In questi giorni è attiva la campagna di finanziamento per la stampa dell’annuario di poesia Confini, con altri testi e la prima parte dell’intervista di Fernanda Fischione al rapper libanese El Rass: se vuoi aiutare Argo, clicca qui, riceverai la tua copia direttamente a casa.

Sei decisamente anomalo nel panorama del rap arabo contemporaneo. Per esempio, so che anche persone che in genere non amano il rap apprezzano quello che fai, mentre alcuni dicono che sei un po’ troppo “sulle nuvole”, che sei lontano dalla strada.
Solo apparentemente ci sono delle differenze tra me e gli altri. L’energia è la stessa, ma ognuno ha le sue peculiarità. E poi, se io sono sulle nuvole, allora Boikutt dov’è? O Haykal, il gruppo di Ramallah e Abyūsif (Muqāṭaʿa/Boikutt e Haykal sono due rappers palestinesi che fanno parte della vivace scena hip-hop di Ramallah, caratterizzata oggi da un forte sperimentalismo testuale e sonoro; Abyūsif è un rapper cairota noto per i suoi testi nonsense e provocatori e per lo stile trap dei suoi pezzi, ndt)… Il mio lavoro poi non è unitario, vado in direzioni diverse. Certamente non ho nessuna intenzione di riproporre le stesse cose che sentiamo da duecento anni, e cioè che noi siamo oppressi, e il popolo palestinese, e la Causa, e via dicendo. Se sento che quello che scrivo non porta niente di nuovo all’ascoltatore, che necessità ho di scrivere? Non avrei nessun bisogno di scrivere, se mi limitassi a ruminare pensieri già esistenti, se facessi rimare ḥurriyye [libertà] con ’aḍiyye [la Causa, in genere quella palestinese, ndt] o thawra [rivoluzione] con awra [genitali].
Ma tu sai bene che cose del genere esistono ancora.
Esistono ancora, sì. Io vedo una differenza tra il tradurre il rap in arabo e fare rap arabo. La svolta è che quello che è ‘arabo’ nel rap arabo è diventato predominante rispetto a quello che è ‘rap’. Qualcuno si mette a cercare un certo numero di termini arabi per rimpiazzare i termini inglesi in una track. Anche se sembra che così il campo lessicale diventi più comprensibile, in realtà questi testi non comunicano nulla alle persone: comunicano qualcosa solo a chi era già un hip-hop head (così si definiscono quei fans che fanno dell’hip-hop uno stile di vita, ndt), ma a me non interessa attrarre solo hip-hop heads. Voglio attrarre gli ascoltatori sulla base di quello che metto sul tavolo, non solo per i contenuti, ma anche tecnicamente, perché io voglio che il mio flow sia diverso da qualsiasi altro flow esistente (Il flow è il risultato della combinazione sonora dei diversi strumenti ritmici utilizzati in una track rap, tra cui la voce stessa dell’MC, e gli schemi rimici del testo, ndt). Sto ancora lavorando sulle diverse possibilità che la lingua araba nella sua specificità può apportare al flow, senza forzare la lingua, che è ciò che queste persone fanno. Non sono seri in quello che fanno. […] C’è gente che pensa che quanto io propongo non sia adatto alla musica, perché quello che metto in una canzone non è materiale da canzoni. Ma la realtà ha dimostrato che la gente si relaziona con questo molto meglio di quanto non faccia con chi ripete le stesse stronzate da anni, o dice stupidaggini tipo “ci amavamo, mi hai lasciato” e simili. Io non sono accademicamente complesso, tipo la filosofia della piega (riferimento a Le pli. Leibniz et le Baroque (1988) di Gilles Deleuze, ndt), hai presente? Parlo di cose che hanno tutte un legame con la realtà. Provo a ridefinirle, e a ridefinire tutto quello che ho intorno per vederlo in modo nuovo, e la gente capisce, a diversi livelli, in diversi gradi, in direzioni diverse. Non potrei desiderare di più. […].
Hai dichiarato più volte di non scrivere con un intento letterario, ma di avere uno stile più filosofico-scientifico. Ci sono eccezioni a questo? Per esempio ho notato che canzoni come ʿĀṣfe bi-finǧān [Tempesta in una tazza] o Dirāʿ Aḫṭabūṭ [Tentacoli di piovra] hanno la forma di un racconto vero e proprio.
Per quanto mi riguarda, le immagini, le metafore, la narrazione di una storia fanno parte dell’ampio spettro degli strumenti di cui dispongo, così come le punch lines (In una canzone rap, le punch lines o punchlines sono dei versi particolarmente forti ed espressivi ideati per “colpire” l’ascoltatore, o l’avversario dell’MC, in caso di rhyme battle – letteralmente, “battaglie di rime”, ndt), le storie un po’ scioccanti… La fuṣḥà [arabo classico] è uno strumento, la ʿāmmiyya [arabo colloquiale regionale] è uno strumento. A seconda della situazione uso lo strumento che voglio: a volte mi sento sognante, a volte sono arrabbiato… Io non sono della scuola dell’arte per l’arte. L’idea di scrivere trecento track al giorno, come se si trattasse di scrittura automatica, non è quello che voglio: io voglio influenzare le cose. ʿĀṣfe bi-finǧān, per esempio, sembra una cosa totalmente romantica, ma è una scena. Per me la canzone ha un doppio significato, anche se so che nessuno l’ha notato. Tutto in quella track fa parte della realtà, ma la cornice, essenzialmente, è una metafora: la donna di cui parlo è la rivoluzione. È la realtà, l’intensa realtà che io sto lì a guardare da lontano per un’ora, rimuginando se devo o non devo stare con lei, e alla fine viene fuori che lei è del tutto consapevole di quello a cui io sto pensando, e alla fine mi dice “fakkir ya fatḥ w ḫabbir-ni mīn ribiḥ” [Pensaci, furbo, e fammi sapere chi ha vinto]. Cioè “tu sei un semplice elemento, io ti ho visto e so a che stai pensando, ma io sono più grande di te”. […] O per esempio, quando scrivo in fuṣḥà… Io ho una buona conoscenza della fuṣḥà, e soprattutto di una parte della fuṣḥà che il 90% delle persone non capiscono, quella di qualche secolo fa. Ma questa non la uso mai, non come certa gente che vuole solo fare ostentazione: qual è l’utilità di usare parole super forti che nessuno capisce? Quella è la lingua che parlavano alcune tribù… Io uso la fuṣḥà in modo serio, perché ci sono dei vantaggi, non per fare sfoggio dei termini che mi piacciono. La uso perché ha una ritmicità bellissima, perché ti consente di esprimerti su molte cose, perché ci sono termini molto più precisi di quelli che usiamo in ʿāmmiyya. La questione, in ogni caso, non è fare sfoggio di questi strumenti, perché io non ho nessun interesse nel mostrare alla gente che so manipolare la lingua. Io ho un obiettivo, un sentimento o uno stimolo, e scelgo gli strumenti adatti a esprimerlo […]. È una questione di coerenza e coesione.
Che evoluzione c’è stata tra l’album Kašf al-maḥǧūb [Svelare l’occulto, 2012] e il successivo Adam, Darwin wa l-baṭrīq [Adamo, Darwin e il pinguino, 2014]? Poi nell’agosto 2016 è stato pubblicato un nuovo album, Idārat al-tawaḥḥuš [Gestione della barbarie]…
Io adesso sono già da un’altra parte, non sono più in Adam, Darwin wa l-baṭrīq. È sempre così: quando faccio uscire un lavoro è per superarlo, per passare a ciò che viene dopo. Kašf al-maḥǧūb è stato il mio manifesto, la mia dichiarazione di esistenza. C’erano un po’ di cose che avevo accumulato in precedenza e che dovevano venir fuori perché potessi poi incominciare a lavorare su altro. È per questo che Kašf al-maḥǧūb è molto cupo. È un album pesante. Ho un forte attaccamento verso questo album, ma secondo me non c’è paragone tra Adam, Darwin wa l-baṭrīq e Kašf al-maḥǧūb, soprattutto perché con Adam, Darwin wa l-baṭrīq ero rilassato, sapevo ormai che questa era la mia strada. Kašf al-maḥǧūb è stato registrato in condizioni tecniche, materiali e personali estremamente dure. Lo abbiamo registrato nella mia stanza, nell’appartamento al terzo piano in cui abitavo, su un computer vecchio di vent’anni […], e c’era il ventilatore che continuava a fare zzzzzzz… Abbiamo usato un software per togliere il rumore del ventilatore dall’album. Adam, Darwin wa l-baṭrīq era su un altro livello per quanto ero tranquillo, avevo il microfono in casa, registravo da Ǧawād [Nawfal, alias Munma, compositore di musica elettronica per i due album di cui si parla in questa intervista, nda]. E poi ho attraversato un sacco di cose in quel periodo, dal 2011 fino al 2014. Per me è stato il periodo di massimo coinvolgimento politico e rivoluzionario, un periodo di viaggi e di aperture, un periodo in cui ho suonato fuori e ho creato contatti con molte persone. Ho imparato tanto in quei tre anni, sono cambiato totalmente, in un certo senso sono nato nel 2011. Adam, Darwin wa l-baṭrīq è stato l’evoluzione naturale di Kašf al-maḥǧūb, ma allo stesso tempo aveva tutta un’altra energia, e il cambiamento dell’energia è legato anche al lato artistico: c’è una certa crescita, c’è una maggiore ricerca delle sfumature e anche di musicalità, e il contenuto, e il pensiero è più saggio. C’è un’esperienza significativa, quella della rivoluzione, in tutte le sue accezioni. Tra il 2011 e il 2014 c’è stato un insieme di eventi che ci hanno fatto capire le cose a un livello molto diverso: in parte ci hanno fatto capire quanto è importante il legame tra rivoluzione interna e rivoluzione sociale, quant’è importante la differenza tra la rivoluzione come idea politica, cioè come qualcosa che è limitato nello spazio e nel tempo ed è legato direttamente a un’ideologia, e la rivoluzione come processo continuo. Questo è ciò che conta per me, perché non appartengo alla rivoluzione in nessuna forma ideologica, non faccio propaganda per chi si definisce rivoluzionario, e non sosterrei mai nessun regime che si regge sulla retorica della rivoluzione […]. Ci sono un sacco di cose che sono venute fuori col tempo. […] Le persone oggi sono molto più tese, sono più confuse che mai. Quindi, abbiamo capito che c’è anche un’altra cosa che possiamo fare, e cioè raffreddare un po’ la testa delle persone, dar loro un po’ di distanza rispetto a ciò che stanno vivendo. In Kašf al-maḥǧūb, al contrario, l’idea era che ognuno dovesse scendere in strada e dare fuoco alle banche e roba del genere. Lo voglio ancora, ma capisco che c’è un tempo adatto a questo, e mosse diverse tornano utili in momenti diversi. […] La situazione è diventata più complicata, c’è una quantità di stronzate che a un certo punto sistemeremo, e dobbiamo essere pronti per quando accadrà. Allo stesso tempo, la connessione all’interno del mondo del rap arabo è estremamente intensa, oltre ogni immaginazione. […] Parlo della connessione tra gli artisti, è una cosa stupefacente: tu e quest’altro appartenete a una cosa condivisa, ma questa cosa condivisa non ha niente di ideologico, ha a che fare con gli strumenti, con un feeling, con un certo rigetto della realtà in cui viviamo, ma non necessariamente con le stesse modalità. Poi ci troviamo in luoghi geografici diversi, ed esposti a specificità diverse, e questo arricchisce moltissimo… Si condivide: siamo come un unico cervello che contiene tutte queste informazioni.
E tu chi vedi allo stesso tuo livello per esempio? Soprattutto fuori dal Libano, perché a Beirut le connessioni sono chiare.
Molta gente. Il gruppo di Ramallah per esempio: Boikutt, Haykal… La cerchia che vedo come la mia cerchia, anche se non sono miei amici – ci sono infatti alcuni tra di loro che non sono miei amici – va da Abyūsif a Boikutt al Farʿī (rapper giordano di origine palestinese, oggi attivo a Londra come membro del super-gruppo palestinese 47Soul)…

Ma Abyūsif è comunque uno che nelle interviste afferma sinceramente di non voler svegliare nessuno e di non voler cambiare niente…

Sì, ma questo fa parte delle sue cose. Abbiamo bisogno di gente così. Quello che lui sta facendo è emancipazione. […] Anche se lui dice che non vuole svegliare nessuno, tutto quello che fa, invece, sveglia eccome. […] Fa un rap più giocoso, nel flow, nella tecnica, nelle punch lines. Io preferisco cento volte Abyūsif a uno che magari scrive “l’Egitto di qua, l’Egitto di là” ma alla fine come flow e come tecnica fa cose che sentiamo da cinquant’anni e non dà niente di nuovo. Questo è molto importante: la questione non è il contenuto, la questione è l’intensità, e il grado di impegno che si mette nel fare cose di alta qualità, nell’innovare, nell’aggregare persone. È questa la cosa più importante, chiunque fa rap dovrebbe pensarci. […] Ovviamente il rap arabo va in questa direzione [cioè l’impegno politico, nda], non certo verso il party rap, perché non possiamo permettercelo. […] Abyūsif è molto diverso da me per estrazione sociale, e sicuramente se parlassimo delle nostre opinioni politiche entreremmo in conflitto. Abyūsif non direbbe mai qualcosa di politicamente scorretto; magari dice cose socialmente scorrette, eticamente scorrette… […] Io non pretendo che gli altri la pensino esattamente come me, ma finché abbiamo gli stessi standard possiamo accettarci a vicenda e collaborare: questo è ciò che rende sana una società. Preferisco questo a gente che magari viene dal mio stesso background sociale ma fa delle schifezze perché resta attaccata al feticcio della strada, del hood (abbreviazione di neighborhood, lett. “vicinato”, “quartiere”. Nel gergo hip-hop, il termine si riferisce all’attaccamento alla strada e alla fedeltà alla propria zona di provenienza, veri e propri loci communes delle liriche rap sin dalle origini del genere, ndt), del keepin’ it hardcore (questa espressione gergale si potrebbe tradurre come “mantenersi duri e puri”, e indica l’attitudine di certi rapper a restare attaccati a un modello estetico e poetico-politico purista, ndt). […]

دراع أخطبوط

كان عنا بالحي ولد يجمع الثلجات بيدوبهن بيبيعهن مي

مربى على الكسل

كل شي كان متوفرله

ما فاهم معنى الفشل

شاف النفاق أسهل له

شوي من هون وشوي من هون

بركي تركب الطبخة

اشترى المال وباع الكون

صارت تسمك الكمخة

بالحي فيه عطش

لأنه بير المي انلطش

من عصابة المختار

صار نفورة بالدار

يلمع السيف البتار

ياللي بأهالينا بطش

عالقلة بتوطى المعايير

صار الولد يبيع ويقولهن من البير

يدفع نسبة للعصابة تيضمن استمراره

علق صورة المختار

كتب تحتا قصيدة غزل باستقراره

المختار سادي مريض فكان مبسوط

أنه الناس عم تشرب من مطرح ما داس بالبوط

أنه ارتواء الناس بالذل مخلوط

فرقى الصبي لرتبة دراع أخطبوط

الموسيقى مي وانت دراع أخطبوط

الحقيقة مي وانت دراع أخطبوط

القصيدة مي وانت دراع أخطبوط

بالوقت اللي كانت أرباحه عم بتزيد

عم بيغلى السعر بالسوق

كنا عالشمعة عم ندرس تطويع الحديد

اسأل الشعر المحروق

وبقناعة انه العلم هو الخلاص الوحيد

مش كرمال الشهادة

العلم عبادة

مش بهياكل رأس المال

فيه مكتبات مش مكاتب لتفكيك الأغلال

همزة الألف فوق

فقد ما صغير قاللي انزل تأحكيك

بياع الثلج نفسه قاللي انزل أو بشكيك

اتهمني بالتفكير

تيضل الحلم خفيف

تيضل الشعر ركيك

جربنا نفاهمه بس الأفعى ما بتسمع

أنا حدا بفرش وبنام مع أنا بالضهر تلسع

ما فيه تنافس لأنا منا بنفس الملعب

فما بعتب، فما بتعب

اوعى تغذي الأفعى

خليا تاكل دنبا

بدك تقتل الناطور ولا بدك تاكل عنبه

درسنا علم الأخلاق قبل علم الكلام

وجوه الواقع قبل ملامح الأحلام

تعلمنا امبكي الصخر نخليه يضحك مي

غنى من بطنه الحق مركب مثل الشعر

فالصبي الوثني قال عنا عم بمبطنه

وداب الثلج وبان المرج

وبين المزح والجد

حفرنا بير للجميع

وصار الصبي يتحد

بطلو الناس يشربو ميته المسمومة

لما ترطبت الشفاف بطلت الفواه مكمومة

مؤامرة مؤامرة صار الصبي يصرخ

فيه نظارات سميكة عالبلكون عم بتأرخ

بعد التخوين ركض ع باب القصر

عند البابا المختار مثل البابا حسني بمصر

نزل الزعيم وكلبه على ساحة الحي

يا ولادي أنا أبوكن اختي

رد عليه ابن الحارة صفحتك بدا تطي

مطلوب احترمك على أساس قديم

بس عم فكر اهجيك بلغة قرآن كريم

قد ما كذبك عتيق

صار ينشف الريق

ثم تم الأتيان بصانع الحريق

خطتهن أن يفجرو أبارنا الجوفية

من بعدا يكفرونا

صارو سلفية بس ما بيقدرو يحرفونا

عن أصل النية

الأفكار غنية

حتى لو صدرنا مهموم

وأنا عم بكتب هالأغنية هدية

لصانع السموم

وأنا عم بسمع أم كلثوم

عم بتقول فات الميعاد

Un tentacolo della piovra
dall’album Adam, Darwin wa l-baṭrīq (2014)
Nel nostro quartiere c’era un ragazzino che raccoglieva la neve, la faceva sciogliere e la vendeva come acqua
Era stato tirato su pigro
Aveva tutto in abbondanza
Non capiva il significato del fallimento
Si era accorto che l’ipocrisia gli faceva più comodo:
“Prendendo un po’ da qui, un po’ da lì
Forse si riesce a far quadrare il cerchio”
Per soldi, comprava e vendeva l’universo
La patacca iniziò ad allargarsi
Il quartiere aveva sete
Perché il pozzo dell’acqua era stato rubato
Dalla cricca del sindaco
Che però aveva una fontana in casa
Luccicava la spada affilata
Che fa violenza alle nostre famiglie
La penuria fa abbassare gli standard
Il ragazzino si mise a vendere l’acqua dicendo che veniva dal pozzo
Pagava una quota alla cricca per garantirsi di andare avanti
Attaccò al muro una foto del sindaco
E sotto ci scrisse un’ode amorosa augurandogli lunga vita
Il sindaco era un sadico patologico: lo rendeva felice
Che la gente bevesse dallo stesso punto che lui aveva calpestato con gli stivali
Che la gente bevesse acqua mescolata all’umiliazione
E così il ragazzino fu promosso al grado di tentacolo della piovra
La musica è acqua e tu sei un tentacolo della piovra
La verità è acqua e tu sei un tentacolo della piovra
La poesia è acqua e tu sei un tentacolo della piovra
Mentre i suoi guadagni si moltiplicavano
E i prezzi al mercato si alzavano
Noi studiavamo la malleabilità dei metalli a lume di candela
Chiedilo ai capelli bruciati
Ed eravamo convinti che il sapere fosse la sola salvezza
Non per il diploma: il sapere è una religione
Non nelle strutture del capitale: sono le biblioteche, e non gli uffici, a sciogliere le catene
La hamza della alif 1 sta in alto:
“Per quanto piccolo tu sia – mi disse – scendi ché ti devo parlare”
Il venditore di ghiaccio in persona mi disse: “Vieni giù o ti denuncio”
Mi accusò di pensare
Perché il sogno restasse futile
Perché la poesia restasse banale
Abbiamo cercato di spiegargli, ma la serpe non ci ascoltava
Le ho dormito accanto nonostante mordesse alle spalle
Non c’è competizione perché non siamo sullo stesso campo da gioco
Non rimprovero, non mi stanco
Non nutrire la serpe
Lascia che si mangi la coda
Vuoi uccidere il guardiano del campo o vuoi mangiare la sua uva?
Abbiamo studiato l’etica prima della linguistica
Le facce della realtà prima dei lineamenti dei sogni
Abbiamo imparato a far piangere le pietre e a farle ridere acqua
Dal loro interno la verità canta in forma di poesia
Il ragazzino idolatra ci ha detto che parliamo in modo oscuro
Si è sciolta la neve ed è apparso il giardino
E tra il serio e il faceto
Abbiamo scavato un pozzo per tutti
Il ragazzino è andato su tutte le furie
La gente ha smesso di bere la sua acqua avvelenata
Quando le labbra si sono inumidite, le bocche hanno smesso di essere tappate
“Complotto! Complotto!”, ha iniziato a gridare il ragazzino
Ci sono occhiali spessi che scrivono la storia sul balcone
Dopo il tradimento corse alla porta del Palazzo
Dal papà sindaco, che è come papà Hosni in Egitto
Il comandante scese col suo cane nella piazza del quartiere
“Figli miei, sono vostro padre, povero me!2
Gli rispose uno del quartiere: “La tua pagina sta per essere voltata
Dovrei rispettarti perché sei anziano
Ma sto pensando di prenderti in giro nella lingua del generoso Corano
Quanto sono vecchie le tue bugie…”
La saliva iniziò a seccarsi
Poi vennero con l’artificiere:
Pianificavano di far esplodere i nostri pozzi sotterranei
E poi di farci passare per miscredenti
Sono diventati salafiti ma non riusciranno a deviarci
Dall’intenzione originaria
I pensieri sono in fermento
Anche se il cuore è angosciato,
E io scrivo questa canzone per regalarla al fabbricatore di veleni
Mentre ascolto Umm Kulthum dire: “Il tempo è scaduto”3
Note:

  1. Gioco di parole metaforico basato sulla grafia araba della lettera alif – ا. La alif è un mero supporto grafico, e prende “voce” solo quando accompagnata da una hamza – ء, che può essere scritta sopra o sotto a seconda della vocale che si intende rappresentare; si ha così alif hamza – أ. Con questo verso, il rapper intende dire che la hamza (che nella track rappresenta il bambino civilmente consapevole e virtuoso), per quanto piccola sia, è posizionata sulla cima della alif, imponente ma afona.
  2. Questa frase fa il verso all’ultimo, paternalistico discorso pubblico di Hosni Mubarak, prima delle dimissioni a seguito delle rivolte del gennaio-febbraio 2011 in Egitto. In quell’occasione, l’ex dittatore iniziò la sua orazione dicendo: “Mi rivolgo a tutti voi con parole che mi vengono dal cuore, le parole di un padre ai propri figli e figlie”.
  3. Fāt al-mīʿād [L’appuntamento è passato] è una canzone dell’egiziana Umm Kulthoum (1904 ca.-1975), tra le massime interpreti del ṭarab. Icona pop del mondo arabo, la sua popolarità è ancora oggi indiscussa.

El Rass, al secolo Mazen el Sayyed (1984), è un rapper libanese di Tripoli. Si trasferisce in Francia per studiare matematica finanziaria, e inizia a lavorare nel mondo delle banche, che abbandona nel 2008 per tornare in Libano e dedicarsi a tempo pieno al rap, passione coltivata sin da giovanissimo. Ha all’attivo tre album, tutti autoprodotti: Kašf al-maḥǧūb (2012), Adam, Darwin wa l-baṭrīq (2014), e Idārat al-tawaḥḥuš (2016). Si è esibito in diversi paesi del mondo arabo, e nel 2013 ha partecipato alla prima edizione del festival itinerante Beirut & Beyond, che lo ha portato in Norvegia, Svezia e Danimarca. Ha preso parte come attore, ed è autore della colonna sonora, della pièce teatrale Fawq al-ṣifr [Sopra lo zero] del regista Usāma Ḥalāl, portato in scena dal Koon Theater Group di Beirut (2014). El Rass è anche produttore, e lavora con diversi rapper di Beirut e dintorni.
Fernanda Fischione è dottoranda in Letteratura araba presso Sapienza – Università di Roma. Si occupa di narrativa e critica letteraria arabe contemporanee, ma anche di musica pop del mondo arabo. Ha tradotto, insieme con Elisabetta Rossi, il romanzo Vita: istruzioni per l’uso di Ahmed Nàgi (Il Sirente, 2016).
 

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