Pubblichiamo qui alcuni estratti dalla nuova raccolta di Michele Obit La balena e le foglie (Qudu 2019) con prefazione di Carlo Selan.

 

«Nei versi de La balena e le foglie […] a queste due coordinate geografiche certe (Slovenia e Nord-Est dell’Italia) sembrerebbe aggiungersi una terza: i testi che compongono il trittico iniziale Comuna trece, infatti, mostrano un paesaggio, le periferie del centro urbano di Medellín in Colombia, apparentemente inatteso. […] Quindi, dicevo, lo scorrere nascosto e inatteso del tempo sulle cose e sulle persone, altro grande macro-tema della raccolta, che si contrappone invece a una fissità della memoria, come a dire le sensazioni e lo stare di alcuni giorni che, se non sono più e non potranno mai essere di nuovo, comunque resteranno impressi e rievocati nell’atto del ricordare e del fare testimonianza […] Per concludere, se Francesco Tomada, in una nota di lettura a Le parole nascono già sporche, parla dei versi di Michele Obit come di «poesia giusta», io, per quanto riguarda questa nuova raccolta, argomenterei più che altro a proposito di una poesia dell’uomo giusto che, inevitabilmente, finisce per uscire sconfitto dallo scontrarsi con il vivere, sorta di novello Giobbe che, però, non sembra avere alcun Dio con cui riappacificarsi. […] Resterebbe, a questo punto, un’ultima questione da chiarire, ovvero la compresenza nel libro di due lingue poetiche, l’italiano e la variante di sloveno dialettale autoctona delle Valli del Natisone. Per Michele Obit quest’ultima rappresenta un insieme di suoni ascoltati fin da piccolo origliando e sentendo i genitori parlare tra loro (con lui essi preferivano dialogare in italiano); dunque, una lingua dell’infanzia e del privato, un codice appreso oralmente e passivamente. […]»

 

Dalla prefazione di Carlo Selan

Bene – io sono arrivato. Mi piacerebbe
poter dire – sentirlo almeno
il peso del passo più lieve
e l’idea che un posto sia il mio posto.
Un posto che è il mio posto – ripeto
queste parole che vorrebbero
aggrapparsi al terreno – si sforzano
di penetrarlo. Ma quando ci provo
sono l’ombra che mi passa accanto
e fugge al primo tocco del sole
di sbieco a cercare le vittime ignare.
L’ombra di un luogo – l’orizzonte
che si incendia e l’incavo tenace
in un tronco di quercia. Quello è il mio posto.

 

***

 

Vzel so za sabo korito – samuo rana
ji je ostala – an tisto potriebo letat
od adnega konca do druzega sanožet – letat
kar si viedu, de če je bluo kiek dobrega, ki bi ti ratalo
je bluo samuo se zaplest – imaš sedam liet
v roko ti dajo grabje, ki so velike glih
za toje lieta – misliš, de je ku življenje:
zbieraš senuo nardiš adno majhano kopo
ji stopneš gor an vse postane buj majhano an se posuje.

Si sono presi la fontana – adesso ne rimane
una cicatrice – e quel bisogno di correre
da un lato all’altro dei prati – correre
sapendo che l’unica cosa buona che
può capirarti è inciampare – hai sette anni
ti danno in mano un rastrello proporzionato
alla tua età – pensi che è come la vita:
raccogli il fieno ne fai un piccolo covone
ci sali sopra e tutto si rimpicciolisce e cade.

 

***

 

Poi ci sono le cose che avrei dovuto dire
e sono così tante che mi fermo – mi fermo
e respiro per non soffocarle.
Ho sempre agito così. Per sottrazione.
Riempiendo una riga dopo l’altra
di quel silenzio che non potevo tacere
– giustificando la mia indole
di pietra che graffia e s’arrovella.
Con una mano scrivevo
e con l’altra cancellavo le ombre –
finivo per esserne parte – toglievo
ciò che di me m’importava
e lo nascondevo ai miei stessi occhi.
Ero lo stesso io – ma senza di me.

 

 

 

Michele Obit (Ludwigsburg, 1966) vive e lavora a Udine. È direttore responsabile del settimanale bilingue della minoranza slovena in Italia «Novi Matajur». Come organizzatore culturale collabora alla realizzazione del festival Stazione di Topolò / Postaja Topolove, che ogni anno, in estate, si tiene sul confine, per il quale cura il progetto di residenza per scrittori e poeti «Koderjana» e gli incontri letterari «Voci dalla sala d’aspetto/Glasovi iz cakalnice». Dal 1998 si occupa di traduzione letteraria dallo sloveno in italiano. Ha curato e tradotto due antologie di poeti sloveni delle giovani generazioni: «Nuova poesia slovena »(1998) e «Loro tornano la sera» (2011), entrambe pubblicate per Editoriale Stampa Triestina (ZTT EST). L’anno seguente traduce in italiano le poesie per l’infanzia di Srecko Kosovel pubblicate con il titolo Il ragazzino e il sole. Nel 1999 ha inoltre co-fondato a Sacile (PN) il laboratorio sulla traduzione poetica «Linguaggi di-versi / Razlicni jeziki». Ha pubblicato numerose raccolte poetiche: Notte delle radici (1988), Per certi versi / Po drugi strani (1995), Epifania del profondo / Epiphanje der Tiefe (2001), Leta na oknu (2001), Mardeisargassi (2004), Quiebra-Canto (2004), Le parole nascono già sporche (2010), Marginalia/Marginalije (2010) e la plaquette Un uomo è anche un aratro (2015). Ha anche proposto, tradotti per il pubblico italiano, i grandi scrittori sloveni e i poeti più significativi della nuova generazione come Brane Mozetič (Passion, Zoe edizioni, 2007), Miha Mazzini (Il giradischi di Tito, Fazi, 2008), Aleš Šteger (Berlino, Zandonai, 2009). A questi nomi, si aggiungono infine anche quelli del pluricentenario autore triestino in lingua slovena Boris Pahor (Piazza Oberdan, Nuova dimensione, 2010) e di Florjan Lipuš (L’educazione del giovane Tjaž, Zandonai, 2011).Dal 2006 collabora come traduttore permanentemente con la Fondazione «Le vie della pace nell’Alto Isonzo di Kobarid/Caporetto». Per la collana eLit ha tradotto due volumi: Niente di nero in vista di Nataša Kramberger e La stagione secca di Gabriela Babnik.

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