Fotografia di Dino Ignani

 

È ormai proverbiale lo spillo conficcato a mano in una delle pagine di Poemi & Oggetti (Le Lettere 2012), volume che raccoglie l’opera poetica di Giulia Niccolai (1934-2021) dal 1969 ai tardi anni 2000. Talmente proverbiale, anzi, da potersi considerare metafora, o meglio immagine dialettica, dell’intero percorso creativo di questa poetessa straordinaria: che cos’è, infatti, uno spillo che buca l’algida compostezza di una pagina gutemberghiana se non un brusco, violento effetto di realtà, anzi diretta intromissione del reale nel regno simbolico della scrittura? O, viceversa, apertura totale di quel regno a ogni tipo di frammento che la realtà è in grado di produrre?

Introducendo il volume del 2012, Milli Graffi sintetizzava così il metodo Niccolai: «La direzione non è quella della vita che attraverso vari procedimenti di decantazione e selezione viene filtrata e trasformata in arte […] L’arte è spinta dentro la vita, contro la vita e incontro alla vita» (p. 25). Lo spillo fa parte di una composizione intitolata Poema tautologico (da Poema & Oggetto, Geiger 1974), in cui la rappresentazione stilizzata di un mucchio di spilli viene appunto animata, e concettualmente negata, dall’intromissione dello spillo reale. In quegli anni, Niccolai è a Mulino di Bazzano assieme all’allora compagno Adriano Spatola, e la sua ricerca è in una fase di sperimentazione vulcanica e felicemente anarchica: dal gioco visivo-concettuale con i caratteri tipografici (Humpty Dumpty, Geiger 1969), al confronto-scontro tra scrittura e fotografia (Facsimile, Tau/ma 1976); dal nonsense verbale, ma costruito su precisi riferimenti geografici (Greenwich, Geiger 1971), all’arguzia anfibologica nutrita da una sottile sensibilità per i bisticci plurilinguistici (Russky Salad Ballads & Webster Poems, Geiger 1977). Ma l’icasticità di quello spillo portava Graffi a scorgervi una premonizione della futura produzione poetica, l’inerzia dell’oggetto producendo nel lettore, dopo un primo attimo di shock, un «rallentamento della percezione e del pensiero», un momento di «concentrazione» necessario al «confronto tra la conoscenza rappresentata e una conoscenza da costruire nel campo del reale» (pp. 33-34). In breve, un salto dal paradigma logico-causale della forma mentis occidentale (e del nostro linguaggio verbale) a qualcosa di radicalmente altro.

Giulia Niccolai si convertirà al buddismo tibetano, divenendo monaca, tra il 1985 e il 1990. Nel periodo precedente la conversione (raccontata in Esoterico biliardo, Archinto 2001), darà vita alla sua più felice invenzione: i Frisbees. Pubblicati in volume solo nel 1994, in realtà composti lungo tutti gli anni ’80, questi brevi, brevissimi testi poetici rappresentano la vera svolta dell’arte di Niccolai. E non tanto, non solo, per la loro innovazione formale, ma perché, come Niccolai stessa precisa, sono congegni pensati per «far funzionare il cervello / in modo nuovo» (p. 279). La poetessa registra un’informazione apparentemente insignificante, tratta dall’esperienza quotidiana più trita e impoetica; da quell’informazione nascono, a catena, riflessioni spontanee giocate sul filo delle coincidenze, dei bisticci linguistici, dei possibili doppi sensi dell’evento di partenza. Così, per esempio, in una serie sulla musica di Bach, l’espressione «Mi sono fatta / una maschera facciale / con la Toccata concertata» (p. 215) viene ripresa poco più avanti e reinterpretata in senso letterale: «intendevo dire / che la Toccata concertata / […] / mi scioglieva sul volto, / mi spianava / i grumi di ansia e paura» (p. 217). Il testo tende a perdere la sua unicità formale, collocandosi piuttosto in una rete di interdipendenze, talvolta minimali, per cui l’autrice si rilegge e corregge il tiro, ma sempre “in presa diretta”, sotto gli occhi attoniti – e non di rado meravigliati – del lettore. Una metaletterarietà che si fa sistema, insomma, anzi mise en abyme della metaletterarietà stessa: «ho deciso: / 1) che scriverò 50 cartelle di Frisbees / 2) che l’editore sarà La Tartaruga / 3) che il prefatore sarà Giuliani» (p. 218); «Al titolo Frisbees in copertina / aggiungerò il sottotitolo: / Poesie da lanciare» (p. 251).

Siamo lontani dai toni epici di un Sanguineti, per esempio, che negli stessi anni andava esplorando forme di apertura del testo alla casualità degli eventi quotidiani (e i Frisbees, così come le poesie della “seconda maniera” sanguinetiana, sono colmi di incontri con altri poeti e intellettuali, citati per nome e cognome). A Niccolai non interessa l’affresco ideologico-intellettuale; piuttosto – e in questo, prima ancora che l’iniziazione al buddismo, fu cruciale l’incontro con la scrittura di Gertrude Stein, che tradusse proprio nel 1980 – le interessa cogliere punti di contatto tra eventi lontani, o tra poesie scritte a distanza di giorni. Spazializzare il testo, dunque, evadendo così da ogni forma di progressione temporale. Sebbene i Frisbees dipendano da un confronto serrato con la quotidianità (e mantengano, di quella quotidianità, una forte marca cronachistica, con tanto di date), il focus è infatti sempre sulle stratificazioni concettuali che un singolo evento può contenere (anfibologie involontarie, coincidenze numerologiche, parallelismi) e che lo sguardo curioso dell’autrice si incarica di esplorare. In questo volo rasoterra, la storia si trasforma in geografia, la profondità in una superficie calvinianamente infinita.

La conversione al buddismo non farà che rafforzare tutti questi elementi. Negli anni ’90 e 2000, la “formula frisbee” diventerà un vero e proprio strumento d’indagine dei significati segreti del quotidiano, e Niccolai, forte di una spiritualità tutt’altro che dogmatica, anzi generosa, allegra e autoironica, saprà modulare e aggiornare la sua preziosa invenzione, avvicinandola talvolta alla prosa (Frisbees della vecchiaia, Campanotto 2012), talvolta espandendola in direzione del poemetto, come nella splendida raccolta Orienti (Weiss 2004), resoconto dei viaggi iniziatici in Cina, India e Giappone. Persino la sua saggistica, se di saggistica si può davvero parlare, risentirà dell’onda lunga dei Frisbees e della conversione (Le due sponde, Archinto 2006).

Arte che va «incontro alla vita», o vita che buca la superficie dell’arte, ciò che era appena visibile nello spillo del 1974, vale a dire quel «rallentamento della percezione e del pensiero» necessario al “salto di paradigma” da occidente a oriente, dal dominio concettuale del tempo a quello dello spazio, gli ultimi quarant’anni di scrittura (e di vita) di Giulia Niccolai lo hanno sviluppato con una forza e un’inventiva che non hanno eguali nella nostra letteratura.

 

da Poemi & Oggetti. Poesie complete (Le lettere 2012)

da Russky Salad Ballads & Webster Poems(Geiger 1977)

Harry’s Bar Ballad

È sempre imbarazzante per un tedesco chiedere
Zwei dry martini
potrebbe chiedere
zwei martini dry
ma se chiede
zwei martini dry
gli danno il martini senza il gin.
È costretto a berseli?
No
perché lui e sua moglie
vogliono zwei dry martini
e NON zwei martini dry.
Potrebbe chiedere
zwei mal dry martini
che tradotto in italiano diventa
due volte tre martini.
Allora gliene danno sei.
Sei un bevitore di dry martini?
Fanno diciotto.
Sei, sei dry martini?
Sei più sei dodici
sei per sei trentasei?
Non voglio né dodici né trentasei martini
voglio del gin perché sono G. N.
Giulia Niccolai.
Des dry martini! Neuf!
Pas des vieux bien sur madame…
Anche un americano che chiede
nine dry martini
corre il rischio di non riceverne neanche uno
se il barman lo prende per un tedesco.
Dix dix dry martini!
Non je dis pas je dis pas je dis pas!

 

da Frisbees. Poesie da lanciare (Campanotto 1994)

Una delle ragioni per cui
da ragazza ho fatto la fotografa
è anche quella
di essere sempre dietro alla macchina fotografica
e mai davanti.
(Infatti, chi fotografa
non viene quasi mai fotografato).
Non allo specchio,
ma nelle fotografie che mi ritraevano,
distinguevo la paura sul mio volto.
°

Una società come la nostra
così a disagio verso la morte
– salvo naturalmente in tempo di guerra –
probabilmente
disprezza i vivi
anche in tempo di pace.
°

Anche la presbiopia
che viene verso i cinquanta
è un modo
di costringere la vista
a guardare lontano.
°

Ogni tanto mi viene anche la voglia
di scrivere dei Frisbees cattivi.
Pieni di cattiveria.
Non lo faccio
solo per paura
che diventino dei boomerangs.
°

 

da Orienti (Weiss 2004)

India

All’improvviso il volo di falchi,
corvi e rondini che segue
nell’azzurro incorniciato
della finestra, le appare
scompigliato, a soqquadro.
Ma ecco la vede e capisce:
sicura, instancabile
che rema nell’aria e attraversa
dritta come una freccia il riquadro.
Con stupore e con gioia:
la prima cicogna della sua vita.

 

da Frisbees della vecchiaia (Campanotto 2012)

E d’altronde la colpa è anche nostra
se effettivamente ci sentiamo fuori
dalla corrente e dal gran flusso delle cose,
come succede a me, ad esempio,
con il piacere del distacco, senza
particolari rimpianti di non aver fatto
questo o quello. Anzi, da quando medito,
sento di aver fatto anche troppo in passato,
di aver sempre esagerato e troppo osato.
°

 

Giulia Niccolai nasce a Milano nel 1934, dove muore il 22 giugno 2021. Di padre italiano e madre americana, prima di dedicarsi alla letteratura svolge un lavoro come fotografa per alcune riviste statunitensi. Il suo esordio letterario, all’ombra del Gruppo 63, avviene con il romanzo Il grande angolo (Feltrinelli 1966), e mostra fin dal titolo le tracce di quella sua passione primigenia, qui rilanciata da una lettura personale delle coeve tendenze del romanzo sperimentale francese (la cosiddetta école du regard).

Sul finire degli anni ’60, si trasferisce con Adriano Spatola e Corrado Costa a Mulino di Bazzano, dove dà vita alla rivista «Tam Tam» e alla collana di poesia sperimentale Geiger edizioni. Proprio con la Geiger pubblica il suo primo libro di poesia “concreta”, Humpty Dumpty (Geiger 1969), composto di libere interpretazioni grafiche e concettuali di alcuni passaggi di Alice in Wonderland di Lewis Carroll. Lungo tutti gli anni ’70, le sperimentazioni di Niccolai si intrecciano a quelle coeve di Costa e Spatola (con cui, proprio in questo periodo, intrattiene una relazione sentimentale), e come loro spazia felicemente tra poesia visiva, concreta e lineare. Tra le opere più significative uscite dalla fucina di Mulino di Bazzano si ricordano: Greenwich (Geiger 1971); Poema & Oggetto (Geiger 1974); Russky Salad Ballads & Webster Poems (Geiger 1977). Nel 1981 pubblica presso Feltrinelli una vasta selezione di poesie lineari con introduzione di Giorgio Manganelli: Harry’s Bar e altre poesie (1969 – 1980) (Feltrinelli 1981), che le garantisce una grande visibilità di pubblico.

Nel 1980 le viene affidata la traduzione del volume di Getrude Stein The geographical history of America (La storia geografica dell’America, La Tartaruga 1980). L’incontro con Stein porta Niccolai ad approfondire i meccanismi del linguaggio, e in particolare della sintassi, affinando così la sua sensibilità per i bisticci linguistici, ma anche il controllo sulla forma letteraria. È sull’onda dell’incontro con Stein che nascono i Frisbees, vera e propria rivoluzione copernicana nel sistema poetico di Giulia Niccolai. La poetessa ne scrive a centinaia lungo tutti gli anni ’80, talvolta pubblicandoli in plaquettes (Frisbees in facoltà, El Bagatt 1984), talvolta limitandosi a leggerli in pubblico. Una raccolta completa arriverà solo con Frisbees. Poesie da lanciare (Campanotto 1994, premio Feronia-Città di Fiano 1995).

Tra il 1985 e il 1990, Niccolai si converte al buddismo tibetano, divenendo monaca. La conversione lascia una traccia profonda negli scritti poetici dagli anni ’90 alla morte, che comunque restano fedeli alla formula “breve” dei Frisbees. Delle opere di questo periodo si citano, in particolare: Orienti (Weiss 2004); Frisbees della vecchiaia (Campanotto 2012); Foto e frisbees (Oèdipus 2016); Favole e frisbees (Archinto 2018). La produzione poetica di Giulia Niccolai dal 1969 al 2011 è raccolta in Poemi & Oggetti. Poesie complete, a cura di Milli Graffi (Le Lettere 2012), volume che raccoglie anche molti testi sparsi e introvabili altrove.

Per quanto riguarda la scrittura saggistica in prosa, anche se il termine è riduttivo o comunque fuorviante, si citano: Esoterico biliardo (Archinto 2001), ricca e personalissima testimonianza della conversione al buddismo; Le due sponde. Spazio/Tempo, Oriente/Occidente (Archinto 2006), libero confronto, sulla scorta dell’apprendistato buddista, con alcuni grandi maestri della pittura e dell’arte figurativa in genere; Cos’è “poesia” (Edizioni del verri 2012), raccolta di testi più teorici. Negli ultimi trent’anni, Giulia Niccolai è stata anche un’attiva divulgatrice della poesia prodotta dal gruppo di Mulino di Bazzano. I suoi contributi sull’argomento, sempre puntuali e appassionati, sono tantissimi, l’ultimo dei quali è compreso nel volume di Corrado Costa, Poesie edite e inedite. 1947-1991, a cura di Chiara Portesine (Argo 2021).

 

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