Fotografia di Dino Ignani

Il moto a luogo immaginario che dà il titolo all’ultimo libro di Tommaso Di Dio, Verso le stelle glaciali (Interlinea 2020), è già un indizio su come intendere questi testi. Nella Nota finale, infatti, apprendiamo che si tratta di stelle inesistenti, ma anche che esse rappresentano «l’unico orizzonte che possa rendere pienamente reale il vero come il falso di tutto ciò che è stato e che non è stato». Non resta dunque che indagare la natura di questa indicazione spaziale del possibile.

L’autore ha voluto fornire quattro direzioni percorribili e varie mappe foto-testuali. In un primo momento, però, a muoversi è piuttosto lo sguardo dell’io, che si sposta attraverso uno spazio urbano presente sia nella parte iniziale che in quella finale della raccolta. Le immagini che rimangono più impresse di tali paesaggi si articolano su due livelli: uno sotterraneo come quello della metropolitana; l’altro piano, solare, ma di quel sole che risale nell’aria quando in estate picchia l’asfalto della città. Nel mezzo, un ambiente ospedaliero e il ricordo di Lascaux, in cui il linguaggio astratto cerca concretizzazione vocale e visiva. Il movimento più esplicito – centrifugo, dispersivo, effetto e causa insieme dello spostarsi verso un limite concepibile solo con la mente – arriva esplicitamente solo dopo.

Il viaggio sembra prendere davvero il mare aperto quando compare la voce di Cristoforo Colombo, mediata e spesso del tutto rivestita dalla scrittura poetica. Dal suo punto d’osservazione, il soggetto è alla ricerca di un infinito possibile, ma talvolta sembra costretto a immaginarlo da una feritoia mentale che incornicia l’orizzonte e rende indefiniti i contorni delle cose.

Ad una prima lettura colpisce subito l’organizzazione fortemente articolata e stratificata del libro. Se inizialmente questa impressione può essere motivo di confusione, il consiglio di arbitrarietà nell’ordine di lettura fornito dall’Avvertenza chiarisce poi la via del senso. Oltretutto, lo stile intessuto di ripetizioni, inversioni e triadi di sostantivi uniti o meno dalla virgola, rende la struttura del libro coerente nel messaggio fonico e ritmico. Grazie a queste luci significanti, Verso le stelle glaciali rivela in positivo il suo carattere di testo multistrato, da sfogliare lasciandosi portare dal caso, o meglio, dalle stelle guida dell’immaginazione.

da Verso le stelle glaciali (Interlinea 2020)

 

Tutto è stato interrotto. Spaccato l’angolo
il corpo della renna
fu sepolto nel lago con lo stomaco
pieno di pietre. Dopo settembre, ottobre
scaldava ancora il sole; l’aria
era docile. Senza menzogne, il computo stratigrafico
enucleava resti possibili e dava adito
a timide interpretazioni. Dall’altro capo del lago invece tu
parli; muovendo le labbra indichi
tane per la carne e scorte
residue di scheletri di pesci. Come se noi
fossimo sempre sotterrati e capaci
di accedere alle tue labbra
al primo senso.

*

 

Porto di San Sebastián

Isola di La Gomera, agosto

La nave è sabotata.
Dobbiamo attraccare: si è rotto un timone,
bisogna riparare

ritrovare la forma,
rifare la vela.

Un operaio sta in piedi, sul bordo della strada.
Rovescia luce e catrame
mentre un altro con un bastone
lo stende raso
nel sole forte di agosto.

Riparano. Ricoprono ogni strado. E fuma; e brilla.

Perché vi sia un passo in più
oltre questa pozza di mare. Perché vi sia spazio
oltre questo spazio, perché vi sia
qualcosa senza nome ancora che nei frantumi si faccia avanti e prema

grande luce emanata, mossa
sul bordo di questa strada azzurra, verso il cielo
tracciato in una sfera.

 

*

 

Io.

Verso le stelle glaciali.

Oppure puoi dire
un sentiero già segnato, un ritorno, una riflessione.
C’era la ghiaia. Io
sono venuto a stare qui, dopo anni.
Prima non c’erano queste pareti di plastica.
Fra i balconi, era tutto un corridoio lungo
e si poteva correre. Io
correvo.

Vengo da quella casa lì. Davanti al parco
con lo stagno e i girini dentro.

Fra tutto il fango, pozze
alberi betoniere cemento; e la grande neve
del Millenovecentottantacinque.
Ricordo il freddo, sì
il godimento
puro sui sedili di una FIAT
col padre e la madre seduti e protetti e invece là
il mio futuro
nella concreta forma di costruite
case di mattoni rossi, popolari
nel bianco
che si faceva grande, stupiva, allagava

e questo io
che ci ostiniamo a scrivere io

che è solo un buco

un calore che scava nella neve un cerchio

un cielo

fra gli occhi azzurri delle nuvole sguarnite.

 

Tommaso Di Dio (1982), vive e lavora a Milano. È autore della raccolta di poesie Favole (Transeuropa 2009). È giurato del premio Franco Fortini ed è membro del comitato scientifico della laboratorio di filosofia e cultura Mechrì (www.mechri.it). Nel 2014, esce il suo libro di poesie Tua e di tutti (LietoColle Pordenonelegge), tradotto in francese da Joëlle Gardes per Recours au poème éditeurs. Nel 2015 pubblica la plaquette Per il lavoro del principio, nata all’interno del progetto Le parole necessarie, in collaborazione con Il Centro di Poesia Contemporanea di Bologna e l’Ospedale Sant’Orsola. Nel 2017 è stata pubblicata in tiratura limitata la plaquette Alla fine delle favole, (Origini edizioni). Verso le stelle glaciali (Interlinea 2020) è il suo ultimo libro. È di prossima pubblicazione, per Effigie, la sua traduzione di La primavera e tutto il resto del poeta americano W.C. Williams. Nel 2018 è tra i fondatori della progetto di poesia e arte Ultima, per cui ha pubblicato la breve raccolta World Wide Whatsapp crash (www.ultimaspazio.com).

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