L’opera poetica in dialetto di Pierluigi Cappello si compone di sessantaquattro testi distribuiti all’interno di quattro raccolte, Ecce Homo (Comunità montana della Carnia 1989), Amôrs (Campanotto 1999; al interno, in un’omonima sezione, si trovano anche i testi già pubblicati dall’autore nella plaquette Il me Donzel), Dittico (Libòa editore, 2004; strutturata in due parti, una in italiano e una in friulano) e Mandate a dire all’imperatore (Crocetti 2010). Tra queste, le due fondamentali che costituiscono il nucleo principale della versificazione dialettale dello scrittore sono sicuramente Dittico e Amôrs; Ecce Homo, infatti, oltre a contenere un solo componimento in friulano, è un libro che l’autore ha, a posteriori, misconosciuto, non includendolo né nel volume riassuntivo e antologico Assetto di volo (Crocetti 2006), né in nessuna delle note biografiche di accompagnamento alle varie pubblicazioni posteriori (a eccezione di quella contenuta ne Le nebbie, libro edito da Campanotto nel 1994); Mandate a dire all’imperatore, invece, seppur al suo interno contenga comunque due piccoli testi in friulano, rappresenta quasi un congedo del poeta dalla scrittura in dialetto (tutti i suoi lavori successivi sono in italiano).

Il critico Rodolfo Zucco, nel saggio Approssimazioni ad Assetto di volo (contenuto nel volume miscellaneo Per Teresa. Dentro e oltre i confini. Studi e ricerche in ricordo di Teresa Ferro, Forum 2009), nota che uno degli aspetti che forse Pierluigi Cappello potrebbe aver trovato interessante nell’utilizzo del friulano in poesia rispetto all’italiano sarebbe stato anche la possibilità di avere a che fare con una natura prosodica differente, riuscendo così, ad esempio, a costruire versi interamente composti da termini monosillabici («jo, ch’o soi ma no soi/ ce ch’o soi stât, ch’o stoi» in Amôrs); tuttavia, se si considerano, invece, le dichiarazioni rilasciate dallo autore stesso in numerose interviste, appare chiaro che le motivazioni che sottostanno alla scelta di usare il dialetto in alternativa all’italiano sembrerebbero essere più legate a questioni riguardanti nello specifico il significato del dire in versi.

Zucco, a tal proposito, definisce giustamente il dialetto in Cappello come un «luogo mentale di una scrittura sapienziale» , in opposizione a un italiano utilizzato invece dal poeta come linguaggio dell’esperienza. In effetti, sia i componimenti contenuti in Amôrs che quelli situati all’interno della raccolta Dittico si presentano come liriche tendenti, seppur in maniera diversa, verso un luogo e un tempo che non sono reali (non a caso Inniò, titolo della sezione in friulano di Dittico, significa proprio «in nessun luogo») ma esistono solo nell’Io del poeta e nella dimensione altra della poesia: in Amôrs, ad esempio, è la profonda letterarietà (i cui rimandi vanno cercati nella produzione poetica in friulano di Pasolini, nella tradizione trobadorica medievale e nella poesia stilnovistica) che in qualche modo allontana le tematiche trattate (l’amore, il doppio di sé) da una dimensione quotidiana e le avvicina, invece, a una realtà fittizia intima e archetipa dominata da personaggi simbolo come il Donzel – Narciso e la Domine (Zucco, difatti, paragona gli esiti di Amôrs a quelli della raccolta Salutz di Giudici del 1986); in Dittico, invece, è soprattutto il costante riferimento al sonno, al sognare e al ricordare che rende l’idea di uno scrivere che vorrebbe essere prima di tutto necessità di evasione e di distanza. Anzi, proprio il concetto di distanza diventa un elemento chiave per addentrarsi in quella dimensione spazio – temporale così interiore (ma tangibile e carnale) che sembra caratterizzare le liriche in friulano di Pierluigi Cappello, sempre orientate verso quel «nessun luogo» talmente personale da richiedere di essere detto in una lingua privata e ormai sempre meno utilizzata come il dialetto, concetto che è espresso bene dal verso del poeta «in cheste lenghe nude e in nissun puest» .

Inoltre, forse ha ragione Giovanni Tesio quando, nella prefazione alla plaquette Il me Donzel (Mondovì 1999), sottolinea come la rigida struttura formale delle liriche dialettali di Cappello (egli si riferisce ai sonetti in settenari de Il me Donzel, ma lo stesso discorso potrebbe valere, ad esempio, anche per l’attenta metrica di Dittico) rappresenta una prigionia e una chiusura che per il poeta non è solo simbolica, ma è anche concreta (forse è il caso di ricordare la condizione di semi immobilità, causata da un incidente in motorino da ragazzo, che ha condizionato tutta la sua vita). L’idea della reclusione, d’altronde, contiene già in sé anche il seme della fuga verso l’origine, verso lo stare felici che è stato, desiderio e nostalgia di una simbolica infanzia che, però, secondo quanto scrive Maria Tore Barbina introducendo Amôrs, «è vanificato anche dalla coscienza che non c’è futuro felice, che la fuga dovrebbe venire solo verso l’ieri, solo per tornâ indaûr e quindi è impossibile» .

Proprio questo è uno dei temi di Inniò, sezione in friulano di Dittico; e non è un caso, dunque, se la seconda metà di questa raccolta (contenente liriche in italiano) è stata intitolata da Cappello Ritornare, verbo che implica un movimento retrospettivo indirizzato verso un dove da cui, in un momento non chiarito, il poeta si è allontanato, un dove che rappresenta un riferimento reale capace di riportare l’autore alla dimensione del quotidiano e del già vissuto. In Dittico, anzi, si trova magistralmente espressa quella polarità esistenziale che, in definitiva, dice tutto dello scrivere poetico dell’autore friulano: da una parte il tempo proprio dell’alterità e della distanza, l’esprimersi in dialetto, la metrica intatta, l’Io lirico che dialoga sempre con un tu pensato; dall’altra il tempo presente che accade disarmante, la lingua italiana, i versi maggiormente narrativi, il noi collettivo che si sostituisce sempre più alla prima persona singolare.

 

Poesie tratte dalla raccolta Dittico. Le traduzioni sono state realizzate in prosa dall’autore stesso.

 

Cercli

Plan ch’e si poi la gnot cence sunsûr
scrivint di scûr la pagjine dai siums
cun man plui lizere dal sofli di diu;

ch’al alci il sium coronis di dolçôr
e che ti dedi la fuarce dal freit,
il polvar e il glaç dal voli de lune;

achì, dentri la gnot ch’e si consume,
cun mancul fuarce di prime doi vôi
l’olme davûr doman la cjalaràn denant.

(Cerchio. Venga la notte e si posi piano e senza rumore scrivendo di buio la pagina dei sogni con mano più leggera del soffio di dio; che il sogno alzi corone di dolcezza e che ti porga la forza del freddo, la polvere e il ghiaccio dell’occhio della luna; qui, dentro la notte che si consuma, con meno forza di prima due occhi l’orma che avevano dietro domani la guarderanno davanti.)

***

Inniò

E cuan’ che tu sarâs già muart, ma muart
chês tantis voltis dentri une vite
ch’a si à di murî, alore slargje ben i tiei vôi
a la cjavece dal sium
e clame cun te ogni bielece ch’a ti bisugne
e intal rispîr di chel mont, met dentri il to:

cjamine pûr cun pîts lizêrs e sporcs
come chei di chel che sivilant al va par strade
ma tant che cjaminant su un fîl di lame fine
e al indulà che tu i domandis
lui, ridint, a ti rispuint
cence principi o pinsîr di fin:
«Jo? Jo o voi discôlç viers inniò»
i siei vôi celest, piturât di un bambin.

(In nessun dove. E quando tu sarai morto, ma morto quelle tante volte dentro una vita che si deve morire, allora allarga bene i tuoi occhi alla cavezza del sogno e chiama con te ogni bellezza di cui hai bisogno e nel respiro di quel mondo, metti dentro il tuo: cammina pure con i piedi leggeri e sporchi come quelli di chi fischiettando va per strada, ma come camminando su un filo di lama sottile, e al dove vai che tu gli chiedi, lui, sorridendo, ti risponde senza inizio o pensiero di fine: «Io? Io vado scalzo verso inniò», i suoi occhi il celeste, pitturato da un bambino.)

***

Poesie tratte dalla raccolta Amôrs (nella versione contenuta in Assetto di volo). Le traduzioni sono state realizzate in prosa dall’autore stesso.

 

Mondimi me, che par volê florî
di flôr in flôr florint soi deventât
ramaç no in flôr nì niçulât da l’aiar:
libare tu, Domine mê, la mê
libertât, metimi dentri tai vôi
la lûs tenare e garbe de to piel di vencjâr:
l’amôr al è cuant che i miei deits
a tocjâti a deventin
la ponte dai tiei.

(Mondami, che per voler fiorire di fiore in fiore, fiorendo sono diventato un ramo senza fiore, né mosso dal vento: libera tu, Domine, la mia libertà, mettimi dentro gli occhi la luce tenera e aspra della tua pelle di vinco: l’amore è quando le mie dita a toccarti diventano la punta delle tue.)

***

O vin dit dut, par dut
ma il dut al è ancjemo
cussì cumò ch’o viôt
chê sinfonie di jerbis

jerbe o soi ancje jo
se al baste aiar di Mai
par dî, cjant di sei
o nini o frut, Donzel.

Memorie e passe vie
par sot, magari sot
chest tei e l’armonie

dai nûi, ma, cualchi volte
si distrie tant che brame
o lampe di cjavêi.

(Abbiamo detto tutto, per tutto, ma tutto vuol dire ancora, così, adesso che vedo quella sinfonia d’erbe, erba sono anch’io se basta aria di maggio per dire, cantare d’essere o “nini” o “frut”, Donzel. Memoria scorre sotto , magari sottoquesto tiglio e l’armonia dei nuvoli, ma qualche volta si dismaga quanto brama o lampo di capelli.)

 

Pierluigi Cappello è nato a Gemona del Friuli (Ud) nel 1967 e ha trascorso la sua prima giovinezza a Chiusaforte (Ud) per poi, in un secondo momento, trasferirsi a Cassacco (Ud). All’età di sedici anni, a causa di un incidente con il motorino, si è trovato precluso l’utilizzo delle gambe. In vita ha pubblicato le raccolte di poesie Ecce Homo (Comunità montana della Carnia, Tolmezzo 1992), Le nebbie (Campanotto, Pasian di Prato 1994), La misura dell’erba (Ignazio Maria Gallino Editore, Milano 1998), Il me Donzel (Mondovì 1999), Amôrs (Campanotto, Pasian di Prato 1999), Dentro Gerico (La barca di babele, Meduno 2002), Dittico (Liboà editore 2004), Assetto di volo (Crocetti, Milano 2006), Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, Milano 2010), Azzurro elementare (Rizzoli, Milano 2017), Stato di quiete (Rizzoli, Milano 2016); il romanzo Questa libertà (Rizzoli, Milano 2013); la raccolta di prose e interventi Il dio del mare (Lineadaria Editore, Biella 2008); l’antologia di traduzioni in friulano Rondeau. Venti variazioni d’autore (Forum, Udine 2011); il libro di filastrocche per bambini Ogni goccia balla il tango (Rizzoli, Milano 2014). Suoi versi (già editi) sono apparsi anche inoltre anche in numerose plaquettes e edizioni d’arte, riviste letterarie e antologie. Per il suo lavoro poetico ha ottenuto numerosi riconoscimenti importanti, come, ad esempio, il premio Città di San Vito 1999, il Premio Montale 2004, il Premio Bagutta 2007, il Premio Viareggio – Repaci 2010, il Premio Vittorio De Sica 2012 per la poesia conferitogli dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il premio Bruno Cavallini, il Premio Vicino/Lontano 2014. Il 27 settembre 2013 l’Università di Udine gli ha conferito la laurea honoris causa in Scienze della formazione. È morto nel 2017.

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