In due tuoi libri tradotti in italiano, Gli arazzi dell’apocalisse e soprattutto Oblò (che uscirà presto per Pietre Vive Editore), raccogli alcuni frammenti di un viaggio che è stato fondamentale per la tua formazione e che si è rivelato determinante per la tua vita. Poco più che ventenne parti dalla tua città natale, Des Moines (Iowa), per frequentare l’università in Germania, trascorri un periodo all’isola di Samo, e decidi poi di stabilirti in Francia dove vivi tutt’ora con tua moglie e tuo figlio.

Il viaggio fondamentale che hai menzionato è avvenuto l’anno dopo il mio arrivo in Germania dell’Ovest (nell’autunno del ’75). Studiavo letteratura tedesca e filosofia tedesca all’Università di Amburgo, dopo aver vinto una borsa di studio (ma per un progetto in matematica…). Ero ancora, ufficialmente, studente di matematica negli Stati Uniti, ma quando arrivai all’Università di Amburgo mi iscrissi al corso di letteratura e filosofia. La letteratura era la mia passione segreta sin dalla mia adolescenza. Sono andato in Grecia nel luglio del ’76. Dovevo tornare dopo l’estate negli Stati Uniti. Durante un viaggio in traghetto dal Pireo all’isola di Samo, ho deciso di rimanere in Europa per dedicare tutto il mio tempo alla scrittura. Le poesie frammentarie in Oblò evocano questa decisione, con “l’oblò” come soglia metaforica tra il mondo interiore e il mondo esterno, tra il passato e un futuro possibile, e tra un essere umano e “qualcos’altro” che è invisibile ma forse appena al di là del vetro.

Che ricordi hai dell’Europa di allora?

Posso evocare le mie prime scoperte tangibili delle vestigia della seconda guerra mondiale, del nazismo e della Shoah, e la vita quotidiana nella Germania dell’Est comunista. I miei viaggi nelle due Germanie e negli altri paesi hanno incluso shock personali; fino ad allora, avevo solo una comprensione intellettuale di queste realtà. Ma fondamentalmente, quel primo anno in Europa ha rappresentato una crescita personale decisiva. Ero finalmente al centro della cultura europea, che mi aveva affascinato attraverso i libri durante la mia adolescenza a Des Moines, una città di medie dimensioni nel Middle West. Come quegli americani nei romanzi di Henry James, mi ero improvvisamente imbarcato in un grand tour dell’Europa, in un anno di formazione. Viaggiavo in diversi paesi dell’Europa settentrionale e centrale, tra cui la Cecoslovacchia e la Germania dell’Est (ho spesso visitato le due Berlino). Tra tutti questi paesi, potevo ovviamente vedere le differenze, che a volte erano vaste (specialmente tra i paesi dell’Europa dell’Ovest e dell’Europa dell’Est), ma volevo percepire anche le somiglianze più profonde, più durature: una cultura europea con radici che affondavano in una stessa storia e filosofia (con tutti i suoi ricchi dibattiti), nel giudaismo e nel cristianesimo, nelle antiche tradizioni greco-romane. L’Europa era (ed è) per me tutte queste fonti che mi nutrono, anche se sono state poi importanti per me anche alcune escursioni nelle filosofie e letterature orientali. E quando dico “fonti”, non intendo il passato letterario o culturale lontano, ma tutte le epoche della letteratura europea, e soprattutto la letteratura contemporanea (in realtà la mia “specialità” come critico e come traduttore).

Da più di quarant’anni la tua vita è in Francia. Hai trovato la Francia un paese accogliente? C’è ancora una piccola frattura o distanza che resta dal farti sentire francese?

Quando sono arrivato a Parigi nel ’77, dopo aver vissuto per un anno a Samo, sono stato immediatamente immerso in un ambiente francofono a causa di mia moglie, che è francese. Presto avevo amici francesi e amici di vari paesi che mi parlavano in francese (o in tedesco), non in inglese. Per questa ragione linguistica e familiare, ero assorbito nella vita francese probabilmente più rapidamente di altri scrittori americani espatriati. Inoltre, era naturale per me lasciarmi assorbire dalla cultura francese, come se mi fossi già permeato dalla cultura tedesca e dalla cultura greca. Anche quando ero un ragazzino, mi interessava istintivamente quello che non ero io, quello che era l’Altro, e tendevo a lasciarmi “attraversare” da questa alterità. Però, la mia vera casa rimane la mia lingua letteraria, l’inglese. Ed è a questo livello che le “distanze” — più che le “piccole fratture” che evochi — persistono naturalmente. (Le “fratture” che erano e sono anche fonti della mia scrittura sono di una natura diversa e risalgono spesso agli eventi accaduti prima della mia partenza per l’Europa.) Mi accorgo costantemente di queste “distanze” quando traduco. Un esempio semplice è che la lingua francese tende a mettere la parte importante di una frase all’inizio, mentre la lingua inglese tende a fare aspettare il lettore fino alla fine della frase per apprendere ciò che è essenziale. Un secondo esempio è la concretezza delle parole inglesi, e la loro debolezza quando si tratta di esprimere una risonanza metaforica nel momento in cui il poeta designa una cosa o un’azione specifica. La lingua francese e la lingua italiana possiedono questa capacità di essere “semanticamente risonanti”; a questo riguardo, sono più ricche a confronto della lingua inglese. Queste differenze linguistiche, nella sintassi e nel modo in cui un significato è creato, rappresentano spesso differenze significative tra le varie culture. Imparare altre lingue e tradurre ci aiuta a capire queste differenze e, in realtà, a relativizzare i nostri orientamenti filosofici “naturali”. Sono quindi rimasto uno scrittore americano, in Europa, necessariamente a una certa distanza dalle altre culture europee che amo, ma cerco ancora di aprirmi a loro e di assimilare altri modi di guardare alla vita, agli altri, al mondo. E non ho bisogno di dire agli europei — però, nel nostro difficile presente europeo, devo forse ricordarlo? — che questa ricerca simultanea di molteplicità e di unità può essere condotta per eccellenza in Europa.

Dalla tua esperienza di traduttore e di scrittore, come vivi la Francia e l’Europa?

Come scrittore, critico e traduttore americano, ho vissuto in Europa in un periodo storico in cui tanti poeti, redattori ed editori americani hanno perso interesse nella letteratura europea e nella letteratura internazionale in generale. Mi sembra che questa tendenza sia iniziata negli anni ’90, per poi accelerare dopo la fine del secolo. Le pagine letterarie dei più importanti giornali americani hanno da tempo interrotto la pubblicazione di articoli sugli scrittori europei in traduzione (tranne che per alcuni best seller). Importanti riviste di poesia spesso non contengono poesie in traduzione nei loro numeri — letteralmente, non una singola poesia straniera! Data questa situazione, ho cercato di essere uno di quelli — non siamo molti — che i francesi chiamano “passeurs”, i barcaioli che traghettano i libri europei attraverso la Manica e l’Oceano Atlantico. Attraverso i miei saggi, ho cercato di portare la varietà e la vitalità della poesia europea ai lettori americani.

Oblò, il tuo libro di prossima uscita in Italia, sembra accogliere, nella sua forma poematica e frammentaria, il movimento ipnotico dell’acqua in cui luce e buio si riflettono e confondono in un gioco di riflessi e di ombre, di immagini che affiorano per un istante e tornano nell’indistinto. Puoi raccontarci com’è nato?

Oblò rappresenta più o meno il mio “ritorno” alla poesia dopo un lungo periodo in cui per la maggior parte ho scritto in prosa. Ho incontrato l’artista francese Caroline François-Rubino tramite Facebook, perché avevamo amici in comune nella “vita reale”. Più tardi ci siamo visti al Marché de la Poésie di Parigi. Abbiamo deciso di provare un esperimento. Le ho dato una serie di testi inediti in prosa poetica che evocano le Alpi e il villaggio di Bessans in Savoia, non troppo lontano dal Moncenisio e Susa in Italia. E lei mi ha dato il pdf di una serie di dipinti (intitolata Hublots) che evocava il Mediterraneo, utilizzando alcune immagini degli oblò della casa di suo fratello, che vive in Grecia. I dipinti mi hanno ricordato immediatamente questo viaggio attraverso l’Egeo che mi ha cambiato la vita. La sfida letteraria era trovare una forma per i miei ricordi, improvvisamente molto presenti, imponenti, inevitabili. Le poesie sono emerse naturalmente (e sorprendentemente, per me) come frammenti di versi che erano spesso strutturati, ritmicamente, per mezzo di allitterazioni. Forse le allitterazioni erano le onde o il dondolio del traghetto che ho sentito di nuovo mentre ricordavo quell’esperienza. Ma penso che, soprattutto, il ritmo dei frammenti riflettesse una sorta di tensione interiore, quella di meditare di nuovo sulla decisione che avevo preso. Mi sono anche tornate in mente alcune parole di altri poeti: venivano dalle mie letture, ovviamente, ma di molti anni fa e quindi anche dal mio inconscio. Per esempio, le ultime parole di John Keats, ora sulla sua lapide a Roma: “Here lies one whose name was writ in water”. Non avevo mai visto la tomba, anche quando ho soggiornato per cinque settimane a Roma nel 2012-2013. La forma poetica — concisa, ellittica — che appariva spontaneamente era completamente nuova per me. Non avevo mai scritto così, ma i miei veri ricordi, come apparivano nella coscienza, erano davvero così: acuti, frammentari, enigmatici, probabilmente perché il modo in cui la mia vita è cambiata con quel viaggio conserva le sue misteriose profondità. Tutti noi abbiamo eventi decisivi nella nostra vita che rimangono enigmi. Ciò che intendo è che capiamo e vediamo abbastanza chiaramente le conseguenze di tali eventi, ma le profonde ragioni alla base degli eventi ci sfuggono. E forse tendiamo a evitare di pensarci. Ma l’improvvisa necessità di scrivere ci riporta di fronte a certi dettagli ancora taglienti, persino dolorosi. Stranamente, ho scritto le “poesie marittime” di Oblò mentre ero nelle Alpi, a Bessans nell’estate del 2014. Pioveva ogni giorno ed escursioni in alta montagna non erano possibili. . .

Bessans e le Alpi ti hanno ispirato un altro libro…

Sì, il libro bilingue Boire à la source / Drink from the Source (2016), con una serie di acquerelli di Caroline per accompagnare i miei testi. Alcuni estratti tradotti in italiano si possono leggere sul blog di Luigia Sorrentino. Le poesie e i testi originali di questi mie due progetti sono poi stati inclusi nel mio libro Grassy Stairways (2017).

I tuoi libri di poesia e di prosa accolgono spesso opere di artisti tra cui, in particolare, i disegni e gli acquerelli di Caroline Francois-Rubino. Puoi parlarci di questa collaborazione e del significato che ha, per te, il dialogo tra parola e immagine?

Il mio “ritorno” alla poesia è stato incoraggiato dal mio lavoro con Caroline e con altri artisti amici. Spesso quando mi sono confrontato con le loro immagini, figurative o astratte, mi hanno spinto in territori inaspettati. Per esempio, raramente avevo scritto sui paesaggi e sugli elementi della natura prima di lavorare con Caroline; allo stesso tempo, i miei testi hanno a volte portato i miei amici artisti a lavorare su altri temi piuttosto distanti dalle loro abitudini. Ad esempio, per il mio ultimo libro pubblicato in America, Remembrance of Water & Twenty-Five Trees, Caroline e io abbiamo deciso di condividere un tema comune per la seconda sezione del libro: gli alberi dell’infanzia. Ho scelto alcuni alberi intimamente legati alla mia infanzia americana e ne ho scritto; Caroline ha illustrato le poesie. Poi ha scelto lei alcuni alberi, spesso alla sua legati vita nel sud della Francia, e li ha dipinti; io ho risposto a ogni immagine con una poesia. Questa sfida mi ha aiutato a vedere più profondamente il significato di alcune emozioni risalenti ad alcuni viaggi in Italia e, ancora una volta, al mio anno nell’isola di Samo.

E più recentemente?

Come sai, il mio breve soggiorno a Bologna nella primavera del 2018 ha ispirato una serie di poesie che ruotano attorno a un’immagine emersa mentre traducevo il tuo Libretto di transito: quella della “faglia” (o “frattura”, “fenditura”), un’immagine ricorrente e che ha un significato profondo nella tua poesia, come la parola inglese “gap” nella mia scrittura. Le due parole sono in realtà simili nelle loro implicazioni metaforiche. Ne abbiamo discusso spesso per mail e poi, camminando insieme a Bologna. Il nostro dialogo su queste parole ha riportato in superficie ricordi profondi da cui sono nate le poesie di una sequenza intitolata Fault Lines (ancora inedita), che ha uno dei tuoi versi come epigrafe. La mia scrittura più intima spesso deriva da un dialogo, reale o immaginario, interiore o effettivamente portato avanti nella luce di un’amicizia essenziale, o con un’altra opera d’arte che mi stimola. Questa vicinanza, quando accade, è una cosa rara e preziosa. Ci allontaniamo, per un attimo, dai confini del nostro sé. È per questa ragione che Oblò, come altre sequenze poetiche che ho scritto recentemente, è indirizzato a un “tu” senza nome, un “tu” che ha fatto un viaggio decisivo.

Intervista a cura di Franca Mancinelli

Portholes è una sequenza poetica inclusa in Grassy Stairways (The MadHat Press, 2017), libro pubblicato anche in edizione bilingue in francese e in serbo con una serie di dipinti di Caroline François-Rubino. Nella traduzione italiana di Marco Morello, è in uscita nell’autunno 2019 per Pietre Vive Editore, con il titolo Oblò.

from Portholes

[. . .]

shapes effaced
night emerges
words
blur

the porthole
is the last remaining form

*

[. . .]

what is torn
between night and day

will words mend

*

[. . .]

fingers imagined
over the waters

even when
grayed from rose
blued from rose
bedecked with night

*

in the soft
light blue
light

after night has fled

flecks of night
or flights
of unknown birds

*

through mist

the island
rising
to what
has risen

*

[. . .]

sometimes the island
the mountain
the seawater
the mist over the seawater
are one

blue
gray
insubstantial

nothing

were it not

*

darken this side
so the other side
retains
light
longer

*

[. . .]

rough sea
on that side

on this side
of the porthole

*

[. . .]

open the porthole

your hand in the wind
good as any eye
for what must be seen

*

[. . .]

having left
everything

behind

the blue source

*

against sleep
you peer out

the cerulean circle

rimmed
with midnight blue

*

[. . .]

what is given

the shifting
shades of blue
the vertical
the horizontal

the horizon
with its backdrop
of rising
sinking
light

*

was it at dawn
the departure

at dusk

or midday
dolphins
cloudlike streaks
over the waves
the sunlight
subdued
sovereign

*

voices
on the deck

the voices
you seek to hear
those of the sea
the haze
the shadows on the shadow

the whitening light

the blue
the night

your ear on the porthole

[. . .]

******

da OBLO’

[…]

sagome cancellate
la notte emerge
le parole
si confondono

l’oblò
è l’ultima forma rimasta

*
[…]

ciò che si lacera
tra notte e giorno

chissà se
le parole lo rammenderanno

*

[. . .]

dita immaginate
sulle acque

anche se
ingrigite dal roseo
bluastre dal roseo
decorate dalla notte

*
nella dolce
luce
blu-cielo

dopo la fuga della notte

chiazze di notte
o voli
di uccelli sconosciuti

*

attraverso la foschia

l’isola
sorge
verso ciò
che è sorto

*

talvolta l’isola
la montagna
il mare
la foschia sul mare
sono un tutt’uno

blu
grigio
inconsistente

nulla

se non fosse

*

scurire questo lato
così l’altro lato
trattiene
più a lungo
la luce

*

mare agitato
dall’altro lato

da questo lato
dell’oblò

*
[…]

apri l’oblò

la tua mano nel vento
buona come qualsiasi occhio
per quel che si deve vedere

*

avendo lasciato
ogni cosa

alle spalle

la sorgente del blu

*

contro il sonno
tu sbirci fuori

il cerchio ceruleo

circondato
dal blu di mezzanotte

*

ciò che è dato

le mutevoli
sfumature di blu
il verticale
l’orizzontale

l’orizzonte
col suo sfondo
di luce
sorgente
calante

*

fu all’alba
la partenza

o al crepuscolo

o a mezzogiorno
delfini come
strati nuvolosi
sulle onde
la luce solare
soggiogata
sovrana

*

voci
sul ponte

le voci
che cerchi di udire
quelle del mare
della foschia
delle ombre sull’ombra

della luce che sbianca

del blu
della notte

il tuo orecchio sull’oblò

John Taylor è scrittore e traduttore. Nato nel 1952 a Des Moines (Stati Uniti), vive in Francia dal 1977. È autore di racconti, prose brevi e di poesie. Tra i suoi libri più recenti: The Dark Brightness (2017), Grassy Stairways (2017) e Remembrance of Water & Twenty-Five Trees (2018). In italiano sono usciti, nella traduzione di Marco Morello: Gli Arazzi dell’Apocalisse (Hebenon, 2007), Se cade la notte (Joker, 2014) e L’oscuro splendore (Mimesis-Hebenon, 2018). Portholes (Oblò) è in uscita nell’autunno 2019 per Pietre Vive Editore. Ha tradotto dal francese diversi poeti tra cui Philippe Jaccottet, Pierre-Albert Jourdan, Pierre Chappuis, Pierre Voélin e José-Flore Tappy. Nel 2013 ha vinto il premio dell’Academy of American Poets per un progetto di traduzione delle poesie di Lorenzo Calogero: An Orchid Shining in the Hand: Selected Poems 1932-1960 (Chelsea Editions, 2015). Recentemente, ha tradotto Libretto di transito di Franca Mancinelli: The Little Book of Passage (The Bitter Oleander Press, Fayetteville, New York 2018).

Primo Piano è una rubrica condotta da Carlo Selan e Gabriele Galloni (con l’aiuto di collaboratori), che ci porta a scoprire, grazie a interviste, recensioni e saggi, le attività di alcuni tra i protagonisti più attivi della vita intellettuale e poetica.

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