«Un’indagine profonda dell’apocalisse culturale e sociale del mondo ultracontemporaneo che ha radici nella modernità e nella cosiddetta post-modernità». Così scrive Sonia Caporossi nella densa prefazione a Famiglia nucleare (Delta 3 Edizioni 2021), libro con cui Adriano Cataldo propone un’intersezione acrobatica tra il suo tipico modus divertito e sarcastico e uno stato di agitazione, spavento, di fronte alle contraddizioni del nostro tempo. Indagine, apocalisse e contemporaneità, del resto, sono un po’ i concetti-chiave del libro, che segue concretamente le modalità di uno studio (dando dunque grande rilevanza all’intertestualità), si interroga sulla fine (i titoli delle prime sezioni giocano sulle parole fine, affine e confine), sembra dire che la poesia non possa svincolarsi da quel flusso linguistico marasmatico e ininterrotto che è la cronaca.
Andiamo, però, con ordine, osservando proprio la correlazione tra questi cinque elementi (ironia, timore, studio/intertestualità, senso della fine, cronaca) e iniziando col sottolineare come la raccolta di Cataldo si mostri chiaramente bipartita, con una seconda parte, Sottrazione, di «valore autonomo» (definizione ancora di Caporossi), mentre una prima, Domesticità, caratterizzata da uno stretto dialogo con La fine del mondo di Ernesto De Martino loans-cash.net . A proposito di Domesticità, potremmo parlare proprio di poesia “dedotta”: Cataldo pone dei passi demartiniani nella parte alta della pagina (passi che, per giunta, si ripetono, rimarcando un ritornare sulle stesse frasi, proprio come quando si studia) e nella parte bassa i versi che scaturiscono dalla riflessione del celebre antropologo. Quelle che ne vengono fuori, perciò, sono visioni di forte realismo, di precarietà («condizioni materiali deprivate», «esperienze passive», «Vittime e carnefici alternarsi»), ma allo stesso tempo prodotti di una razza di intertestualità che vuole poesia e filosofia strettamente intrecciate.
Vista come occasione e possibilità stessa della poesia, l’intertestualità di Cataldo non può tuttavia limitarsi solo a questo gioco con De Martino, per quanto serio. Al contrario – e ciò vale anche per Sottrazione – Cataldo pesca continuamente da linguaggi già parlati e li rifunzionalizza, deride o omaggia ironicamente. L’ironia dell’autore, anzi, è interamente sovrapposta ai suoi giochi linguistici, che di solito puntano a tradire l’aspettativa del lettore, prendendo in ostaggio e poi frantumando un campione della tradizione poetica: «Solo e penoso / misuro le strade / a forza di crampi» (Petrarca); «mentre dorme quello spirito guerriero / che dentro è ruggine» (Foscolo); «Lo smerigliare pallido, assorte idee di progresso» (Montale); «Tu cantami, o diva l’arte della fuga / sudore non asciuga» (Omero/Monti).
Ma i calembour e gli incastri fonici (ricordiamo che Cataldo ha all’attivo anche progetti di poesia performativa, paralleli, e a volte intrecciati, a quelli librari) eccedono la dimensione della citazione e rappresentano per l’autore quasi la ragion d’essere della poesia, che può farsi solo nella forma di un’architettura di suoni, del rilevamento di un equivoco linguistico. «Ovunque il visibile / l’impunemente grande: / cantiamo il diritto / diventato delitto. / Tra curdi e bus in fiamme, / beati i popoli / che hanno apolidi / da fare eroi»: questo è solo l’esempio più chiaro della predilezione dell’autore per rime, assonanze, paronomasie, che come si vede non si limitano a “pronunciare” le possibilità foniche, bensì incidono sulla sfera semantica e ideologica rafforzando accostamenti stridenti e critici (come qui «diritto»/«delitto» e «popoli»/«apolidi»). A proposito di questi aspetti, molto bene ha scritto Federica Gallotta, individuando la vicinanza di Cataldo alla «ludopoetica» e a una serie di autori che con lui condividono la desacralizzazione giocosa dei classici della lirica.
Se dunque consideriamo l’ironia e il juggling linguistico di Cataldo come sostanziali, più che accidentali, possiamo di conseguenza individuare un legame tra questa pratica e la sfera della cronaca, che ricopre in Famiglia nucleare un ruolo equivalente e complementare a quello di De Martino. D’altronde è lo stesso autore, nelle Note ai testi, a esplicitare l’origine massmediatica delle poesie: Guardando un fiume parla dello scioglimento del permafrost in Groenlandia nel 2019, Vittime e carnefici alternarsi è ispirato alla vicenda di Carola Rackete, Ovunque il visibile racconta un episodio «della resistenza del popolo curdo in Siria», e così via. La stessa dedica del libro, poi, è rivolta a Mimmo Lucano, «sindaco coraggioso, simbolo di lotta e integrazione». Fatti di cronaca e tradizione lirica dunque si alternano, si fronteggiano, addirittura – e questo è un punto significativo – si mescolano: in Giorgia, l’ormai celebre discorso di Giorgia Meloni, trasformato in canzone-meme nel 2020, ingloba (o remixa, a questo punto) una citazione montaliana («Il resto è pensier unico, è l’unico pensiero / di chi odiando unisce e se ne va sicuro, / e l’ombra sua non cura che / Omosessuale 1 omosessuale 2») e rivela così l’intersezione tra due mondi spesso percepiti (illusoriamente) come lontani, ovvero la cronaca e la poesia.
Questo episodio, nonché la stessa trasformazione memetica del discorso di Giorgia Meloni, ci permette dunque di scoprire la natura schiettamente linguistica della cronaca, acquisita come “già detto” (anche se nell’in fieri della quotidianità) al pari del “già detto” della tradizione poetica. Che la stessa Giorgia, nonché A mia nipote ed Europa: l’arte della fuga, siano state anche musicate e pubblicate dall’autore nell’EP Subalterna, non è un fatto accessorio, bensì la dimostrazione della posizione di disc jockey della lingua che occupa Cataldo. De Martino, classici della poesia e linguaggio dei media non sono classificati in una gerarchia di valore, ma si compenetrano e formano così il flusso di “già significato” che l’autore, collocato sulla riva della storia, accoglie, manipola, fa stridere col meccanismo capovolgente per eccellenza: l’ironia. Insomma, il linguaggio è intrinsecamente un meme e può essere perciò riprodotto e rimontato in infinite variazioni, sempre rivelanti, però, uno scarto, il passo di lato che l’uomo contemporaneo è costretto a fare rispetto alla lingua e alla sua percepita saturazione.
Ma cosa ha a che fare questo virtuosistico lavoro sulle parole con il senso della fine, la sua interrogazione, che Cataldo mutua da De Martino? In questo senso ancora illuminante è Caporossi, che parla di «decompressione del carico di significanza che assumono oggi le imagines ormai evanescenti dello Stato, oppure (mazzinianamente) di Dio, della Patria, della Famiglia». E infatti ciò che Cataldo seleziona dalla cronaca riguarda soprattutto la retorica partitica e populista («Si fanno cori, pogrom, redrum / “PRIMA GLI ITALIANI!”») e il conseguente allentamento della fiducia verso i deputati (sic!) al cambiamento («Sono a vedere sul titolo di giornale un campo d’arbitrio. / Inutile dire “andate via”. Dovreste pestarmi un piede per renderlo vero. / Vanno e vengono, come se ci appartenessero.»).
Di conseguenza, la “politicità” di Famiglia nucleare sta innanzitutto in questa distanza, nella percezione di un’evanescenza che ricaccia al largo le possibilità di una trasformazione concreta dello status quo. Una forzata post-storicità, quindi, che passa attraverso lo svuotamento del linguaggio, e verso cui la riflessione (non retorica) sulla famiglia e quella demartiniana sulla fine rappresentano i contro-linguaggi necessari a una resistenza. Non a caso – nel senso: non come mero fatto biografico e paratestuale – il libro è dedicato, oltre che a Mimmo Lucano, al piccolo Gabriel, nipote dell’autore, «per quando imparerà a leggere e, ci si illude, avrà dinanzi agli occhi un mondo diverso, possibilmente migliore di quello attuale». Gabriel rappresenta l’annuncio di un futuro – dunque una preoccupazione («Salvare una parte di mondo e tenerla al caldo») – e allo stesso tempo un membro della famiglia: mentre la «patria plastica dal volto purulento» disintegra, memizzando se stessa, ogni progetto materiale di nuova comunità, la Famiglia deve passare da scoria dell’era nucleare, a nucleo effettivo, significato collettivo ripreso oltre la retorica e le evanescenze. A partire, proprio, da una riappropriazione di linguaggio: «Nella fissione / nucleare famiglia / ci siamo detti».

 

da Famiglia nucleare (Delta 3 Edizioni 2021)

Solitudini del sé

Nutrire il bambino che sei stato, nella festa dei morti.
Dov’è la camera dei piccioni ora che sparano nei silenzi?
Salvare una parte di mondo e tenerla al caldo, mentre il resto è ucciso
in ogni modo umano: di fame o di freddo o solo come un cane (i cani hanno occhi da vecchi).
Dopo le otto sapremo come reggerci l’emicrania, contro chi inveire.
Faremo fenomenologia, pretenderemo scienza; ma soprattutto: allievi,
bocche iperventilate da sfamare, come i bambini che non abbiamo potuto essere.

 

Giorgia

Spezzo questo pane che ci fa più italiani
È questo il vostro posto sopra queste mani
Voi siete i nostri figli, fatevi sfamare
Non è questo un sussidio ma l’inno nazionale
Dio famiglia patria spaghetti mandolino
Se avanzano seguitemi se no perseguitate
Quelli che vi rubano famiglia patria dio
Prima gli italiani prima ciò ch’è mio.
La volta è quella giusta e noi siamo celesti
Il resto è pensiero unico, è l’unico pensiero
di chi odiando unisce e se ne va sicuro,
e l’ombra sua non cura che
Omosessuale 1 omosessuale 2
Il Negro numero 1 e quello con il 2
E tutto va rinchiuso, offerto in sacrificio
La nostra patria è questo, un fuoco fatuo d’artificio
Mi chiamo madre italiana cristiana
Andate pure in pace.

 

Uno: l’affine

1.
È spietato attraversare i binari, per chi arranca in monconi di malleoli, nodi di cravatte,
consuetudini, condizioni materiali deprivate. Ci sono esperienze passive che s’inscrivono
in risentimento, in attesa di braccia da tendere.
È stato rinvenuto un ordigno bellico alle porte di Bologna: gli alleati.
Una guerra in ritardo.
È stato rinvenuto un ordigno bellico alle porte di San Lorenzo: due clandestini.
Una guerra in arrivo.

 

Adriano Cataldo, originario del Cilento, è nato nel 1985 in un Paese che non esiste più: la Repubblica Federale Tedesca. Dal 2008 ha iniziato a pubblicare su blog, riviste e collettanee di poesia contemporanea. Ha precedentemente pubblicato una raccolta (Liste Bloccate, 2018) e due autoproduzioni (Amore, morte e altre cose compostabili, 2019; Come poter dire alla fine, 2020). Organizza reading ed eventi di promozione della poesia in Trentino e Campania, partecipando alle attività del Trento Poetry Slam e dell’Università Popolare del Cilento. È stato tra gli ideatori del festival Poè di Trento. Ha creato il movimento Breveintonso, di cui ha curato la pubblicazione della raccolta Poesie il cui titolo è più lungo della poesia stessa (2017). È stato tra gli autori de La Trento che vorrei (Helvetia 2019) e Le parole e il consenso (Castelvecchi 2021). Cura la rubrica radiofonica Il pubblico della poesia su Sanbaradio ed è membro della redazione del blog letterario Poesia del nostro tempo. Ha ideato il progetto di poesia e musica Electro Montale e Subalterna. Vive a Trento.

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