è presente soprattutto nei testi di autrici e autori di generazioni precise o è piuttosto trasversale?

La pandemia, insieme alle misure di contenimento prese per provare ad arginarla, ha agito, anche rispetto alle dinamiche della Rete, come un acceleratore chimico o, se preferiamo, come una lente di ingrandimento; ha cioè velocizzato i tempi di adozione di alcune pratiche che, soprattutto in Italia, tardavano a essere applicate nel loro pieno potenziale e ne ha evidenziato le ampie possibilità di utilizzo. Se oggi vocaboli come Smart Working, Dad, Teams, Zoom ci appaiono del tutto familiari, non solo a livello terminologico ma anche nella dimestichezza d’uso che abbiamo acquisito, è perché negli ultimi due anni, dallo spazio marginale che avevano, si sono fatti strada, andando a occupare una posizione centrale poiché, come ben sappiamo, hanno invaso la nostra realtà quotidiana personale e lavorativa.
Poiché l’invito di Alma era rivolto a testi che si occupassero della Rete in senso lato, considerato il periodo di apertura della call, è stato inevitabile che per alcuni i due temi, Web e pandemia, si intrecciassero e ciò è avvenuto con totale trasversalità generazionale, indice del fatto che, a prescindere dall’età, quello che sta accadendo ha impattato e continua a impattare prepotentemente su tutti noi, indipendentemente da genere, età, ceto sociale o credo religioso. I componimenti che però hanno avuto come focus esclusivo quello della pandemia, in maniera svincolata dalla Rete, sono stati scartati, in quanto fuori tema rispetto alle nostre richieste.

Dovendo tracciare un bilancio complessivo, quali traiettorie di senso attraversano i testi dell’antologia? Che cosa emerge in sintesi dal rapporto composito tra scrittura poetica e Web?

Provando a tirare le fila di questo lavoro che, come mi è capitato spesso di dire, mira a smuovere domande e riflessioni più che a fornire risposte, quello che ne emerge è, innanzitutto, come accennavo prima, un senso di nostalgia – nell’accezione proposta da Emiliano Morreale – nelle fasce più adulte (1940-1969) e che, in quelle intermedie (1970-1989) si trasmuta in presa di coscienza di una realtà alterata nella quale occorre ritrovare un senso; nel gruppo dei più giovani (1990-1999), invece, lo spaesamento si trasforma in una necessità impellente di ricreare e trovare nuove forme di espressione, dando ulteriore testimonianza di come, in questa fascia, prevalga un’active vision e cioè una visione che è fruizione, rielaborazione e progettazione del nuovo insieme, e non una passive vision, ovvero una captazione passiva del vissuto, che sempre più tende a essere concepito come immagine fuori-da-sé. Anche dal punto di vista del linguaggio lo spaesamento diviene un tema, non esplicitato in verbum ma sotteso all’intera antologia, un sentire trasversale tra le generazioni, come sottolinea Alessia Bronico nella postfazione al volume. Riporto proprio le parole di Bronico, che bene danno misura di quanto rilevato in fase analitica: «Nella fascia anagrafica 1960-1969 e 1970-1979 la parola “rete” è associata ad altri sostantivi di natura sfavorevole. Siamo di fronte alla creazione di una rete persona che avvolge, spreme, mangia, ingoia; una rete luogo che è ora gabbia, ora culla amniotica; una rete corpo che si sgretola ora deframmentandosi, ora assumendo le fattezze di fantasma, ora entità incorporea. Appare, dai versi, un interesse vivo alla realtà del tempo, con le sue problematiche, le sue espressioni, restituito da metafore animalesche e cosmologiche. E seppure si legge nostalgia per il passato, la sete di curiosità e la necessità di vita costringe l’immersione nel presente, la tentazione di vivere ossimoricamente, la volontà di preservare sé stessi e quella di tuffarsi in rete con gli altri. L’utilizzo della parola rete decade quasi del tutto nella fascia anagrafica 1980-1989 e poi anche in quella 1990-1999; in particolare in quest’ultima lo spaesamento è connaturato all’essere nativi digitali, la parola che fa capolino una sola volta è però permeata in tutte le poesie, emerge dai contesti. La rete è nelle stelle, negli spazi, nelle comunicazioni, è nella vita, della vita, non appare distinzione tra dentro e fuori di essa, il linguaggio quindi si fa più fluido, non ingabbiato in cliché. È qui che lo spaesamento è più netto, non è più perdita di un vecchio mondo, semmai coscienza di vivere un tempo colmo di riferimenti flessibili, il tempo in cui l’immortalità pare giunta, in cui il corpo non s’imprime, non resta, passa e ripassa, viaggia in un continuo resettarsi, rifare da capo, oppure dove il corpo diventa plurale nella sua modificazione in avatar con cui slittare nella rete. Ma è sempre in questa ultima fascia che la parola memoria arriva e si palesa come in dissoluzione, i poeti sembrano preoccuparsi di non lasciare traccia, di non essere che scia in dissolvimento senza senso».
Distanze obliterate evidenzia, nella complessità strutturale in cui si è consolidato, due elementi assai importanti: il primo è la necessità di indagare il rapporto Poesia&Rete da una prospettiva che non sia solo poetico-letteraria, poiché i testi qui contenuti forniscono la prova di quante implicazioni sociali, culturali, psicologiche, antropologiche e comunicative questo binomio continui a generare; il secondo è l’obbligo di cessare qualsiasi banalizzazione o semplificazione del tema, dal momento che la ricchezza di voci, visioni e forme stilistiche è il segnale fluorescente che le dicotomie di chi vuole continuare a parlare di poesia come se la Rete non esistesse o si potesse eliminare o di coloro che osannano la Rete senza valutarne criticità e discrasie rispetto al linguaggio poetico sono infruttuose e, come tali, vanno superate e sostitute da sguardi lunghi, inclusivi e interdisciplinari.

da Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla rete (Puntoacapo Editrice 2021) AA. VV. a cura di Alma Poesia

Dalla sezione “I testi degli omaggi”

TOMASO KEMENY (1938)

Mi fa ribrezzo l’assenza di forma,
la pretesa irraggiungibilità
della bellezza attraverso i media
m’infuria, con la muscolatura
compatta, cela la mia sofferenza
senza rassegnarmi di essere
mortale nonostante il silenzio
delle stelle, sento il canto sublime
del cosmo.

GIOVANNA ROSADINI (1963)

Qui, dove il tuo nome è evocato
nella privazione del tuo corpo, ti scrivo
parole che prolungano la solitudine,
coltivo l’assenza come una pianta
che potrà dare fiori in mancanza di luce,
e frutti immateriali come ombre,
mentre il fantasma di un abbraccio
attraversa la mente e lo schermo.

GABRIEL DEL SARTO (1972)

Falso sonetto americano
Tutto quello che rimane negli anni
di vecchie linee di un codice
scritte altrove, pensate da un altro
per altri scopi, nutre piattaforme
che lanciano anche stamani il solito
enorme e splendido attacco algoritmico
– New York Exchange o quello che sarà,
in altre città ventose, in futuri
secoli perenni di gioie cupe
e ignote; tutto questo nella pioggia
americana – segno dissolventesi
di un cuore realista – appare morto
se ti tengo in braccio, se ti porto
con me, sulla sponda opposta del fiume

Dalla sezione “I testi della call”

GABRIELLA MUSETTI (1948)
DI QUA DI LÀ DALL’ESTENSIONE

non riesco a condividere niente di me
se non le briciole
lo schermo diffrange le mie parole
le scalza le frantuma
non so vedere i volti delle persone
e non mi basta sapere che oltre il muro chiaro palpitante
esistono esperienze di vite sconosciute
quando cerco una strettoia per il passaggio
sbatto su un pulviscolo di particelle in aria
sfarfallano e ondeggiano nel buio

[…]

ADRIANA TASIN (1959)
CORPO A CORPO

[…] IV
Quel corpo nudo fermo
sulla spiaggia è insieme di pixel:
più chiaro più vivido meno drammatico.
Fotoritocco.
Ora occhieggia a lato del monitor
come internet marketing promozione estiva.
Nessuno si accorge che non era
turista nudista. Aveva perso i vestiti.
Aveva perso la terra i figli gli istanti.
Divisionismo colori dolori
scomposizione ricomposizione.
OFF.
C’è l’eco dell’onda che torna assorda
e rintrona.

FRANCESCO TRIPALDI (1986)
L’INDIVIDUO SUPERFLUO

E-poca

Se cerchi nel web
il web cerca dentro di te;
senza nemmeno faticare tanto.
L’epica della pirateria informatica:
segreti industriali,
cordoni ombelicali digitali,
ricette per biscotti in linguaggio binario.
L’aspetto coloniale di una faccenda post imperialista
è il nostro vivere di esigenze improcrastinabili,
di amori a grandi linee.
Questione di evoluzione convergente.
Come certe fragole
siamo rossi solo in superficie.
Un cupo dissolvi
di corpi celesti e beta bloccanti.

Alessandra Corbetta (Erba, 1988) è dottore di ricerca in Sociologia della Comunicazione e dei Media e lavora come Adjunct Professor e Teaching Assistant presso l’università LIUC-Carlo Cattaneo. Ha conseguito un master in Digital Communication e uno in Storytelling. Ha fondato e dirige il blog Alma Poesia, con il quale ha anche curato la pubblicazione del volume Distanze obliterate. Generazioni di poesie sulla Rete (Puntoacapo Editrice 2021). Collabora con il blog spagnolo di letteratura e poesia Vuela Palabra, scrive per il giornale online Gli Stati Generali e per UniversoPoesia – StrisciaRossa; per Rete55 conduce la rubrica “Poetando sul sofà”, dedicata a grandi autori della poesia italiana. Sue poesie sono presenti in diverse antologie e tradotte anche su riviste straniere. La sua ultima pubblicazione in versi è Corpo della gioventù (Puntoacapo Editrice 2019), mentre l’ultima produzione saggistica Corpi in rete. Rappresentazioni del sé tra visualità e racconto (Libreria Universitaria 2021).

 

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