In questo scritto vorrei focalizzare l’attenzione sulla figura dello haijin, ossia del poeta di haiku. Proverò a rispondere a domande del tipo: quali sono le caratteristiche peculiari che un buon haijin deve possedere? Cosa differenzia o accomuna lo haijin al poeta di versi liberi, per esempio? Esistono dei tratti comuni, un denominatore comune, per i poeti di haiku? Vorrei, anzitutto, segnalare questo breve scritto del Cenisi in cui si precisa e si contestualizza la parola “haijin”, in modo specifico per quel che riguarda l’uso del termine in lingua giapponese.
Come sappiamo, la poesia haiku è un genere letterario legato e intimamente connesso alla componente naturalistica: ne consegue, logicamente, che un buon haijin dovrebbe farsi fine osservatore di tutto quello che può essere catalogato come “dato o evento naturalistico”. Questo è ancor più vero se teniamo presente che, in poesia haiku, il riferimento stagionale (kigo/kidai) è veicolo del sentire e dei moti d’animo dello haijin.
Amo spesso ripetere nelle conferenze di poesia haiku come “comporre un buon haiku non è tanto scrivere, bensì osservare con attenzione”: un vero haijin dovrebbe anzitutto fare propri i valori estetici tipici del genere poetico preso in esame oltre che familiarizzare con le principali tecniche compositive di questa forma di poesia (sottotipi di toriawase, ichibutsujitate, posizione del kireji, uso del chūkangire, ecc). Per di più, un affinamento progressivo sia della tecnica che del sentire proprio dello haiku può derivare solamente dal leggere molti componimenti (sia dei Maestri classici che di autori moderni o contemporanei) e dallo stare a stretto contatto con la natura. Cosa che ogni buon poeta di haiku dovrebbe fare anche nel caso in cui avesse uno stallo, un plateau, dell’afflato poetico è proprio questa: lunghe passeggiate d’ispirazione nella natura (ginkō) e, appunto, studio dei Maestri (classici e moderni). Per quanto ne so, in base alla mia personale esperienza, questi rimedi testé menzionati sono le sole cose che contrastano la scarsa ispirazione nei periodi di appiattimento dell’afflato poetico.
Va da sé che la sola padronanza della tecnica o un approfondito studio delle peculiarità tipiche della forma poetica dello haiku non è sinonimo del fatto di essere un buon poeta per questo specifico genere letterario. Padroneggiare e assorbire nel profondo le tecniche compositive è di certo importante e auspicabile, ma ciò che realmente conta, a mio avviso, è acquisire e coltivare quella sensibilità poetica specifica e caratterizzante di questa forma di poesia. Un sedicente poeta di haiku che abbia fatto sue le tecniche e le varie modalità compositive, ma che non abbia sviluppato al contempo la sensibilità poetica che risiede dietro ogni buon componimento haiku sarà, al più, uno scrittore di versi in metro 5/7/5 e non un vero haijin. Viceversa, un poeta di haiku che abbia assorbito fin nel profondo quella delicatezza e sensibilità tipica di ciascuna poesia haiku e, al tempo stesso, ha fatto sue le modalità di composizione sarà certamente un buon haijin.
Un altro aspetto c’è ancora da prendere in considerazione ed esaminare: in poesia haiku, al pari di quanto avviene anche in altre arti giapponesi, “less is more” (meno è meglio!). Uno haijin, che voglia essere riconosciuto tale, deve togliere, sottrarre e, in un certo senso, destrutturare gran parte delle sue sovrastrutture mentali: tutto quello che un poeta di haiku necessita è “meno”. Il registro linguistico che uno haijin adotta nei suoi componimenti, come si sa, è semplice, ma non elementare, privo di fronzoli e retorica; le immagini presenti, variamente combinate fra loro (toriawase), che vengono proposte al fruitore delle sue poesie haiku devono essere concrete e molto raramente egli dovrebbe ricorrere a immagini astratte. Inoltre, un poeta di haiku non parla né al passato né al futuro, ma è solo e sempre immerso, così come ogni buon componimento creato dalla sua penna, nel hic et nunc: un vero haijin questo lo sa bene e lo mette in pratica nella propria consuetudine compositiva. Possiamo dire che quest’ultimo è un approccio sistematico che il poeta di haiku utilizza per le sue modalità di far poesia.
Per di più, un buon haijin è una persona che ha consacrato ed edificato la sua stessa esistenza su questo modo così specifico e peculiare di concepire non solo il proprio stile di scrittura, ma anche l’intera relazione con le cose del mondo che lo circondano. Egli incarna, o dovrebbe incarnare, il più autentico e genuino “spirito dello haiku”, il quale trova la sua massima espressione non, come invece avviene in poesia e nei poeti occidentali, nell’uso artistico del linguaggio bensì nell’utilizzo artistico del silenzio!
Cimentarsi con l’arte dello haiku significa, soprattutto e principalmente, intraprendere un percorso di crescita, al contempo personale e poetico, noto come la “via del fūryū”, basato su tre stadi: allontanamento (romitaggio) da tutto ciò che è mondano e superficiale; immersione estatica nella natura attraverso un diretto e un sincero interesse per l’oggetto del poetare dello haijin stesso; l’ultimo stadio è una sorta di sintesi fra le due tappe testé citate che porta a un’autentica e armonica riscoperta del sé.
Giunti alla conclusione di questo scritto, il cui scopo è stato quello di tratteggiare e precisare più nello specifico chi è davvero uno haijin, mi piacerebbe ricordare come la poesia haiku non è, e non potrà mai essere, una semplice o banale moda nell’epoca dei social network, bensì è una forma di poesia che trova, o che dovrebbe trovare, nella figura dello haijin terreno fertile al fine di potersi sviluppare e crescere in tutta la sua forza espressiva che questo genere letterario è capace di portare con sé.
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