SCAFFALE POESIA: EDITORI A CONFRONTO
XX PUNTATA

MINERVA EDIZIONI

 

Alle prime tre domande risponde anche l’editore Roberto Mugavero (R.M.), insieme alla curatrice della collana Cleide, Cinzia Demi (C.D.)

Può riassumerci in breve la storia di Minerva Edizioni e della sua collana dedicata alla poesia? Quali sono, a Suo giudizio, le peculiarità che la caratterizzano? 

R. M. La mia casa editrice, che quest’anno festeggia i suoi primi trent’anni, è nata per una mia volontà di creare nella città di Bologna, dove a fine degli anni ’80 c’era pochissima attività editoriale, una casa editrice di “Varia” che potesse nel tempo competere con le grandi e affermate case editrici nazionali. Fui quasi deriso per questo, ma conoscevo il mio potenziale e soprattutto la mia passione e – spero – qualità nel fare i libri e quindi presi il coraggio a due mani e feci nascere nel 1989 la Minerva Edizioni. Da quella data è stato anno dopo anno un moltiplicarsi di pubblicazioni e di illustri nomi che con la mia casa editrice decisero di pubblicare, e oggi siamo arrivato a 110 titoli all’anno – molti illustrati – che sono un bel numero se si pensa che più o meno corrisponde a un libro ogni 3 giorni. E in tutto questo ho sempre atteso di conoscere le persone giuste per pubblicare nuovi titoli o ideare nuove collane, come è accaduto con l’amica e brava poetessa Cinzia Demi che con Giancarlo Pontiggia hanno ideato e dirigono questa nostra nuova collana di poesia dedicata ai giovani che si chiama Cleide il cui logo è stato realizzato dall’amico Maurizio Caruso.

C. D. Rispetto alla collana di poesia Cleide posso dire che questa nasce in primis da una proposta che lo stesso Roberto Mugavero mi fece, ovvero quella di seguire la sezione poesia della Casa Editrice nella quale erano stati pubblicati solo pochissimi titoli. Di quella proposta io raccolsi sicuramente l’idea generale, ma cominciai a pensare a come svilupparla per farla diventare di qualità. Chiesi aiuto a Giancarlo Pontiggia. Insieme maturammo l’ipotesi di creare una collana di pubblicazione non a pagamento, di pochi titoli l’anno – massimo quattro – e solo per under 40. L’editore accettò le nostre richieste e cominciammo il nostro lavoro. Le peculiarità sono proprio queste: offrire la possibilità ai giovani autori di una pubblicazione di un certo pregio, che comporti la cura del libro inteso come oggetto e come opera letteraria, la sua promozione attraverso articoli e presentazioni, il supporto nella distribuzione (quest’ultima è compito a carico dell’Editore). La nostra competenza è, nella fattispecie, anche riversata nell’introduzione alla raccolta che, a differenza dal solito, è proposta a inizio libro nella forma di domande che vengono poste all’autore sul suo percorso e sull’opera stessa, le cui risposte permettono di entrare nella poetica generale e specifica del lavoro di scrittura del poeta e di farlo conoscere meglio ai futuri lettori. In quarta di copertina viene inoltre riportata una breve nota critica del curatore. Un’ultima caratteristica di Cleide è data dal logo, creato ad ok dal maestro Maurizio Caruso, come ha detto anche l’editore, che ripropone la rappresentazione grafica del significato del nome stesso della collana: due volti di donna ritratti come una sorta di Giano bifronte, simboleggianti Saffo e la figlia Cleide, quasi a riproporre una dimensione di genitorialità protettiva di madre/padre adottivi in ambito poetico ai giovani figli-autori.

Nella scelta delle pubblicazioni poetiche quali sono i criteri seguiti? Può definire la linea editoriale di Minerva Edizioni in ambito poetico? Che cosa La spinge a scegliere un’opera piuttosto che un’altra?

R. M. La linea e la scelta di ciò che nella nostra collana di poesia Cleide viene edito è una decisione collegiale fra il sottoscritto e i due curatori della collana. Ammetto che di loro mi fido moltissimo e quindi le loro indicazioni le accetto volentieri poiché riconosco in Cinzia e Giancarlo una grande qualità e competenza.

C. D. La scelta delle raccolte pubblicabili è data dalla valutazione del valore dell’opera a giudizio insindacabile e concorde dei curatori e dell’editore. In particolare io e Giancarlo ci confrontiamo sui testi, considerando sia la parte formale che quella contenutistica (mi preme dire che al momento siamo stati concordi su tutte le scelte effettuate), e ci dividiamo gli autori curandone la pubblicazione nelle forme sopra descritte. La linea editoriale segue dunque questi criteri affidandosi alla sensibilità poetica dei curatori che scelgono le opere per affinità elettiva con gli autori, per riflessi di sensibilità forti e comuni, per empatia nei testi letti che si pensa possano dare buoni frutti nell’incontro con i futuri lettori. La mia scelta personale è assolutamente empatica. Se non scatta quel quid, se l’opera non è capace di trasmettermi un’emozione, un sentimento, un interesse comune, non la scelgo. Diciamo che mi uso come cavia per il sentire e naturalmente sto parlando di un sentire soggettivo, com’è inevitabile che sia, che ritengo possa trasformarsi quasi sicuramente in sentire oggettivo. Ma anche la forma per me conta molto, lo stile per intenderci. Deve esserci assolutamente, deve connotare l’opera tanto da renderla univoca e riconoscibile nel bagaglio di scrittura di un determinato autore e deve concedersi alla musicalità del verso, utilizzando tutti quegli strumenti retorici che ne permettono la creazione (rime, assonanze, anafore e così via), e che ne determinano il ritmo e la tensione.

Quali sono stati a Suo dire i cambiamenti che hanno interessato il mondo dell’editoria poetica del nuovo millennio? Può enunciare punti di forza e criticità di una piccola casa editrice che si occupa, oggi, di poesia, come Minerva Edizioni?

R. M. Beh, piccoli piccoli non lo siamo più se editiamo appunto oltre cento titoli all’anno, ci consideriamo una seria media casa editrice, sperando di continuare a crescere ancora nel tempo con lo stesso spirito del nostro primo giorno. Per i cambiamenti in ambito poetico io trovo che la poesia sia figlia del suo tempo e lo si comprendere dagli stili che le nuove generazioni cercano di imporre, ecco perché abbiamo deciso di pubblicare questa collana a loro dedicata. Poi abbiamo ancora gli ermetici, i romantici che io prediligo amando poeti come Montale, Prévert, Saba, Vittorio Sereni, Roberto Pazzi (di questi due grandi della poesia italiana ho recentemente pubblicato i loro carteggi) e poi Pablo Neruda, Emily Dickinson e così via. La poesia deve prenderti il cuore e se questo miracolo accade, allora quella poesia è giusta per te.

C. D. L’editoria è cambiata in tanti termini. Sono fiorite una miriade di piccole case editrice, alcune poi molto cresciute anche nel tempo. E questo ha ampliato l’offerta e la possibilità di scegliere da parte dell’autore se pure ha incrementato una sorta di mercato deliberatamente variegato nel quale è, a volte, difficile orientarsi risultando poco selettivo e quindi senza valore alcuno. Questo mentre le grandi case editrici sono intente a continuare sulla linea quasi esclusivamente del riscontro economico o, al massimo, clientelare dove è innegabile riscontrare come alcuni autori pubblicano perché amici di amici, o perché appartenenti a questa o quella parrocchia. E mentre imperversano altre dimensioni editoriali che si affannano a inventarsi forme alternative di finanziamento (crawdfunding) o di visibilità web (e.book) o addirittura pubblicazioni fai da te messe in vendita su piattaforme di mercato on line dove di può comprare di tutto compresi i libri. Al contempo alcuni cercano di resistere, provano a sopravvivere e a scegliere ancora una volta la via della qualità che, al di là di tutto, può essere ancora universale. La forza di una casa editrice che sceglie di investire in cultura, di investire nella poesia sta nei ritorni d’immagine che le accadono intorno – premi, recensioni, apprezzamenti dai lettori – e che danno la spinta per continuare nella direzione intrapresa con altri titoli, coltivando quella passione per la bellezza che sembra l’ultimo baluardo di salvezza per l’umanità tutta. I punti di criticità stanno nella stessa forma di resistenza minata da tutto ciò che è immagine, immediatezza, gioco facile e che rischiano di soverchiare anche le migliori intenzioni dato il coinvolgimento mediatico che sono capaci di creare, dando all’effimero etichetta di autentico se pure è innegabile che così non sia.

Ritiene che la poesia continui a rispondere ai bisogni dell’Uomo, nonostante le trasformazioni a cui la società è andata incontro? Perché?

La poesia non solo può ma deve rispondere ai bisogni dell’Uomo, non ci sono dubbi su questo. Le trasformazioni che interessano la società – è innegabile che ce ne siano – non sono direttamente proporzionali al calo di interesse per la scrittura e/o la lettura della poesia, o almeno io non lo credo. La lingua di questo genere, così come avviene in ogni ambito dove la parola ha un significato, è capace di evolversi, di modificarsi, di adeguarsi ai cambiamenti pur perpetuando quello scavo interiore che il poeta stesso continua ininterrottamente a fare su di sé, come il minatore di “caproniana” memoria.  La stessa cosa avviene per i contenuti: l’amore oggi è cantato nelle sue facce più inquiete e poco rassicuranti, della donna si parla in termini di femminicidio, della società si raccontano le evoluzioni e le involuzioni, il mare ad esempio è una finestra sul mondo e il luogo delle tragedie e dell’accoglienza… ma i poeti continuano a specchiarsi nei loro maestri, a ritrovare quelle finestre di dialogo che si sono aperte leggendo i versi preferiti, e da questo a trarre ispirazione per i propri: si rinnovano i linguaggi, si aggiorna il sentire ma le vicende dell’uomo sono le stesse da millenni. E i lettori, anch’essi sono sempre gli stessi di allora: pretendono di ritrovarsi in quelle letture, pretendono che quelle letture lascino un segno tangibile di quel passaggio dentro di loro, hanno voglia di un contatto empatico (come me quando le scelgo) che gli racconti la realtà nei suoi interstizi più profondi, senza finzioni.

Per Lei è corretto affermare che in Italia i libri di poesia non suscitino interesse e vendano poco, come spesso si legge e si sente dire? Quali azioni si potrebbero portare avanti per incrementare l’attenzione del pubblico e incentivarlo a leggere  più poesia?

Ecco io a questa domanda rispondo in modo completamente diverso da quello che forse ci si aspetta. Mi spiego meglio. La poesia vende poco così come vende poco l’editoria di qualità. Se entro in una libreria qualunque, di una città qualunque e trovo esposta in bella mostra la classifica dei libri più venduti in quel momento, e in questa classifica vedo libri che offendono la mia intelligenza (non faccio nomi o riferimenti ma i dati sono facilmente reperibili) penso che ci sia un problema, soprattutto di comunicazione. In quella classifica – spesso costruita ad arte dai colossi del mercato – non mancano solo titoli di poesia, mancano titoli di qualità, manca l’editoria che propone un lavoro che sia bello e interessante, e che non lo diventi solo perché è stato scritto da un “nomino” qualsiasi (e per “nomino” intendo uno o una che sono comparsi, anche per poco in TV, perché quello li identifica come riconoscibili e quindi vendibili), manca l’anima e il cuore della scrittura che viene falsificata da editor che riscrivono le opere degli autori perché così sono più appetibili, manca la verità della scrittura e del sentire. E dato che queste due dimensioni sono fondamentali per la poesia, arriviamo al nodo cruciale della questione: la poesia non vende. Non vende perché non è conosciuta e perché non viene proposta nel modo giusto. La mia esperienza, ormai quasi trentennale nel mondo di quest’arte, mi dice che se la poesia arriva tra la gente, la gente la ascolta, la fa propria e dunque l’acquista e dunque l’apprezza. Ma ci vuole la volontà e il garbo di porgerla, qualità che mancano spesso agli stessi poeti, figuriamoci all’editoria che pensa solo, in massima parte, al business. E poi…ci vorrebbero incentivi agli editori per la pubblicazione di libri di poesia in modo da farli costare poco, ad esempio; ci vorrebbero trasmissioni televisive di reti nazionali dove si parlasse di poesia – ma non alle sei del mattino o a mezzanotte -; ci vorrebbero luoghi disposti ad accogliere eventi di poesia gratuitamente; ci vorrebbe la copertura economica per un compenso al lavoro dei poeti che portano avanti un discorso culturale importantissimo per il loro paese, per far capire che scrivere poesie non è un hobby e che essere poeti è un modo di vivere, di vedere la realtà, di saperla raccontare.

Da diversi anni all’editoria tradizionale si sono andate affiancando, affermandosi sempre più, nuove tendenze che vedono internet (dai blog/siti specializzati ai vari social) come dinamico luogo di scritture: per quanto riguarda la poesia, la Rete può aiutare o al contrario ostacolare la diffusione dei libri di poesia? Ultimamente sta prendendo piede anche il fenomeno denominato “Instagram poetry”: che cosa pensa in merito a questa nuova tendenza?

Le rispondo con delle domande. Ben venga ogni mezzo di divulgazione della poesia? Tutto va bene purchè se ne parli? E tutte le forme in cui un autore dice di scrivere e rappresentare la poesia, hanno davvero una struttura e un contenuto poetico? Non voglio sembrare retrograda. Conosco benissimo tutta l’evoluzione che da anni nel web ha avuto, o si è tentato di far avere, a questo genere con alterne forme di fortuna. I blog o i siti in cui si è rappresentata, e si rappresenta la poesia, sempre attraverso la forma scritta sono un’evoluzione limitata, se vogliamo, e abbastanza naturale. I lettori anziché leggere un libro leggono la pagina internet. Certo questo non ha lo stesso fascino della lettura su libro, permettendo solo il contatto visivo e non tattile o addirittura olfattivo (pensando alla carta e all’inchiostro) che spesso sono utili supporti alla memoria di quella lettura, ma, in qualche modo, può catturare lo stesso l’attenzione, può lasciare un segno e magari spingere a desiderare di possedere anche il libro da cui sono tratti quei testi. Su altro ho molti dubbi. Non perché non ami l’oralità nella poesia – che del resto nasce proprio come forma orale di narrazione, in seguito accompagnata anche dalla musica – ma perché dalla lettura scenica al poetry slam al video musicale o, addirittura, alla rappresentazione cantata dei propri testi (e abbiamo già molti esempi di questa modalità), si rischia di perdere di vista ciò che è la poesia vera, dando valore ad altre dimensioni – quella comunicativo narcisistica in primis -, che non rientrano nel suo DNA vero e proprio. Ho visto e ascoltato con interesse alcuni autori esprimersi in questi termini ma, sinceramente, non ho avuto gli stessi risultati emotivi e coinvolgenti che mi hanno dato, da sempre, le letture dei libri. Da qui ad allontanarsi definitamene dalla poesia per i lettori/ascoltatori il passo è breve. Vorrei che se ne rendessero conto i vari interpreti, considerati divulgatori di massa, invitati ai vari festival che riscuotono interesse e cachet elevati, a fronte di imbarazzanti letture di testi che stanno su con banalità o parole volgari, degni solo di un cabaret di bassa lega: una volta avuto il testo fra le mani, per chi avrà il coraggio di comprarlo, quei componimenti non diranno assolutamente niente a chi li leggerà, perderanno la tensione del momento – condita da trita retorica politica, da dubbie morali etiche e consigli sull’amore, da enfatica interpretazione –  e lasceranno solo un vuoto che non potrà essere colmato. Ritengo che, per queste modalità di rappresentazione, stiamo parlando di altro e non di poesia. Chiamiamola cabaret, satira, lettura scenica di pensieri più o meno ironici, canzone autoriale… ma non chiamiamola poesia.

Ha qualche aneddoto da raccontarci in merito a qualche titolo del vostro catalogo, a cui Lei è particolarmente legata?

Al momento il catalogo della collana Cleide è ancora piuttosto scarno. Ci eravamo prefissati l’obiettivo di pubblicare quattro titoli l’anno e in realtà ne abbiamo pubblicati quattro in due anni, a breve ne usciranno altri due. Facciamo molta selezione e non ci interessa la quantità. La cosa bella che posso dire è che, da quando abbiamo iniziato quest’avventura, i testi pubblicati hanno avuto un ottimo riscontro sia in termini di accoglienza tra i lettori, che di recensioni critiche, che di premi vinti anche come opera prima. Quest’ultimo è il caso di Alessandro Anil che, su mio suggerimento, ha inviato il libro alla giuria si è aggiudicato il Camaiore opera prima con Versante d’Esilio. Ne sono stata così orgogliosa… come se avessi vinto io stessa. Ma anche gli altri autori hanno avuto le loro soddisfazioni: Matteo Bianchi ha vinto il Premio Manconi di Milano con il suo Fortissimo ed è presente tra gli autori in video di Rai Cultura; Rossella Renzi con il suo Dare il nome alle cose ha avuto infinite recensioni, tra le quali una anche sulla rivista Clandestino a opera di Davide Rondoni; Luca Manes con Come una pietra dentro la visione è stato l’autore della collana che ha venduto più libri. Posso dire, in conclusione, che abbiamo investito davvero sul valore delle opere e, a quanto pare, questo a dato i suoi buoni frutti.

Che consigli darebbe a un/a autore/autrice che volesse pubblicare un proprio libro di poesia?

Ricevo continuamente richieste e consigli di pubblicazione e non è facile stabilire a priori quale sia la strada giusta da seguire. Ogni percorso è diverso perché ogni autore e ogni libro sono diversi. Il sogno di tutti i poeti, ma anche di tutti gli scrittori in generale, è quello di ricevere un contratto editoriale dove non solo non si viene costretti al pagamento di una certa cifra per la pubblicazione – fosse anche questo mascherato dall’acquisto, comunque obbligato, di un numero di copie del libro – ma, al contrario, si percepisce un compenso per il proprio lavoro. Questa dimensione, della scrittura intesa come lavoro, oggi è molto vaga ed evanescente, legata a certi parametri che non sono quelli del valore assoluto dell’opera – ritorniamo un po’ al discorso che si faceva sopra rispetto alla vendita dei libri -. Ciò che mi sentirei di dire è di non avere fretta, di affidarsi a uno o più autori amici sinceri – che stimiamo per onesti – per una lettura preventiva, in modo da capire dove stiamo andando a parare e infine il provare a proporre la propria raccolta a più case editrici di medie dimensioni, ce ne sono davvero tante, per verificare l’interesse delle stesse. L’importante è che possano garantire di seguire l’autore nella fase iniziale di stesura e revisione dell’opera senza stravolgerne forma e contenuto, e che abbiano almeno una buona distribuzione sul territorio nazionale. Per il resto, un acquisto di copie del libro diventa quantomeno necessario, se si ritiene di dover effettuare qualche presentazione dello stesso e non di dimenticarsi dell’opera una volta edita, abbandonandola al suo destino. Non ci trovo nulla di scandaloso in questo, l’importante è che sia contenuto in certi parametri e non diventi un esborso esorbitante. La nostra collana Cleide, grazie alla generosità dell’Editore, non è a pagamento – gli autori hanno comunque acquistato le copie che volevano, se pure a un prezzo molto ridotto – ma è una realtà piuttosto rara, riservata alle poche Case Editrici più grandi e ad alcune Indipendenti.

 

Cinzia Demi (Piombino – LI), lavora e vive a Bologna, dove ha conseguito la Laurea Magistrale in Italianistica. È operatrice culturale, poeta, scrittrice e saggista. Dirige con Giancarlo Pontiggia la collana di poesia under 40 Cleide per le Edizioni Minerva (Bologna). Cura per Altritaliani la rubrica “Missione poesia”. Tra le pubblicazioni: Incontriamoci all’Inferno. Parodia di fatti e personaggi della Divina Commedia di Dante Alighieri (Pendragon, 2007); Il tratto che ci unisce (Prova d’Autore, 2009); Incontri e Incantamenti (Raffaelli, 2012); Ero Maddalena e Maria e Gabriele. L’accoglienza delle madri (Puntoacapo , 2013 e 2015); Nel nome del mare (Carteggi Letterari, 2017). Ha curato diverse antologie, tra cui “Ritratti di Poeta” con oltre ottanta articoli di saggistica sulla poesia contemporanea (Puntooacapo, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in inglese, rumeno, ungherese e francese ed è lei stessa traduttrice per testi nelle lingue neolatine: è appena stato pubblicato L’eco, solo lei di Ion Deaconescu, in traduzione italiana dal romeno per Puntoacapo. È caporedattrice della Rivista Trimestale Menabò (Terra d’Ulivi). Tra gli artisti con cui ha lavorato: Raoul Grassilli, Ivano Marescotti, Diego Bragonzi Bignami, Daniele Marchesini. Tra gli eventi culturali: “Un thè con la poesia”, ciclo di incontri con autori di poesia contemporanea, presso il Grand Hotel Majestic di Bologna, e il Festival “Populonia in Arte”.

 

La rubrica “Scaffale poesia: editori a confronto” è a cura di  Silvia Rosa

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