Dalla postfazione Nel segno di una lunga attesa di Antonio De Rosa

Nello svincolo di un’interminabile partenza/assenza, temprandosi nell’isolamento di un palcoscenico privato, dove si perde sangue come sopra un «tagliere», l’Io non rinuncia all’ipotesi di un Tu, pressante, a volte presente, spesso l’Assente con cui dialogare, in cui trovare un senso alla natura del tempo. Ma solo nella parola è il significato, nella fioritura della parola. «Non si abita un paese» (Cioran), non si abita in compagnia, non si abita un corpo e neppure si abita il dolore. Abitiamo una lingua, la nostra, l’unica casa (Heidegger) che, seppure conumili suppellettili, possiamo arredare, Mein – gedicht, das Genicht.

 

da La lunga partenza (Musicaos Editore 2020)

 

datemi un po’ di silenzio
durerà in me come pane caldo

datemi un pezzo di carne
parlerà per me che ancora non canto

di tanto in tanto bagnatemi
poi, dimenticatemi

*
datemi un pezzo di corda
saprò resistere al nodo nel fiato

griderò di tanto in tanto, a tenermi
sveglio e non crollare con voi

fratelli nel fiato corto
fratelli senza più fianco

 

***

 

città
degli alberi, Iannina
dagli altissimi castagni
e dalla resina degli anni
lungo le mura che guardano al lago
come ad un compagno libero di perdersi
e ritornare dove segretamente ancora parlano
i segreti, nell’oscurità di un sogno sincretico
in un cuore volatile e acquatico
nella corale delle anitre e tra le pietre
che si scoprono qua e là nella sua verdissima estate

Iannina, Iannina mia, bellissima
pena Iannina

 

***

dalla sezione Lettere dal muro

 

IX

ti ho cercata per le strade della città divisa
ma mi capita di guardare più vicino, qui
tra le mie mura e oltre il vetro, sulla strada
che non dorme quasi mai e padrona del giorno
si fa strada nel mondo, correndo per lo spazio
conosciuto, tentando uno spazio nuovo, fermandosi
all’improvviso, per una pigra passione del confine

ma mi capita di guardare nel cortile dei giorni
inutili prima della fine di ogni ricerca, di ogni fine
e sono solo, pur dubitando, senza un’immagine
senza più il sogno lucido di una bellezza esanime
sono qui, fermo e fragile ritorno ai giorni uguali
senza fine chiusi nel ricordo, prima di partire
o forse no, prima di finire

 

XII

ti cercano in tanti e tu non ti trovi
ma come un trovatore provenzale
ti toccherà cantare l’amore
da lontano e partire da te

 

Antonio Palumbo, nato nel 1980, si laurea in Conservazione dei Beni Culturali presso l’Università del Salento. Ha fatto parte della compagnia Astragali Teatro. Nel 2015 realizza il suo primo lavoro come regista e attore, WAITING FOR JOB, resistere è amare ancora, riscrittura originale ispirata alla figura di Giobbe con cui vince STRABISMI FESTIVAL 2016. Del 2017 lo ‘studio’ DE AMICITIA, un altro passo verso la cecità del cuore. Attualmente si dedica ad un lavoro di messa in scena a partire da Beckett. Nel 2020 esce per Musicaos Editore l’opera La lunga partenza.

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