Da Il femminino e la sua voce (Il seme bianco, 2017)

 

Lo espongo questo crogiuolo
sanguigno
(ti piace la parola cuore?)
come una sindone.
Così vedi, puoi toccare
dove sei piantato
dove urli e mi spolpi.
Sono nell’utero delle tue radici,
lì nuoto, respiro, ondeggio
e mangio l’amore.

*

Devo solo ricordarmi
come si cammina.
Spegnere
quel lago senza fondo
che mi mangia le gambe.

*

Sopra, il telo che ci è tetto
calpestato da lumini fiacchi o floridi
di un azzurro spesso e maestoso
qualche volta succinto
strizzato tra gonfiori bianchi
o cariche navi nere.
Sotto, la mia nuca schiacciata
gli occhi che se lo bevono
e ne mangiano un po’
il giusto da deglutire senza soffocare
la porzione che mi si deve
per essere nata di testa e con i piedi incerti
un pezzo di cielo nello stomaco
per tenere largo il fiato
un bloccaporta
che divarica l’essere qui.

*

L’immunità alla primavera non c’è.
Fruscia il vento
gemono le gemme
sotto la pelle acerba dei rami
l’aria ha quasi le doglie.
Sento le spinte.

*

In principio era Gea
utero di tutti gli uteri
vento, pioggia e terra.
Madre di draghi e serpenti
madre incarnata in tutte le femmine
fertili e gravide,
madre di Demetra madre di Persefone
madre sopra e sotto la terra.
L’equilibrio stava in equilibrio tra i tuoi seni.
Quando all’uomo venne in sogno il potere
creò un dio con glande e prepuzio
e tu, tu scivolasti dalle nuvole.

*

Le donne muoiono con gli occhi aperti
anche se fuori piove.
La vita che è fuggita
rimane lì
cementata alle pupille
smesse
fisse.
La memoria degli occhi
immortala ciò che è mortale:
la scintilla di un coltello
il cane armato di una pistola
la fiamma.
Quando una donna muore
lasciatele gli occhi
prendete tutto il resto
scavate per il fegato, i reni, il cuore
gli occhi no.
Tutta la sua vita, lì dentro.
Tutta la sua morte, lì dentro.
Adagiatela piano
nel suo eterno legno
non giratele le mani
i palmi verso l’aria,
il sacrificio è da vedere!
Lasciate perdere i fiori
spegnete tutte le candele
(ti prego, ti prego, ti prego
è stato già dett0.)
Dateci quattro lati
e l’orco murato vivo.

 

Antonella Lucchini nasce a Mantova, dove tuttora risiede, nell’aprile del 1964. Agli inizi del 2013 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Tra morsi e strida, per la casa editrice REI, seguita da Il margine bianco (Ed. Divinafollia). Ad aprile 2017 esce la sua terza silloge poetica, Il Femminino e la sua voce (ed. Il Seme Bianco – Castelvecchi). Scrive, oltre che in italiano, anche in francese, inglese (lingue di cui è anche traduttrice) e in dialetto mantovano cittadino. È nella redazione della Fanzine online Versante Ripido in qualità di coordinatore dei recensori. È redattrice del sito di recensioni librarie Mangialibri. Fa parte dell’associazione culturale La corte dei Poeti, che cura l’organizzazione del Festival Internazionale di poesia Virgilio di Mantova: in particolare segue il rapporto con le scuole e si occupa della creazione e conduzione degli incontri con gli autori, nei mesi che precedono il Festival.

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