«Un poeta giovane ma dal sicuro avvenire Gabriele Galloni (Roma, 1995), che a soli ventidue anni esordisce con Slittamenti (2017), accompagnato da una prefazione di Antonio Veneziani. E anche io, come Veneziani, ho notato la maturità stilistica e il talento di cesello (come anche di fioretto) dell’autore romano, che fa della scarnificazione il suo modellare istantanee, che però non si limitano a descrizione quotidiana di immagini o eventi ma, grazie al ritmo, figlio della grande tradizione lirica, ben mantiene alto il silenzio tra queste pagine. Perché Galloni anche in questa sua agile e seconda prova, In che luce cadranno, gioca tra il silenzio e il restare sospeso della poesia, e lo fa a volte con crudezza, altre volte con leggiadria, offrendo al lettore un lavoro di puntello, ma anche e soprattutto di carne, di materia viva. Ciò che più sorprende è l’oscillazione di un poeta così giovane, ma già dal tono maturo, tra la concisione e lo stupore, tra la leggerezza e l’acume di una poesia tanto affinata quanto pungente. E le orazioni, i riti brevi di queste poesie sono dedicate ai morti, e Galloni scava in loro quasi chirurgicamente, riesumando così quella sottile lastra che divide il visibile dall’invisibile, la vita dall’aldilà, con una sapienza stilistica che si staglia attraverso una metodologia impersonale, minimale, offrendo però al lettore un ossessivo, quanto puntuale rendiconto scabro, dissacrante sulla presenza dei morti che si cela soprattutto dietro una sublimazione quasi liturgica della vita stessa. E allora, sembra dirci il poeta, “in quale luce cadranno” i vivi che ostentano il buio dentro, e soprattutto i morti che del buio fanno la loro redenzione? Al futuro di questa poesia l’ardua sentenza.»

Dalla introduzione di Antonio Bux alla raccolta In che luce cadranno (rplibri, 2018).

 

 

 

I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile:
sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci

con una mano – e l’altra all’Invisibile.

 

***

 

Ho conosciuto un uomo che leggeva
la mano ai morti. Preferiva quelli
sotto i vent’anni; tutte le domeniche
nell’obitorio prediceva loro

le coordinate per un’altra vita.

 

***

 

Ecco perché le maschere mortuarie.
I morti recitano spesso i classici
nei pozzi pieni d’acqua o nelle vasche
da bagno. Li stravolgono con varie
amenità: li narrano al contrario
o li chiudono dopo tre battute.

 

***

 

I morti seguono un apprendistato
severo. Per sei mesi sono semplici
ematomi; poi superfici lisce.
E se divengono quel che già sono

è solo merito loro (non scivolano).

 

***

 

I morti continuano a porsi
le stesse domande dei vivi:
rimangono i corsi e i ricorsi
del vivere identici sulle
due rive. In che luce cadranno
tornati alle cellule.

 

***

 

Può capitare che i morti si filmino
a vicenda; che blocchino più volte
il video per capire se la pelle
del compagno è la loro stessa pelle.

In quelle pause – tutte, dissepolte –
le stelle mobili del sottosuolo

 

***

 

Così un giorno, per caso,
i morti costruirono
il primo cimitero sotto il mare.

Se ne dimenticarono
in un tuffo soltanto.

 

***

 

Se la madre dei morti è sempre polvere,
i morti cercano la loro madre

ogni sabato sera sulle spiagge
libere; sotto le sedie o nei gelati

caduti di mano ai ragazzini
in chissà quante estati, in chissà quanti

alberghi, marciapiedi, lungomari.

 

 

Gabriele Galloni è nato a Roma nel 1995. Ha esordito nel 2017 con la silloge poetica Slittamenti (Augh! Edizioni) con una nota di Antonio Veneziani. Nel 2018 pubblica con Rplibri la sua seconda raccolta di versi, In che luce cadranno, nella sezione L’anello di Möbius.

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