SCAFFALE POESIA: EDITORI A CONFRONTO
XII PUNTATA

Samuele Editore

 

Può raccontarci brevemente la storia della Samuele Editore? Quali sono, a Suo giudizio, le peculiarità che la differenziano dalle altre case editrici?

La Samuele Editore nasce come idea circa tredici anni fa, quando ho saputo che avrei avuto un figlio. La cosa mi mise di fronte a una scelta: era arrivato il momento di cominciare a fare qualcosa di serio per il figlio che sarebbe arrivato. La mia convinzione del tempo, e che tutt’ora mantengo, è che per essere un buon genitore bisogna essere un buon uomo, e da questo ho raccolto le idee e le “cose che sapevo fare” e ho deciso di creare una realtà editoriale che avrebbe costruito attorno a me e a lui un “buon giardino” di idee e che avrebbe potuto “rimodellare” me come uomo. Al tempo, e parliamo di tredici anni fa, essere attorniati da poeti era un valore aggiunto, una cosa “speciale”. Adesso, grazie soprattutto a quel cambiamento epocale che tutti sottovalutiamo anche se intuiamo, che si chiama social media, le cose sono molto cambiate. Così nel 2008 ho fondato la Samuele Editore, dal nome di mio figlio Samuele, e l’ho dedicata all’edizione di libri di poesia imponendomi di pubblicare non più di 10/15 titoli l’anno, così da poterli seguire adeguatamente.
Da subito la Samuele Editore, con tutti i se e i ma del caso, con tutte le bellezze, illuminazioni, sbavature, errori, che fanno parte di una cosa che cerchi di fare seriamente e grandiosamente, ha puntato a capire cosa gli altri Editori non facevano e cosa invece serviva ai poeti. Abbiamo puntato immediatamente agli eventi anche durante il primo anno di attività, quando ancora pubblicavamo solo i “Poeti di Pordenone”, una collana antologica che voleva fare un focus sulla realtà pordenonese pre-pordenonelegge. La “Collana Scilla”, nostra unica collana di poesia attualmente (e a breve ne spiegherò i motivi), è nata infatti nel 2009. Eventi che nel tempo hanno cambiato natura. Da eventi “spot” in giro per l’Italia siamo arrivati alla creazione di cicli di incontri come “Una Scontrosa Grazia” a Trieste. Alcuni li abbiamo persi nel tempo (la poesia non è mai facile, nemmeno a livello di eventi), come “Callisto” a Venezia, ad altri ci siamo avvicinati come collaboratori come col “#Poetry” a Faenza, degli amici dell’Independent Poetry. Fino ad arrivare a creare, dopo diversi anni di sperimentazioni (“Il ritiro dei Poeti e degli Artisti” in Carnia, “Poesia tra le acque di Polcenigo” in provincia di Pordenone, “Verdarti” a Porcia), dei Festival veri e propri che hanno come conditio sine qua non il fatto di non essere occasionali. Sto intendendo ad esempio l’appena conclusa seconda edizione del riuscitissimo “Festival della Letteratura Verde” a Porcia, la seconda edizione del Festival “Tres Dotes” in Romagna che faremo questa estate, il nascente “Panorami Poetici” a Spilimbergo. Va detto inoltre che, peculiarità di cui andiamo molto orgogliosi, questi cicli e questi festival di poesia non sono dedicati unicamente alla Samuele Editore. Nonostante vantiamo autori di altissimo livello come l’appena scomparso Alberto Toni, Claribel Alegria, Sandro Pecchiari, Gabriella Musetti, Flaminia Cruciani, Patrick Williamson, Francesco Sassetto, il Gruppo Majakovskij, fin da subito abbiamo cercato il confronto con altri autori e altre case editrici tanto che presentiamo e invitiamo poeti e colleghi da tutta Italia. Questo perché siamo convinti che la poesia sia dialogo più che esposizione, sia confronto più che like. Altro elemento peculiare, che ricordo per la prima volta mi è stato chiesto a Ritratti di Poesia nel 2014 quando l’amico Vincenzo Mascolo ci ha invitati come Casa Editrice, è l’editing. Dopo pochissimi anni di attività, e la lettura di centinaia di bozze di poesia che arrivavano in redazione, ci siamo accorti che le opere “in entrata” si suddividevano in tre categorie:

1) Da gettare perché pessime
2) Con alcune cose buone, ma nel complesso non ottime
3) Ottime e intoccabili

A dir la verità ci è capitato, in 87 numeri della Collana Scilla, pochissime volte (credo si contino sulle dita di una mano) di riscontrare il caso numero 3. In 11 anni di lavoro effettivo devo ammettere, non senza certa tristezza, invece le migliaia di volte che abbiamo dovuto rifiutare opere (spesso venendo pesantemente insultati, motivo per cui non di rado gli editori preferiscono non rispondere) che appartenevano alla casistica numero 1. E le decine di volte, che poi hanno costruito il Catalogo della Samuele Editore, che abbiamo avuto del caso numero 2. Parlo quindi dell’esigenza che hanno i poeti di confrontarsi non solo con il pubblico ma prima ancora con un editore. La necessità di discutere la struttura dell’opera, i testi eventualmente da eliminare, la necessità faticosissima (lo ammetto) di confrontarsi verso per verso. Ultimo elemento peculiare, e di cui al momento siamo convinti (solo uno sciocco non cambia mai idea, e non nego che in futuro possiamo modificare l’impostazione), è il fatto di avere una sola collana. Vedo colleghi suddividere le opere in diverse collane e non mi trovo sempre d’accordo. Anche perché, e qui si va poi a sfiorare il problema degli acquisti da parte dell’autore e delle pubblicazioni invece gratuite, spesso tale suddivisione serve a creare collane a pagamento che poi vanno a nutrire le collane gratuite. Altre volte serve semplicemente a pubblicare di più. L’editoria di poesia è un’editoria di nicchia per cui siamo, lo ripeto, a tutt’oggi convinti che debba essere trattata come un elemento di nicchia, e quindi impreziosita in un solo percorso unitario, solido seppure variegato.

 

Nella scelta delle pubblicazioni poetiche quali sono i criteri seguiti? Può definire la linea editoriale che caratterizza la Samuele editore in ambito poetico? Che cosa La spinge a scegliere una/un poeta piuttosto che un’/un altra/o?

Scegliere un libro è sempre una cosa complessa e che deriva da moltissimi fattori. Mi piace in primis raccontare come fino a qualche anno fa sceglievamo i “libri” e solo dopo conoscevamo gli “autori”. Adesso, forse anche un po’ per stanchezza, il tempo che intercorre dal momento in cui ci innamoriamo di un “libro” al momento in cui conosciamo il suo “autore” si è molto ridotto.

Il libro si sceglie sulla base di due letture fondamentali:

1) lo leggi e ti colpisce
2) nella seconda lettura ne cogli i retroscena, le motivazioni nascoste, le scelte stilistiche

La prima lettura può sembrare superficiale e approssimata ed è assolutamente così. Prendiamo il libro e lo leggiamo velocemente, magari saltando le pagine, siamo cioè il primo lettore del probabile futuro libro e affrontiamo i testi con leggerezza, curiosità, voglia di farsi “illuminare”. Può sembrare una cosa strana ma in realtà, come fu dichiarato anche in un vecchio Premio Strega, un libro colpisce o non colpisce. Se un autore è bravo ti colpisce, se non lo è lo intuisci subito. Ovviamente questa non è una lettura “veramente” approssimativa ma fatta da persone che un po’ di “esperienza e competenza” ce l’hanno. La seconda lettura, nel momento in cui viene fatta la prima scelta, è molto più approfondita e si va a cercare l’iceberg sotto la punta. Noi, e qui si va a tangere l’indirizzo che ho e abbiamo dato alla Collana Scilla della Samuele Editore, prediligiamo i testi nei quali è evidente la ricerca stilistica, l’esperienza. Cerchiamo in un testo il lavoro sul linguaggio che porta a un contenuto importante, che possa durare nel tempo. La poesia deve durare nel tempo, non essere i 15 secondi da like in cui si sono trasformati i 15 minuti di notorietà televisiva di 20 anni fa. Non amiamo inoltre le scelte troppo sperimentali o troppo tese all’effetto “bomba” (quell’effetto per cui il testo colpisce e deflagra ma poi tutto sommato non dice nulla, come una vera e propria “bomba” fa un bel botto ma poi lascia solo cenere, pezzettini sparsi che non serviranno a nulla). Sono convinto, e per fortuna ho diversi collaboratori che poi hanno sposato tale mia convinzione, che la poesia debba essere utile, debba servire a migliorare l’essere umano nella misura del possibile, che debba aiutare a riflettere. Che debba essere una poesia “per gli altri” e non per “se stessi”. Un esperimento ad esempio straordinario è stato fatto, e mi pare sia poi naufragato, da un’amica che aveva creato una piccolissima Casa Editrice nel milanese che pubblicava testi anonimi. Ha fatto qualche numero, poi non se ne è saputo più nulla. Ed è ovvio: oggi, in tempi da social media, ai poeti interessa più apparire che essere (per fare il verso al buon Fromm).

Negli anni probabilmente abbiamo perso grandi opere. Ultimamente ad esempio abbiamo letto un’ottima cosa di Gianni Venturi che però non pubblicheremo in quanto non nelle nostre corde. E cosa vuol dire “non nelle nostre corde”? Che non abbiamo una struttura adeguata a promuovere quel “tipo” di poesia. Perché la poesia si divide in tante forme, in tante intenzioni, e ognuna deve essere portata avanti in un certo modo e ha un suo pubblico specifico. E non ci si può improvvisare pur di far uscire quel titolo. Così facendo gli si manca di rispetto, lo si affonda. Come dicevo lavoriamo con una sola Collana e in questa inseriamo cose anche molto diverse. Ci sono autori che hanno fatto della ricerca la propria ragione di vita e autori un po’ più “improvvisati”. Tra questi ultimi la cosa che ci colpisce, e che ci spinge a sceglierli, è la “motivazione”. Ci sono “non poeti” che riescono a scrivere delle cose molto interessanti e che reputiamo “utili” perché hanno una “motivazione” forte, e lì allora l’editore ha l’obbligo di “limare” la forma per creare uno “stile”. L’autore è parte integrante del processo e non ne viene snaturato. Lui ha sempre l’ultima parola, l’opera resta sempre sua e lo deve riflettere, ma lo si aiuta ad acquisire i “ferri del mestiere”. In ultima battuta il discorso poc’anzi accennato: l’autore. Spesso il vero problema dell’opera è il suo autore. In questi “tempi da social”, da “like”, l’arroganza, la presunzione, l’aggressività degli autori è divenuta tale da mettere in seria discussione non solo la possibilità di invitarlo agli eventi, ma anche di pubblicarlo. Per tale perversa dinamica autoalimentante, una sorta di malattia autoimmune della poesia, in questi ultimi cinque anni ho visto diverse ottime opere cadere nel dimenticatoio dopo la “deflagrazione” iniziale proprio a causa degli autori. Il “lavoro della poesia” non è un lavoro noto per la sua “capacità economica”. Gli editori seri vivono a malapena e spesso convivono coi debiti. Gli autori non guadagnano nulla. Ma è un “lavoro necessario” e ha delle regole date dai maestri (pensiamo fra tutti a Luzi): umiltà, umiltà, e ancora umiltà.

 

Quali sono stati a Suo dire i cambiamenti che hanno interessato il mondo dell’editoria poetica del nuovo millennio? Quali sono i punti di forza e le criticità di una piccola casa editrice che si occupa di poesia, come la Samuele editore?

L’Editoria di Poesia negli ultimi 20 anni è cambiata radicalmente. Siamo passati dagli ottimi piccoli editori degli anni ’90, poi decaduti, a una situazione imbarazzante di frammentazione e moltiplicazione assurda. Da quando è arrivata la stampa digitale poi tutti si sono improvvisati poeti, tutti si sono improvvisati editori, fino ad arrivare all’istituto delegato a produrre i codici ISBN che ha concesso tale opzione anche agli autori (prima era un servizio dedicato solo agli editori) come conseguenza del riconoscimento della validità dell’autoproduzione. Abbiamo avuto quindi, e tutt’oggi c’è, la nascita di migliaia di piccoli editori in un caos che aveva e ha del vergognoso. Pubblicare in Italia oggi è più facile che comprare del buon pane. Ma dal caos è comunque nato qualcosa di buono: l’esigenza di creare un modello editoriale più serio. Nel marasma di case editrici improvvisate e che pubblicavano di tutto sono emerse alcune piccole realtà che scelgono, che promuovono, che lavorano.

Poi abbiamo avuto la discesa in campo della polemica “Writer’s Dream” che, con un’operazione tremendamente superficiale, ha fatto una lista di editori a pagamento e di editori non a pagamento senza alcuna discriminazione, senza alcuna osservazione. Così “Writer’s Dream” ha aiutato a creare migliaia, e dico veramente migliaia, di editori non eap che hanno intuito il valore economico di questo modello: basta pubblicare 500 titoli gratuiti in un anno. Spesa iniziale bassissima perché vado di digitale con carta di scarsissimo pregio, studio grafico inesistente, e all’autore consegno tanti complimenti e 10 copie (su 20 stampate). L’autore è contentissimo perché è stato pubblicato, a suo dire, da un “editore serio” perché no eap, ma a livello di presentazioni, incontri, promozione, si dovrà arrangiare perché l’autore è “il maggior conoscitore e promotore dell’opera” (parole che ho sentito con le mie orecchie). Quindi l’autore si farà la sua bella presentazioncina e comprerà (scontate) 30 copie. Facciamo 7 euro a copia, per 30, sono 210 euro in entrata per l’editore no eap di turno. Togli 50 euro di stampa restano 160 euro. Per 500 titoli abbiamo un introito di 80 mila euro l’anno. Però, ovviamente, per l’autore questa non è editoria a pagamento. Questa è editoria seria anche se il libro di fatto non esiste se non nelle copie che si è comprato. Poi è nato un ulteriore modello di editoria: sempre a pagamento, ma con una cifra quasi irrisoria, e alcuni eventi assicurati. Anche in questo caso però, se andiamo a vedere il Catalogo dell’Editore, troviamo centinaia di titoli all’anno e anche in questo caso l’autore è contento ma non capisce che è solo un numero fra tanti e che le stesse presentazioni non servono a proporre il suo libro, ma a dare l’illusione che si tratti di un editore che promuove (così facendo l’editore trova altri autori). E non parliamo di quegli editori che suddividono le collane in “a pagamento” e “gratuite”. Con questo giochino pubblicano ottimi titoli e l’autore sprovveduto di turno pubblica a pagamento per essere accanto a quel nome, non rendendosi conto che lui ha pagato la pubblicazione dell’altro.

Poi abbiamo avuto, e la Samuele Editore è stata una delle prime a strutturare con certo rigore il sistema all’interno del processo editoriale assieme ad esempio a “Poesia del nostro tempo” (che ha ispirato noi) e dopo “Interno Poesia”, l’avvento del Crowdfunding. Che intendiamoci esisteva anche prima, ma non così integrato nel sistema (e nel magma delle realtà editoriali, credetemi, un editore che considera i “processi” e il “sistema” editoriale è già tanto). Il Crowdfunding poteva essere un sistema che poteva abbattere con facilità ogni tipologia di contributo autoriale. Ma siamo in Italia, uno dei paesi che meno comprano e leggono libri al mondo, e dopo due anni “al fronte” (perché vendere libri è quasi come andare in guerra) il Crowdfunding è naufragato per non interesse delle persone. Dico solo una cosa: a un certo punto sono stato accusato d’essere un editore a pagamento perché, per poter leggere le opere, chiedevo 25 euro nel Crowdfunding in essere (che voleva dire acquistare 1 libro in proposizione e 3, scontati, libri della Collana). Siamo in Italia. Oggi abbiamo visto la chiusura di ottime collane di Poesia, abbiamo visto la nascita di microeditori che seguono la dinamica succitata, e prendiamo atto dei 15 secondi di notorietà dati dai social. Che poi vengono anche ripetuti grazie all’interesse diretto degli autori che spesso continuano a mandare opere per ricevere recensioni, letture, oppure che vengono chiamati perché hanno tanti “like”. Non so quanto questo sia cultura, lo ammetto, e nella Samuele Editore cerchiamo di fare un lavoro diverso, più teso al dialogo e al confronto. Ad ogni modo non sono io a doverlo dire, ma il tempo. Vedremo fra dieci o vent’anni chi e cosa resterà. Col tempo non si scende a patti.

 

Ha qualche aneddoto da raccontarci in merito a qualche titolo del vostro catalogo, a cui Lei è particolarmente legato?

Una Casa Editrice è sempre piena di aneddoti. Belli e meno belli. A una vecchia edizione di Pordenonelegge coi colleghi si ipotizzava di fare un libro con le storie degli editori, anche se in effetti verrebbe fuori un’opera particolarmente drammatica anche se divertente. Per darne un paio ricordo una delle primissime presentazioni, dieci anni fa. Eravamo in uno spazio istituzionale e non era venuto nessuno nonostante la pubblicità sui giornali e quant’altro (per un evento di poesia non è proprio una cosa strana). A quel punto è toccato uscire dalla sala e chiedere alla gente se “per favore” entrava. Ricordo una signora abbastanza anziana mi ha preso per matto, ma alla fine è entrata. Stessa cosa a una fiera a Cordenons dove ci avevano assegnato una sala straordinariamente bella all’interno di un parco, ma data la bella giornata nessuno entrava. E allora ci siamo messi in mezzo alla stradina del parco con delle caramelle: la gente si fermava per le caramelle e intanto ascoltava la lettura. Un’altra volta camminavo per una città con un’autrice e stavamo discutendo del suo libro e della copertina, ed eravamo veramente in alto mare per quanto riguarda l’immagine di copertina. Camminando, con la coda dell’occhio, vidi un quadro all’interno di un cortile e mi si accese la classica lampadina in testa. Siamo entrati in casa, abbiamo chiesto scusa per l’invasione alla persona che abbiamo trovata, e da lì è nata un’amicizia con un pittore che poi ha dato un suo quadro per la copertina dell’autrice. Poi ci sono gli eventi un po’ più drammatici. Una volta ad esempio, a Trento, una libreria ci ha messo in mezzo alla strada senza microfono, e c’erano altri eventi. E allora abbiamo dovuto leggere i testi urlando, letteralmente urlando. A parte l’imbarazzo della cosa in quel frangente, a Trento, mi sono reso conto di una costante degli eventi: i libri vengono rubati. In moltissimi incontri infatti riscontriamo almeno un libro rubato. Almeno sono libri! Poi ci sono gli incontri che diventano libri. Di un’autrice con la quale adesso collaboro molto strettamente, che lavora a un livello molto alto non solo in Italia, ricordo avevo stroncato il precedente libro. Anzi, a pensarci bene sono due autrici con le quali si è ripetuta questa dinamica. E dopo un periodo di iniziale attrito con le stesse queste sono tornate con ottime opere che abbiamo lavorato e sono diventate autrici di punta e care amiche personali. Altri incontri non vanno così bene. Proprio in questi giorni, e per collegarmi alla domanda precedente, ho ricevuto diverse bozze pessime da un’autrice che vantava una trafila di pubblicazione nonostante un’età relativamente giovane, credo trent’anni. Ho rifiutato la pubblicazione motivando e lei, di tutta risposta, ha scritto che tutti i suoi libri si sono già piazzati con editori no eap. E questo spiega, ad esempio, cos’è buona parte di editoria no eap oggi.

 

Secondo Lei, è corretto affermare che in Italia la poesia non susciti interesse, venda poco e sia in crisi, come spesso si legge e si sente dire? La poesia continua a rispondere ai bisogni dell’Uomo, nonostante le trasformazioni a cui la società è andata incontro e gli spazi pubblici sempre più esigui a essa dedicati? Cosa si potrebbe eventualmente fare per incrementare l’attenzione del pubblico e incentivarlo a leggere più poesia?

Questo è un tema e un problema che richiederebbe veri e propri convegni. Almeno per mettere a confronto diverse scuole di pensiero. Personalmente credo sarebbe però un fallimento a causa della presunzione e dell’arroganza dilagante. Tutti pensano di avere ragione e che la propria opinione sia superiore a quella degli altri. Finirebbe sicuramente con un gran litigio.

Ad ogni modo andiamo per gradi: la poesia suscita interesse o no? I numeri dati dal sito poesiadelnostrotempo.it dicono il contrario. Ci sono migliaia di vendite, ma non sono quelle che vorremmo. Catalano, Francesco Sole, i poeti da “instagram” corrono benissimo. I “poeti social” vendono. Quando la poesia diventa “spettacolo social” vende e non è certo una novità. Vent’anni fa, ma in fondo ancora oggi, per vendere un libro dovevi mandare l’autore in televisione. Oggi se l’autore è un buon imprenditore di se stesso sui social media riesce a fare i numeri. Ma questa non è più letteratura, tantomeno poesia. È marketing, impresa. La poesia oggi suscita un grandissimo interesse e lo vediamo anche da quanti festival, occasioni d’incontri per autori, abbiamo. Il problema è che l’interesse è nell’esposizione, non nella discussione. Ogni tanto vedo presentazioni dove mi chiedo, letteralmente, “ma cosa sta effettivamente dicendo questo autore?”. Tolta la “bellezza dell’evento”, l’”impressione” che suscitano i versi nei primi benedetti 15 secondi, cosa resta? Spesso veramente nulla. Eppure le persone hanno “fame” di questo nulla che non è più poesia. Attorno a questa esigenza “emozionale” si è creato tutto un mercato della poesia che poco ha a che fare con l’editoria libraria, anzi spesso non la prevede nemmeno. E sto parlando paradossalmente del lato “buono” dell’esigenza della poesia. Il lato “brutto” sono tutti quegli autori che pubblicano e pubblicano senza alcun motivo, senza dare alcun apporto sostanziale al mondo. Voglio dare un piccolo aneddoto emblematico relativo a questo “bisogno di poesia” nell’accezione di questi anni. Nel gruppo facebook Laboratori Poesia abbiamo, a inizio anno, cominciato un’autoregolamentazione tesa a preferire la discussione sui testi (di tutti) al posto della semplice esposizione. Con un lavoro di circa due mesi siamo arrivati a centinaia di commenti a singole poesie. Ma in quei due mesi, e nei mesi successivi, siamo stati attaccati da decine di utenti che preferivano pubblicare e basta i testi senza discutere. Che attaccavano l’editing fatto come confronto senza pretese o altro. Alla fine ha vinto la linea per così dire “popolare”. Ad oggi proponiamo due esercizi al mese e gli utenti sono contenti di poter pubblicare le loro poesie che nessuno legge e discute. Il “bisogno di poesia” in questo caso è semplicemente il “bisogno di esporre” senza discussione, senza critica, senza feedback. E guai a darlo soprattutto se è in disaccordo rispetto all’autore: nascono le guerre.

Sul fatto che la “poesia non venda” questo è vero da sempre. I latini lo dicevano già secoli fa. Io non ho vergogna di dire che nel 2018 abbiamo fatto 115 eventi in tutta Italia e le vendite non sono state sufficienti a coprire le spese. È un dato di fatto che nasce, come detto in altra domanda, nel pubblico della poesia, non nell’editoria. Se il pubblico fosse educato a comprare i libri nel giro di due anni sparirebbe l’editoria a pagamento, sparirebbero le migliaia di editori “furbetti”, nascerebbe una vera cultura del libro. Perché ad oggi vende solo il “poeta social”. Che se va bene fa buona poesia, altrimenti è solo spettacolo. E qui non voglio dare alcun giudizio, si vedano solo i titoli in cima alle vendite, ribadisco, forniti da poesiadelnostrotempo.it.

Per la terza questione, se la poesia risponda o meno ai bisogno dell’uomo (gli spazi non sono poi così esigui dai… ormai tutti pubblicano, tutti fanno eventi, tutti fanno premi), è sicuramente vero e resterà sempre così. La funzione della poesia è di riflettere la società, l’umano, e di cercare di dargli una direzione. Più che un bisogno dell’uomo è più un bisogno dell’intelletto dell’uomo, della sua intelligenza, perché servono dei presupposti severi per essere poeti. Non credo questa funzione tramonterà mai perché nasceranno sempre persone desiderose di studiare e innamorate del mondo tanto da cercare di dirgli qualcosa di importante, a prescindere da se stessi.

Per l’ultima questione, cosa si può fare per incentivare e invogliare il pubblico, in undici anni di editoria mi sono fatto un’idea un po’ utopica che in realtà non è mia, e che in certa parte funziona. Un editore non deve cercare di compiacere il pubblico, non deve dare al pubblico ciò che il pubblico vuole e può comprare. Altrimenti abbiamo i numeri di vendita di oggi. Un vero editore deve assumersi la responsabilità di scegliere, e prima ancora di capire, cosa c’è di valido e di utile all’uomo. E proporlo. Come? Educando il “suo” pubblico piano piano, fornendogli elementi su cui riflettere. Un pubblico educato è un pubblico che sa “scegliere” e sa “comprare”. Altrimenti seguiamo l’onda emozionale e scadiamo sempre più nell’ignoranza. Dicevo che questa è un’utopia che in realtà non è mia, e da buon pordenonese devo ringraziare Pordenonelegge e Gian Mario Villalta per averci insegnato quest’idea. Pordenonelegge infatti sono quasi due decenni che educa il pubblico alla poesia. Possiamo apprezzare o criticare tutto ma la verità è che Villalta ci ha insegnato cos’è la poesia proponendocela, facendocela vivere. Ha creato un pubblico “educato” che, credetemi, a pordenonelegge sa cosa comprare e lo compra. Certo, questo sistema vive a Pordenone. Sarebbe bello se fosse un sistema Italia. Io, come Samuele Editore, anche se con esiti infinitamente inferiore a pordenonelegge, sto cercando di fare lo stesso.

 

Da diversi anni all’editoria tradizionale si sono andate affiancando, affermandosi sempre più, nuove tendenze che vedono internet (dai blog/siti specializzati ai vari social) come dinamico luogo di scritture: per quanto riguarda la poesia, la Rete può aiutare o al contrario ostacolare la diffusione dei libri di poesia? Ultimamente si sta affermando anche il fenomeno denominato “Instagram poetry”: che cosa pensa in merito a questa nuova tendenza?

Rispondo alla prima domanda. Da editore ho sempre sposato con favore i social media per un motivo molto semplice: se prima una casa editrice seria necessitava di un ufficio stampa per far sapere che il libro era uscito, doveva cercare l’accordo delle riviste di settore, oggi il rapporto diretto editore/lettore aiuta a far sapere che il titolo X è uscito. A fornire una piccola anteprima, a dare delle piccole informazioni sull’autore. L’autore stesso può promuoverlo, e tutto a costo zero (anche se, imprenditorialmente, anche il tempo è un costo). La rete inoltre spesso provoca e aiuta la discussione, il confronto, la conoscenza di persone anche molto lontane. E tutto questo fa benissimo all’editoria, alla poesia.

Altro discorso è l’appoggiare l’editoria e la poesia ai social media, a internet. È la questione che ho affrontato prima: se io valuto la bontà di un’opera sulla base dei like starò semplicemente inseguendo il gusto di un pubblico che non sa che cosa vuole, e che risponde “di pancia”. Se invece io creo un luogo di discussione ed educo il mio pubblico “social” e mi faccio anche educare da lui (ci sono grandissimi critici facilmente rintracciabili online) ecco che costruirò qualcosa di serio e duraturo. E quindi vengo agli instagram poets. Ammetto di saperne poco, non amo instagram e lo seguo pochissimo. Ma il ragionamento è sempre valido: se proponiamo una nostra convinzione culturalmente strutturata va bene, stiamo facendo comunicazione ed educazione. Se inseguiamo il gusto del pubblico e ci dirigiamo dove ci sono più like, stiamo diventando come il più ignorante degli appartenenti al nostro pubblico (che poi è anche una delle contraddizioni della definizione e dell’applicazione di “democrazia”, sulla quale i vari governi italiani marciano dagli anni 90, si pensi all’abolizione dell’educazione civica nelle scuole, ai programmi trash nelle reti statali e private, sapendo poi che le reti private erano spesso e volentieri di proprietà di un esponente del governo). In buona sostanza: la rete e i social media sono stati e sono tutt’ora un ottimo strumento per l’editoria di poesia. Riprovevole l’uso che ne fanno certi autori di poesia. Soprattutto quelli che cercano di esibire più se stessi che altro.

 

Che consigli darebbe a un/a autore/autrice che volesse pubblicare un proprio libro di poesia?

Altro domandone. Parto innanzitutto da un consiglio a “qualunque” autore che abbia in mente di proporre un libro di poesia. E dico “proporre”, non “pubblicare”, perché l’autore “non pubblica”, è l’editore che accoglie il libro e lo “pubblica”. L’autore può solo” proporre”.

In primissima battuta si deve chiedere se ha scritto qualcosa di sensato, di importante. Se è riuscito a uscire dal suo semplice e banale ego e se ha veramente capito qualcosa che valga la pena di essere detto e letto. Poi si deve chiedere se lo ha detto, lo ha scritto, in una forma sufficientemente affinata. Si deve chiedere se ha studiato abbastanza, se ha consapevolezza delle figure retoriche, del semplice andare a capo ad esempio. Si deve chiedere se quello che ha scritto è necessario, se il libro è veramente necessario. Poi deve informarsi, cercare. La rete non serve solamente a esibire i propri testi. Serve anche a distinguere editore da editore. Serve a capire se l’editore fa qualcosa, se ha prestigio, se avere il suo logo accanto al tuo nome ha un valore o meno. E qui arrivo un po’ più vicino alla Samuele Editore. Se all’autore interessa solo pubblicare, solo avere la copia in mano del proprio libro, allora vada in tipografia. Un editore deve essere scelto, poi ci si deve proporre, e attendere se l’editore ricambia la scelta.

Spesso ci arrivano mail inviate a decine di editori. In questo caso quello che capisco è che la Samuele Editore è solo un nome tra gli altri e non ha interesse per quello che facciamo, per il prestigio che in undici anni mi sono e ci siamo sudati con lacrime e sangue. Vuole solo che il libro venga stampato. Appunto: stampato. Stampare non è pubblicare. Questa casistica ultimamente ha prodotto anche un effetto interessante: se noi come Casa Editrice non rispondiamo entro 2 settimane, un mese al massimo, rischiamo concretamente di vedere quello stesso libro già stampato da altri. E anche in questo caso dico “stampato”, perché poi li vediamo cadere nel dimenticatoio nel giro veramente di due mesi. Spesso poi ci arrivano telefonate nelle quali l’autore di turno chiede: potete farmi un preventivo? Quanto costa pubblicare con voi? In questo caso sono solito chiudere sbrigativamente la telefonata perché tale domanda si fa a un tipografo, non a un editore. Altre volte, e in questi ultimi mesi sempre più spesso, ci arriva la mail con su scritto: “gentile editore questa è la mia bozza e la voglio pubblicare gratuitamente”. Bene, su questo sono d’accordo. Poi andiamo a vedere che quell’autore e quegli autori non hanno mai comprato un titolo della Casa Editrice. Altri rispondono “io sono contrario alla mercificazione della poesia”, altri ti accusano di “pensare solo ai soldi”, altri che “non serve comprare i libri di poesia, basta leggere in rete”. Vorrei, dopo 11 anni di lavoro ed eventi, dopo i 115 eventi fatti solo nel 2018, dire anche io queste stesse cose al nostro tipografo. Per cui agli autori dico: non volete l’editoria a pagamento? Comprate 5 libri a testa al mese. Per voi sono 50 euro al mese. Per l’Editore è sopravvivenza e possibilità di pubblicare. Noi come Casa Editrice non ci arricchiamo sugli autori perché pubblichiamo 10/15 titoli all’anno, e spendiamo un sacco di soldi in promozione e presentazioni. Chi fa questo mestiere seriamente non lo fa per soldi ma per amore. Ma senza entrate non ci è possibile farlo così come non sarebbe possibile per nessuno impiegare tempo in un lavoro “solo per amore”, senza stipendio o entrate.

L’ultimissima cosa che voglio dire agli autori è la seguente: umiltà. L’ho già detto in questa intervista e lo ripeto: umiltà. Non è l’editore ad avere bisogno di voi perché non siete fonte di guadagno, anzi spesso siete una perdita. Siete voi che avete bisogno di un editore che faccia bene il suo lavoro. Evitate di insultare sui social, alle lettere di rifiuto, evitate di disconoscere chi cerca di darsi da fare con i pochissimi mezzi che voi stessi permettete. Non siate presuntuosi, arroganti, aggressivi. La presunzione di sapere già tutto, di poter criticare a destra e sinistra, è un ottimo strumento per mettersi in mostra per un periodo breve. Ma la poesia e l’editoria di poesia si confrontano non con il breve, ma con il lungo termine. L’umiltà è il collante per il tempo, la presunzione è un fuoco fatuo. E un altro fattore molto importante da tenere in considerazione è che la vera indipendenza, anche intellettuale, di un autore deriva dall’umiltà. Quando si è umili non lo si è di fronte agli altri ma nei confronti di se stessi. Quando si è presuntuosi si ha sempre bisogno degli altri, della relazione con gli altri perché la presunzione è una relazione con gli altri, non con se stessi, e produce il suo contrario. Chi è presuntuoso necessiterà di un seguito di “elogianti” e necessiterà di qualcuno da “elogiare” per esistere. Creandosi così un insano circolo vizioso. L’autore umile sarà invece sempre e solo di fronte alla propria coscienza. Incontrerà e riconoscerà altri come lui, onesti intellettualmente (pur con tutte le sfumature caratteriali umane, con tutti gli errori che possiamo fare e facciamo nella vita, una vita umana), e costruirà qualcosa di solido.È vostra la scelta: volete essere poeti che restano nel tempo e che creano qualcosa di importante, o volete ricevere “like” ed essere chiamati a leggere in giro per i prossimi due anni e basta?

 

Alessandro Canzian, nato a Pordenone nel ’77, vive e lavora a Maniago. Dopo un’esperienza come pubblicista per il “Gazzettino” e la rivista online Whipart fonda, nel 2006, la Samuele Editore. Nel 2013 e 2018 cura, per l’Associazione statunitense NeMLA, due progetti sulla poesia italiana editi nell’omonima rivista accademica. Nel 2017 cura l’antologia di poesia italiana La lengua incansable – 10 voces contemporaneás edita dalla Buenos Aires Poetry. Gestisce cicli di poesia e festival letterari in tutta Italia. Ha pubblicato alcuni libriccini di poesia.

 

 

 

 

La rubrica “Scaffale poesia: editori a confronto” è a cura di Silvia Rosa 

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