Mi sono avvicinata alla raccolta di poesie di Mary Barbara Tolusso Disturbi del desiderio (Stampa 2009, 2018) in modo schivo, quasi timido. Tentennavo, leggevo una lirica, la rileggevo, riponevo il libro. La prima lettura discontinua e interrotta era data dal fatto che capivo che c’era altro oltre le parole che mi stavano davanti e sentivo la necessità (il desiderio?) di avere tempo per ponderare e riflettere. Mi capitava la stessa cosa a venti anni con Proust: che fossero la Recherche o Contre Sainte-Beuve, ogni periodo rimandava a un ulteriore: alcune volte era un altro riconoscibile grazie alle letture già fatte, altre volte avvertivo risonanze che dovevo essere io a rintracciare, a conoscere senza un precedente riconoscimento.
Tolusso mi ha dato la stessa spinta: io ora ho più letture svolte sulle quali poter contare, più esperienza ma anche più timore e più pudore di fronte all’ignoto, e la poesia di Mary Barbara spalanca la mente su immagini di vertigini e schianti.
Come spesso accade incontrando una raccolta di poesie scritta con passione e sapiente conoscenza della tradizione, il mistero che si dipana tra le parole e le analogie che vestono i pensieri è nel titolo che diventa la chiave di volta interpretativa: il desiderio è pulsione duplice, attrae ma può anche creare timore, addirittura paura. È una forza al contempo umana e animale, fluida e dilagante come gli umori dei corpi; è un ritorno all’atavico, all’ancestrale ma al tempo stesso è contaminata dal tempo, dalla vita e dalla morte (Dico al mio corpo / animale di stare fermo, di non pensare […] Tu per me sei pelle, una morte anticipata, / insepolta, coagulata fino all’erezione).
La poesia di Tolusso è scrittura che parte dai sensi (vitali) per raccontare lo scivolare verso il nulla incombente, quell’assenza di desiderio che spinge a creare immagini che assurgono a epifanie di vita, correlativi oggettivi che catturano, imbrigliandola in immagini di bellezza struggente, la percezione di esistere: Era Sirio al tramonto / la poesia una pietra (da Apolide). Sirio è detta anche Stella del Cane, è la stella più luminosa e ha la particolarità di essere vista da tutte le parti della Terra. Come Sirio, anche la poesia è una pietra apparentemente inanimata che risorge sempre e fa conoscere la propria luce al momento del tramonto quando tutto scivola verso il nulla, è un moto perpetuo che sconfigge l’inesistenza, è la patria di chi si sente apolide. Riecheggiano qui immagini novecentesche, Montale, Ungaretti (citato insieme ai simbolisti francesi), assieme a Raboni, De Angelis, Cucchi.
Altre immagini ricorrenti, fili a tenere insieme i disturbi di uno o più desideri, sono la notte, il sonno e il sogno come discrimine tra la morte delle emozioni umane (l’esistenza meramente animale) e la vita (Non ha un sentire obliquo / il corpo ma tessuti, muscoli, ossa, la consistenza / elementare della fine dove non potrai riscattarti dal sonno. / Non ha sogni, il corpo – / se capite ciò che voglio dire). A proposito del corpo (altro tema centrale dell’opera), Tolusso fa parlare Raboni (in Animalia): da che parte ci tirano le ombre, se bisogna vivere / con i i vivi o con i morti; il corpo, inteso nella sua accezione animale, istintiva, paradossalmente sembra poter salvare l’io lirico dal desiderio/timore della morte emotiva. Spoglio com’è d’ogni bene, nulla è più concreto / del corpo. Ed era quello l’accordo: spezzare / la ragione, andare pazzi per la gioia, assolvere / la misura del noto è una dichiarazione di poetica: la gioia, il coronamento del desiderio vale in quanto cerebralizzata e resa concreta tramite le parole, la poesia. Ma arrivare alla poesia significa percorrere una strada desiderata quanto ardua, faticosa, pericolosa, a volte forse deludente il desiderio che tende al tempo, alla comprensione e all’ammissione di esistere, al pensiero umano: ecco, allora, apparire il desiderio opposto, ossia il voler essere solo corpo animale, un coagulo di tessuti, muscoli, ossa, di istinto che muove azioni fine a se stesse. La poesia celebra l’epifania duplice del sentire profondamente la vita e dell’avvertire i prodromi della morte interiore: in quest’ottica risulta centrale la citazione da Milo De Angelis Perdonami questo amore / che è già un’azione.
La società odierna fagocita le parole, le appiattisce in stereotipi: alla poesia spetta dunque il compito di riportarle in vita nella loro naturalezza, smuovendo le situazioni di stallo, le vite vissute alla superficie, per riportare il lettore al cuore delle cose: è poesia che avvicina senza escludere purché si ascolti quella voce che va filtrata al fine di riportare le parole al proprio posto, sentita come musica. E c’è musicalità, nella poesia di Tolusso, una musicalità che va oltre il metro ed è data da un uso sapiente di enjambements, dall’alternanza di suoni aspri e dolci a ricordarci la duplicità del sentire desiderando, da assonanze, da allitterazioni (soprattutto di r e di s), da chiasmi e da rime interne e semantiche, a sottolineare la cura certosina che Mary Barbara dedica alla propria produzione poetica.

APOLIDE

Ti dico dal sonno che noi siamo qui, per molto tempo
ancora e in ogni tipo di moto perpetuo. È meglio cedere a ogni equivoco,
agli animali che si accoppiano con grande e incredibile
destrezza e che io sento respirare, lievi, sotto il bianco
dei morti. Ma adesso – dicevi –
il fruscio si fa ombra, attendi il numero degli imbrogli,
la divergenza dei margini, l’ottuso crollo dei giorni.
Le pareti di viale Monza erano
punte sottili

era Sirio al tramonto
la poesia una pietra.

*

La notte fila liscia tranne
quelle sere che si cede al ricordo
che si dovrà morire su un letto come questo.
Allora penso a quello che dicono gli stupidi
che se c’è la morte io non ci sono. Ma
dal nulla nasce la paura, quando non vedi
non senti non pensi. Nessuna religione aiuterà
il danno dei vivi, feroce o silenziosa
nessuno potrà sottrarsi alla rovina. Dico al mio corpo
animale di stare fermo, di non pensare. Nulla
è più terribile più vero di questo tempo del ritardo, non c’è
luce per gli indifferenti, tutto l’amore non dato,
il tempo sprecato, niente che possa
destarmi dal sogno, io
dove sono,

dovrei alzarmi andare a bere in compagnia, cercarti e dire:
Tu per me sei pelle, una morte anticipata,
insepolta, coagulata fino all’erezione.

*

Non che me ne importi molto, ma alle
dieci di sera, alle tre, alle quattro del pomeriggio
arrivava sempre gente un po’ speciale.
Nell’ufficio, intonacato di nuovo,
con la voce di grondaia li sentivo
fare conti, li sentivo singhiozzare
la cena, così, di colpo, nessuno
se lo aspettava, oppure la versione malattia, quante
cose difficili da nominare, alla fine,
si capisce, è stato meglio, non c’era terapia.
Ma io dico che da qui, da questo preciso spazio
non ce n’è uno che parli davvero, che queste
cose succedono agli altri, negli intervalli
più soffocati, quasi invisibili, il cuoco,
l’impiegato, il suicida, il povero diavolo
con due figli da crescere. Ce n’è una schiera
tutti i giorni di gente che non sa con chi stare,
da che parte ci tirano le ombre, se bisogna vivere
con i vivi o con i morti.

 

Mary Barbara Tolusso è nata a Pordenone e vive tra Trieste e Milano. Ha pubblicato alcune raccolte di poesia e i romanzi L’Imbalsamatrice (Gaffi 2010) e L’esercizio del distacco (Bollati Boringhieri 2018). È presente nell’antologia Velocità della visione. Poeti dopo il Duemila (Fondazione Mondadori 2017). Ha tradotto Giacomino da Verona per il volume Visioni dell’aldilà prima di Dante (Mondadori 2017). Ha vinto il Premio Pasolini (2014) e il Premio Fogazzaro (2012). Nel 2018 è uscito Disturbi del desiderio per la casa editrice Stampa 2009.

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