Scopo di questo articolo è quello di sondare i meccanismi dell’afflato poetico attraverso l’analisi dell’eziologia di una poesia haiku. Seguendo un ragionamento induttivo, dal caso particolare al caso generale, estenderò tali considerazioni ad un campo più ampio ed articolato. Credo che lo haiku, per la sua natura minimale, si presti bene allo studio della genesi dell’ispirazione poetica anche per il fatto che la stragrande maggioranza dei componimenti haiku sono redatti secondo la tecnica di giustapporre/collegare due immagini diverse in una stessa poesia haiku (toriawase). Questo implica una sorta di sfida a cui è sottoposto il fruitore del componimento: quella di risalire ai processi associativi che hanno fatto sì che lo haijin collegasse le due distinte immagini che costituiscono la toriawase del componimento, arrivando, dunque, alla soglia dell’origine dell’ispirazione poetica di quello stesso haiku.

Ero molto triste quando, durante una delle mie passeggiate di ispirazione nella natura (ginkō), la mia attenzione fu attirata dalla presenza di un fiumiciattolo, e, all’improvviso, nacque la scintilla per una prima versione di uno haiku:

fiume d’inverno –

ancora domando un senso

a questa vita

Da un punto di vista formale, questa iniziale versione del componimento presenta il secondo ku ipermetro perché conta otto sillabe, anziché sette, ma, al di là di questo, a livello contenutistico la toriawase è troppo astratta, o meglio: ad un’immagine concreta (“fiume d’inverno” al primo ku) ho giustapposto un’altra immagine (quella presente nel secondo e terzo verso) teorica, ideale. Questo, indubbiamente, indebolisce e fa perdere di forza espressiva ed evocatività il componimento; così ho cercato un’immagine più concreta e realistica trovandola nel fiumiciattolo stesso. Ho riscritto:

fiume d’inverno:

a chi chiedere il senso

di questo fluire?

Credo vada meglio così, ora ci sono due immagini concrete giustapposte. Inoltre è da notare la sostituzione nello stacco (kireji) dal trattino, nella prima versione, ai due punti: ciò crea una cesura meno netta in quanto i due punti introducono la seconda immagine in modo più “delicato” e meno brusco. C’è solo una piccola imprecisione formale: allo shimogo (terzo ku) il verso conta sei sillabe e non cinque, è ipermetro. Ho perfezionato così:

fiume d’inverno:

a chi chiedere il senso

del suo scorrere?

Qui si è sostituito “questo” con “suo”, evidenziando così il soggetto principale del componimento: il fiume stesso. Notiamo che “scòrrere” è una parola sdrucciola, conta una sillaba in meno secondo il computo sillabico metrico.

Cerchiamo ora di focalizzare l’attenzione su quanto testé detto. All’inizio abbiamo una situazione intima di disagio, di tristezza, di nostalgia e di insoddisfazione da parte dello haijin. Notiamo, poi, una concordanza fra il sentire dello scrittore di haiku e la realtà oggettiva, esterna. Qualche cosa dentro al poeta e fuori nel reale ha iniziato a vibrare all’unisono, come quando due diapason uguali iniziano a risuonare alla stessa frequenza: c’è stata risonanza fra soggetto percipiente ed oggetto percepito. Questo ha fornito la scintilla dell’ispirazione e dell’afflato poetico. Ma tutto questo, da solo, non basta, e, per ragioni su esposte, è intervenuto il labor limae basato sulla consapevolezza di modificare la toriawase con un’immagine concreta (la quale era già sotto gli occhi del poeta anche prima, sic!) che, però, non modificasse il senso di quello che lo haijin voleva esprimere. Ancora, al secondo passaggio (la terza versione, quella definitiva) non c’è stata una modifica della toriawase bensì una modifica della forma, se vogliamo un labor limae ancora più particolareggiato e fine: senza cambiare il significato si è usato un sinonimo di “fluire” (trisillabo) cioè “scorrere” (trisillabo anch’esso ma sdrucciolo).

Da questo caso specifico cosa possiamo desumere ad un livello più generale?

Attraverso un ragionamento induttivo possiamo rappresentarci il seguente procedimento:

risonanza fra soggetto ed oggetto; identificazione fra soggetto percipiente ed oggetto percepito; ispirazione, la scintilla; componimento “grezzo”, impreciso sia nella forma che nel contenuto; I° labor limae, modifiche alla parte contenutistica del componimento; componimento provvisorio, corretto nel contenuto ma ancora impreciso nella forma; II° labor limae per affinare la forma; infine il componimento completato.

Quindi, riassumendo:

RISONANZA –> IDENTIFICAZIONE –> ISPIRAZIONE –> COMPONIMENTO GREZZO –> I° LABOR LIMAE –> COMPONIMENTO PROVVISORIO –> II° LABOR LIMAE –> POESIA COMPLETATA.

In questo procedimento, sottolineo, in particolare, l’importanza del processo identificativo fra il poeta di haiku e l’oggetto percepito: il vero haijin è colui il quale è capace di realizzare un’identificazione talmente stretta con la realtà esterna che ha suscitato il suo interesse da abbattere la distanza tra lui e l’oggetto. Conoscere nell’essenza qualcosa vuol dire entrare nell’oggetto di una poesia haiku percependo come questo oggetto “sente” e sperimenta il mondo: sia esso una farfalla, una roccia o un fiore. Il Maestro di haiku è colui il quale, in quel momento, è l’oggetto stesso: viene a cade la distinzione fra soggetto ed oggetto e resta solo una unità. In questo senso il Maestro Bashō volle esprimere tale concetto attraverso la frase: “Impara dal pino ad essere un pino e dal bambù ad essere un bambù”. Queste parole sono da intendere proprio in un’ottica di comprensione dell’essenza veridica della realtà delle cose del mondo e, di conseguenza, il diventare un tutt’uno con esse. Infatti, in una poesia haiku bisogna far parlare le cose, senza forzare nulla, azzerando i filtri personali attraverso un atteggiamento non-giudicante: è inconcepibile comporre uno haiku a tavolino o attraverso astrazioni mentali, i migliori haiku nascono sempre da un’esperienza diretta con la Natura la quale è capace di realizzare quello che i giapponesi chiamano “kikan” ovvero il “sentimento stagionale”, l’unità inscindibile Uomo – Natura.

Abbiamo visto la genesi di una poesia haiku, le tappe che quel componimento ha attraversato per venire alla luce ed esaminato più da vicino le dinamiche che intercorrono fra l’identificazione, l’ispirazione, e il labor limae: non è detto, però, che tutte le poesie né tantomeno tutti gli haiku attraversino e si attengano alle tappe del procedimento su esposto o, anche, nell’ordine testé citato. Aggiungo anche che lo haiku qui riportato ha una valenza didattica, rappresentando un caso-studio; in ogni caso spero che al lettore ora risulterà, almeno in parte, più chiaro il processo che sottostà all’ispirazione di una poesia.

Analizzare i meccanismi eziologici di una poesia (sia essa una poesia haiku o d’altro genere) è molto affascinante: c’è sempre un limite oltre il quale si entra nell’ignoto o, per dirla tutta, nel mistero.

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