SCAFFALE POESIA: EDITORI A CONFRONTO
II PUNTATA

PASSIGLI EDITORI

 

Qual è in breve la storia della Passigli Editori e quali sono, a suo giudizio, le caratteristiche che la differenziano dalle altre case editrici?

La Passigli Editori è stata fondata nel 1981 da Stefano Passigli, che tra i suoi antenati aveva anche quel David Passigli che verso la metà dell’Ottocento aveva pubblicato pregevoli edizioni di classici, tra i quali anche un Petrarca curato da Giacomo Leopardi. Stefano Passigli si è sempre occupato di editoria, con le Edizioni di Comunità e anche con la casa editrice Longanesi; era dunque per lui abbastanza naturale approdare a un proprio marchio editoriale. All’inizio la casa editrice si dedicò soprattutto a una serie di opere tra letteratura e musica (il primo titolo pubblicato è stata la “Vita di Mozart” di Stendhal), seconda grande passione di Stefano Passigli, che ancora oggi presiede l’attività degli Amici della Musica di Firenze. C’era poi una collana tascabile di narrativa, il cui titolo, “Biblioteca del Viaggiatore”, proveniva proprio da una collana di David Passigli. Senza peraltro dimenticare la parte politica, perché Stefano Passigli, idealmente molto vicino alla tradizione azionista italiana e per molti anni senatore, aveva inaugurato con Norberto Bobbio un’altra collana, “Il filo rosso”. Infine, la narrativa: è questa collana è nata da colloqui con Geno Pampaloni, che avrebbe dovuto dirigerla, ma poi, anche a causa della sua salute purtroppo deteriorata, Pampaloni poté partecipare solo alla scelta dei primi titoli. Più che parlare, dunque, delle possibili caratteristiche che differenziano la Passigli Editori dalle altre case editrici (per tutti gli editori tali differenze nel corso di questi anni si sono per la verità molto attenuate, e questo non è un bene), direi che lo scopo della Passigli era di dar voce e di rappresentare le tre grandi passioni del fondatore: letteratura, musica, politica.

 

Come è nata la collana di poesia? Può raccontarci la storia della sua fondazione, a cura di Mario Luzi?

La collana di poesia è nata più tardi, nel 1989, pochi mesi prima che io iniziassi a collaborare con la casa editrice. Ed è nata dall’amicizia che legava Stefano Passigli e Mario Luzi, mediando, da un certo punto di vista, tra due obiettivi non identici: Passigli voleva soprattutto rilanciare in Italia la grande poesia straniera del primo Novecento, un po’ sull’idea della celebre Fenice di Guanda diretta da Attilio Bertolucci, ma anche di altre importantissime realtà editoriali per la poesia, che avevano ormai smesso di operare: penso in particolare a Lerici e alle Edizioni Accademia. Da queste ultime venne ripreso il primo titolo della collana, la raccolta Eternità di Juan Ramón Jiménez, nella traduzione di Francesco Tentori Montalto, che fu poi buon amico della nostra casa editrice. Quanto a Luzi, condivideva naturalmente con Passigli questa idea, ma voleva anche che la collana si aprisse ai poeti contemporanei sia stranieri sia, soprattutto, italiani. Date le mie inclinazioni personali, è stato del tutto naturale che, una volta entrato, fossi io ad occuparmi con Luzi della collana, che poi, negli anni, prendeva sempre più piede, al punto che oggi circa un terzo delle nostre pubblicazioni annuali è costituito da libri di poesia.

 

Nella scelta delle pubblicazioni poetiche quali sono i criteri seguiti? Si può parlare di una precisa linea editoriale della collana Passigli poesia e nel caso, può definirla?

In parte ho già risposto precedentemente, almeno per quanto riguarda la grande poesia straniera presente nel nostro catalogo. Per i poeti italiani, fino alla sua scomparsa, è stato Mario Luzi a sceglierli. La sua era un’idea di collana polifonica, aperta a tutte le voci che reputava interessanti, in un discorso di qualità più che di poetica. E noi abbiamo cercato di continuare in questa direzione, magari tentando di difendere quella che Luzi definiva “un’idea forte” della poesia, in un momento storico in cui si tende a spacciare per poesia ogni tipo di declamazione o di scrittura che va a capo in maniera arbitraria. Per conto mio, dopo la scomparsa di Luzi, ho cercato di mantenere viva la parte dedicata alla poesia italiana dei nostri giorni, ma anche di aumentare la presenza della poesia straniera contemporanea, in quanto mi pareva un po’ carente nella proposta editoriale della nostra collana, che pure fin dai primi anni annoverava poeti come James Dickey, John Montague e Lars Forssell: in tempi più recenti sono apparse in collana opere di Andrés Sánchez Robayna, John Montague, Clara Janés, Adonis, Laureano Albán, Rita Dove, Kikuo Takano, e proprio quest’anno di Pablo García Baena, Joy Harjo, Al Berto, Homero Aridjis… Abbiamo inoltre inaugurato una collana nella collana, “Russia Poetica”, che ci dirige Alessandro Niero, dedicata in particolare alla poesia russa del secondo Novecento e dei nostri giorni, il cui ultimo titolo, curato da Elisa Baglioni, è un’antologia delle poesie di Sergej Gandlevskij. Credo che sia opportuno aggiungere che nelle scelte editoriali, per quanto riguarda la poesia straniera, un ruolo molto importante lo hanno i traduttori, nel senso che in tanti anni di collaborazione si sono trasformati anche in nostri consulenti; penso soprattutto, oltre ai già citati, a Paolo Collo, ad Alessandro Gentili, a Sabrina Mori Carmignani, a Valerio Nardoni, a Marilena Rea. Ma un debito del tutto particolare lo abbiamo nei confronti di Giuseppe Bellini per le opere di Neruda e di Oreste Macrí, con il quale era davvero un grande piacere discutere le possibilità della nostra collana di poesia (e non solo), e che spesso ci ha fatto da ponte per riacquisire i diritti delle opere di grandi traduttori della sua generazione, come Leone Traverso e Luigi Panarese.

 

Secondo la sua esperienza, è davvero possibile affermare che in Italia la poesia non susciti interesse, venda poco e sia in crisi, come spesso si legge e si sente dire?

Non è che la poesia non susciti interesse, questo non mi pare proprio; ma che questo interesse si tramuti poi nella lettura di nuovi libri di poesia, e dunque nel loro acquisto, beh, purtroppo non è così e non credo proprio si possa smentire questo stato di cose. Non è che il problema, peraltro, sia solo dell’Italia; certamente ci sono Paesi, da questo punto di vista, in cui la poesia continua a rivestire un’importanza che da noi sembra avere smarrito, ma la situazione editoriale della poesia è piuttosto simile alla nostra in tutto il mondo. Del resto, basta visitare una libreria per rendersi conto di quale sia lo spazio riservato alla poesia; e questo non avviene perché i librai sono cattivi, ma perché sanno benissimo che quei libri hanno potenzialità commerciali molto limitate. Occorre però sempre distinguere. Nel nostro caso, per esempio, abbiamo avuto buoni successi con libri di poesia, in particolare di Neruda, ma anche di altri grandi poeti come Rilke, Pessoa, Salinas, Cvetaeva, García Lorca… È evidente però che questi autori riscuotono un’attenzione diversa da quella che può avere un poeta contemporaneo e spesso ignoto o poco noto. Il che, intendiamoci, è anche giusto. Quanto alla crisi della poesia, se con questo si intende la carenza del pubblico che dovebbe sostenerla, direi che probabilmente era già così anche all’epoca di Montale; la differenza sostanziale (differenze di qualità a parte) stava nell’importanza che veniva riconosciuta alla figura del poeta, che restava magari appartata ma comunque centrale almeno culturalmente. Se invece si parla di crisi della poesia come genere letterario, allora direi che la prosa, narrativa e non, non stia molto meglio. Ma, come ho già detto più volte, si può acquistare un romanzo mediocre o addirittura pessimo solo perché attratti dalla sua trama o dal suo soggetto, mentre con la poesia questo non può avvenire, la forza della poesia risiede solo nella sua qualità.

 

Da diversi anni all’editoria tradizionale si sono andate affiancando, affermandosi sempre più, nuove tendenze che vedono internet (dai blog/siti specializzati ai vari social) come dinamico luogo di scritture: per quanto riguarda la poesia, la Rete può aiutare o al contrario ostacolare la diffusione dei libri di poesia?

Non credo che la Rete sia un ostacolo alla diffusione dei libri in generale, anche se è ovvio che più le persone passano il tempo su internet e meno lo passano sui libri. Vedo (un po’ di rado, perché preferisco, e di molto, i libri) dei blog e dei siti interessanti e ben fatti e ritengo che possano svolgere un ruolo utile anche per promuovere la lettura. D’altra parte, pubblicare significa rendere pubblico e da questo punto di vista non c’è differenza tra internet e la carta stampata. Il problema semmai è un altro, vale a dire l’autoreferenzialità narcisistica che le pagine di internet sprigionano, l’ignoranza eretta a sistema di giudizio, la mania di commentare ogni cosa anche quando non se ne ha la più pallida idea. Sono cose che non riguardano solo la poesia, questo sarebbe il meno, ma l’intero mondo culturale in cui ci troviamo a vivere; nel quale, tanto per fare un piccolo esempio, ci sono lettori che danno come voto 1 su 5 a un racconto straordinario di Robert Musil o 2 su 5 a Il castello di Kafka… Dove peraltro quello che più stupisce non è neppure il giudizio in sé, ma questa frenesia di volerlo comunicare a tutti i costi, come se fossimo i depositari di chissà quale intelligenza e di chissà quale verità.

 

Quali sono i titoli più venduti negli ultimi anni? Tra tutte le pubblicazioni di poesia, ce n’è qualcuna a cui Lei è particolarmente legato? Può raccontarci qualche aneddoto in merito?

Venti poesie d’amore e una canzone disperata” e “Cento sonetti d’amore” sono di gran lunga le raccolte di Neruda che vendiamo maggiormente, e non c’è proporzione con nessun altro libro di poesia del nostro catalogo. Sono molti i libri nella nostra collana a cui mi sento legato e scegliere mi è difficile, anche perché spesso li ho seguiti pure redazionalmente. Mi piace però ricordare una delle ultime raccolte di Juan Ramón Jiménez, “Animale di fondo”. Avevo acquistato questo libro da ragazzo presso una libreria remainders della mia città, Reggio Emilia, un piccolo libro di una collana editoriale degli anni Cinquanta (Il Melograno di Fussi) che era approdata per gran parte in queste librerie a metà prezzo. Si tratta di un capolavoro assoluto, anche se non è tra le opere di Jiménez più lette e conosciute. Per poterlo ripubblicare con la Passigli mi sono messo in contatto con il suo traduttore di allora, Rinaldo Froldi, al quale ho poi espressamente chiesto di aggiungere le poche poesie che in quell’edizione, non so per quale ragione ma penso per risparmiare un po’ di pagine, erano state tolte. Quanto agli italiani, voglio solo ricordare tre amici poeti che non ci sono più e di cui ho amato molto le poesie: Gianfranco Palmery, Mario Lucrezio Reali e Mario Specchio.

 

Crede che oggi la poesia continui a rispondere ai bisogni dell’Uomo, nonostante le trasformazioni a cui la società è andata incontro e gli spazi pubblici sempre più esigui a essa dedicati?

Anche se nessuno scrivesse più poesie, la poesia continuerebbe a rispondere ai bisogni dell’Uomo. Questo è un discorso che vale per ogni arte umana, il nostro passato è anche sempre il nostro presente e futuro. Poco importa, da questo punto di vista, che la poesia, o la musica, o la pittura di oggi siano, o ci paiano, marginali o insufficienti. Magari potremo chiederci in cosa sbagliamo, con la speranza che chi verrà dopo di noi non ripeta gli stessi errori. Ma fino a quando esisterà una lingua, esisterà anche una poesia.

 

Che consigli darebbe a una/un autrice/autore che volesse pubblicare un proprio libro di poesia?

Per prima cosa di valutare bene la qualità di ciò che vuole pubblicare, e per poterla valutare non c’è che un sistema: essere culturalmente ed esteticamente consapevoli di quello che abbiamo scritto. In casa editrice, siamo inondati di testi che rivelano una viscerale ignoranza di quello che la poesia è come forma letteraria, nonché una completa sprovvedutezza culturale. Dopodiché, se davvero si pensa che ciò che abbiamo scritto sia davvero degno di essere pubblicato, sarebbe bene che l’autore, se già non le conosce (e anche questo è un sintomo spesso di inadeguatezza), dia un’occhiata in libreria agli editori che propongono poesia, per avere un’idea del tipo di pubblicazioni, e dunque di scelte. Anche la scelta dell’editore è infatti importante, anche se forse per la poesia non è così determinante come per la narrativa. Infine è bene che l’autore si ponga anche una domanda, di per sé magari banale, ma spesso rivelatrice: per quale ragione voglio pubblicare questo libro? E dalla risposta che saprà darsi dipenderà in buona parte se sia una buona idea o se non lo sia.

 

Fabrizio Dall’Aglio (Reggio Emilia 1955) si occupa da diversi anni di editoria, di stampe originali e libri. Dal 1990 è uno dei responsabili della Passigli Editori di Firenze e ha fondato e diretto fino allo scorso dicembre la galleria-libreria Mavida di Reggio Emilia. Come poeta ha pubblicato: Quaderno per Caterina (con un’acquaforte di Arnoldo Ciarrocchi, Libreria Prandi, 1984), Versi del fronte immaginario (con un’acquaforte di Franco Rognoni, Libreria Prandi, 1987), Hic et nunc (presentazione di Mario Luzi, Passigli, 1999 – premio Montale e premio Il Ceppo Proposte), La strage e altre poesie (con uno scritto di Valerio Nardoni, Catania, Il Girasole, 2004 – premio Città di Penne), L’altra luna (presentazione di Mario Specchio, Passigli, 2006 – premio Camposampiero), Colori e altri colori (con uno scritto di Paolo Lagazzi, Passigli, 2014 – premio Camaiore, premio Roberto Farina, premio Il Meleto di Guido Gozzano), Le allegre carte (con una nota di Paolo Maccari, Pisa, Valigie Rosse, 2017). A cura del Taller de Traducción Literaria de la Universidad de la Laguna, in collaborazione con la traduttrice Sarah Pelusi, sono state pubblicate in lingua spagnola le raccolte Hic et nunc e L’altra luna, mentre Colori e altri colori è attualmente in preparazione; l’edizione integrale slovena di Hic et nunc è apparsa presso Hisa Poezije, nella traduzione di Nadja Dobnik. Nel 2013 gli è stato assegnato il premio Giuseppe Pisano per il complesso della sua opera poetica.

 

La rubrica “Scaffale poesia: editori a confronto” è a cura di  Silvia Rosa

 

 

 

Da sinistra a destra: Betty Ferber, Homero Aridjis, Fabrizio Dall’Aglio e sua moglie Caterina Manfredi

 

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1 Comment

  1. Senzio 29/12/2018 at 12:31 am

    Alla caduta verticale della cultura italiana hanno contribuito tutte le case editrici. Ci sono stati e ci sono poeti degni di essere inseriti in apposite collane, anche in virtu’ dei contributi statali elargiti da oltre un secolo a tutte le case editrici. Queste non solo hanno ignorato i poeti, ma anche scrittori italiani – pensiamo, uno per tutti Tomasi di Lampedusa e il suo “Gattopardo” che nessuno volle pubblicare -.Si pubblicano schifezze di romanzi di autori stranieri per il fatto che nelle loro nazioni hanno avuto successi editoriali. In Italia non c’è nessun editore disposto a pubblicare romanzi o saggi di chi non è giornalista e anche giovane. L’editore italiano mira solo a fare cassa. Non si tratta di qualità. Di questa ce n’è tanta, volutamente ignorata o, ancor peggio, scartata da parte degli editori e dei loro consulenti.