Scrivere di questo libro a distanza di due anni dalla sua uscita è complicatissimo. Soprattutto perché è stato abbondantemente commentato da critici autorevolissimi che ne hanno sviscerato ogni aspetto. Ho dovuto rileggerlo più volte, a distanza di tempo, capire perché non riuscissi a ricavare qualche considerazione in merito. Probabilmente il primo ostacolo è il linguaggio adoperato da Pacini, che come ha notato giustamente Cerrai mette a dura prova la pazienza del lettore. L’autore dimostra di una ricerca linguistica che lascia assolutamente sorpresi, considerando come le scritture contemporanee mirino piuttosto a un lessico asciutto e semplificato, mentre la manomissione del dettato, quando presente, è direzionata solitamente verso la tortuosità sintattica o la creazione di situazioni paradossali. In Fly Mode (Amos Edizioni 2020) tutti questi elementi coesistono, ed è per questo uno dei libri più difficili degli ultimi anni. Ci si può avvicinare a questo oggetto emblematico in più modi: sicuramente si tratta di un boccone succulento per ogni linguista (diciamo la ‘quota nerd’, in questo caso rappresentata egregiamente, come al solito, da Roberto Batisti); oppure si può considerare l’antropomorfismo dell’Io (Dimitri Milleri) che affida la sua voce a un oggetto dalle più ampie possibilità conoscitive, da cui ne deriva un’indagine sui rapporti tra soggetto e dispositivo tecnologico (Antonio Francesco Perozzi), elemento che costituisce un’escamotage efficace contro l’iperlirismo più banale e inefficace (Andrea Accardi). Fly mode si apre infatti con una dichiarazione precisa, cioè la pretesa di allargare lo sguardo da una distanza privilegiata:

 

Abissato in questo sogno meridiano
immobile / nella tratta dei venti
io vedo tutto. (p. 15)

 

Se la nuova visuale del drone provoca una sorta di euforia conoscitiva, il legame con la dimensione ‘a quota zero’ non viene mai reciso; il dispositivo si presenta da subito come una ‘coscienza aumentata’ che si può percepire soltanto riferendosi all’esperienza onirica. Pacini instaura un’interessante e grottesca continuità tra sogno e dimensione virtuale: gli eventi del mondo registrati dal drone rendono l’operatore/pilota uno dei tanti spettatori passivi della Storia, e dunque i dati messi a disposizione hanno l’aspetto di confuse visioni, provenienti da regioni, sia fisiche che mnemoniche, remotissime. In questo senso, in un’ottica collettiva, Pacini certamente ci parla di una dimensione tecnica, onnipervarsiva, che sostituisce la conoscenza e l’esperienza concreta delle cose con l’informazione più violenta e smodata. Il limite evanescente tra dispositivo e soggetto non slitta in un’unica direzione, perché può accadere che sia lo stesso drone a considerare il proprio crollo sistemico/nervoso. Si leggano questi versi da Visual Line of Sight, dove l’uso del verbo all’infinito, all’inizio del testo, traduce ad alta quota una delle più tipiche ambientazioni montaliane; è nel penultimo verso, poi, che si svela il filtro lirico che non smette di muovere le rotte del drone, cioè la lotta con l’abisso e i vuoti della propria memoria:

 

Rapido caseggiare di piccoli disastri decifrati
                                                           attesi
durante l’ennesima calata del freddo
il giroscopio mi serra la testa, ché io non pensi
di poter vomitare

emenda le mie febbrili oscillazioni
piega la sera / vuota e inconsistente

in spazio di rimpatrio. (p. 19)

 

I limiti della dimensione virtuale emergono nella sezione ‘DCIM’, in cui l’autore ripercorre un lutto traumatico. In queste pagine non è facile trovare riferimenti al dispositivo-titano (cfr. Perozzi), anzi è evidente che la memoria interna cui si fa riferimento è quella umana, di un soggetto, però, che applica le stesse modalità del suo doppio ‘tecnologico’. Il ricordo, sottolinea Deleuze quando rilegge l’opera di Bergson, possiede una sua virtualità che attende di essere attualizzata, in coalescenza con il presente. In Fly Mode è dunque il soggetto che impara dal drone a ripescare le immagini, così come il drone impara il senso umano della vertigine? Da una parte si invoca l’etica della tecnica, dall’altra non si rinuncia al tentativo di comprendere oggettivamente la realtà, a debita distanza. Eppure qualcosa sfugge sempre, resta inaccessibile. Dicevamo dell’anomalia di questa sezione del libro, dei suoi riferimenti più incerti: e in effetti quando questo sguardo esterno prova a rifare il passato, una forza insormontabile gli preclude la visione più profonda: «Quando si accorgeva di essere ripresa/ parlava alla tenda | diceva/ stai chiusa» (p. 34). Tra soggetto e dispositivo si instaura una qualità differente dello sguardo: il primo agisce in termini di profondità, cioè di comprensione, il secondo in termini di lontananza, cioè di conoscenza e acquisizione. Ed è proprio in seno a questa idiosincrasia che si sviluppa Walkera (per Clarissa), uno dei testi più riusciti del libro, che mi pare una riscrittura ai tempi del Duemila della più instagrammata e diffusa poesia del solito poeta genovese (per il tono dimesso, per il riferimento alla dimensione oculare, per il modo affettuoso con cui si crea un legame indissolubile attraverso le differenze); qui le due prospettive, umana e tecnologica, sono accomunate dalla funzione del salvataggio, dell’archiviazione:

 

Ogni giorno che passa sono obbligato a vederti
mentre vai nella direzione opposta / sulla mia stessa linea
lanciata da chi, guidata da cosa, venuta da dove.

Non mi somigli, c’è una strana affinità. Mi piace immaginare
che gli impercettibili scarti nella rotazione dell’elica
le sfumature del tuo amabile ronzio siano messaggi per me
lo sfarfallamento di un ciglio che vorrei ancora comprendere
cui vorrei rispondere / come la prima volta.
Sei sempre dentro di me, letteralmente:
salvata in DCIM, in ordine per data.
Appari all’incirca al minuto 17
eccetto il martedì – che prendo un’altra strada. (p. 54)

 

Se nella prima sezione eccelle la prospettiva del drone, mentre nella seconda si rielabora il vissuto dell’Io-pilota, da lì in poi Pacini opera un continuo switching del soggetto. Nella sezione ‘FAQ’ ciò è particolarmente reso evidente da un’improbabile presa di coscienza del drone, che sembra desiderare di liberarsi dal suo manovratore. In CCTV (di cui cito solo pochi versi) immagina, ad esempio, «un’esistenza a circuito chiuso/ un ruolo di videocamera di sorveglianza» che gli dia modo di «sapere a menadito gli orari di apertura/ del centro commerciale, i tasti e il prezzo/ di ogni tipo di verdura» (p. 62). Ma d’altronde la stessa frase non potrebbe essere pronunciata dal suo pilota, lo stesso che dall’inizio del libro dichiara, tramite il drone, la sua ambizione di mettere le mani su una realtà più vasta, che in questo caso coincide proprio con quella realtà tecnica, così evanescente e intangibile, come del resto è la dimensione del trauma precedentemente preclusa? C’è allora il tentativo di trovare nuove vie d’accesso, stabilire nuovi equilibri con le cose, come in questo passaggio in prosa più volte (a ragione) citato da chi ha già scritto prima di me su Fly Mode: «Avrei voluto averti, drone, per vedere ciò che non mi era dato – correggere gli errori, zoomare sulla carne increspata del nonno, sfumarla con un filtro che fosse adatto, salvarlo dalla morte su un capiente disco rigido» (p. 81). Non più quindi la veduta aerea, il volo ascendente, la massima distanza, ma uno sguardo microscopico, nell’abisso del trauma e della mente. È questa, in definitiva, la sintesi impossibile operata da Pacini.


– Tutti i testi sono tratti da Fly Mode, Amos Edizioni 2020.



Il quadricottero

III

Io, drone alto levato
sono un prototipo-campione
                                                    di umanità
il mio status corrente di innocuo bombo radiocomandato
per vezzo ecologico dirottato oggi in città
verso il Polmone Verde Sperimentale di Prato
delinea per me ora un orizzonte d’attesa
di 30 metri altezza massima e raggio limitato
credo sia tutta una questione
                                                      di bassa autonomia
la batteria che cala troppo presto
il falso peso di una pietà virtuale dello sguardo
che quanto più registra tanto meno guarda
eppure ammetterai / che tale elevazione / è pura trascendenza

per esempio, chi e cosa potrà impedirmi
di prendere e partire per un lungo viaggio
…vedere in HD le stanze vaticane
l’Alhambra, la casa etrusca del lucumone
il mistero delle grandi rocce del Grand Teton?

 

 

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