Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce l’ultimo venerdì del mese su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia del mese.

 

Una certa impronta ungarettiana è rilevabile in “Di notte”, la sola poesia inviata da Francesca Bacconi, dove per ungarettiano sia da intendersi dell’Allegria: in particolare il titolo (cfr. Mattina, Notte di maggio, Inizio di sera, Sempre notte, Un’altra notte) e il peso dato in chiusura alla parola “eterno”: “Nei meandri / degli echi primordiali / di memorie rarefatte / trionfa / il mio inutile bisogno / di eterno”. Ci sono parole come “meandri”, “echi”, o il già citato “eterno” che sembrano dimorare a prescindere nel regno della poesia ed è vexata quaestio, anzi vexanda, se la poesia sia contenuta in queste parole e da queste parole venga sprigionata “di per sé” o se piuttosto sia la disposizione che volta per volta il poeta dona loro a rendere poetico un testo.

Maria Teresa Infante affida la sua poesia all’incanto dell’endecasillabo, più come tendenza che rigorosamente messo in pratica: dei tredici versi di “Sempre lei” sette sono endecasillabi canonici, gli altri ci si avvicinano. O ancora all’anafora: le cinque strofe di Era lei hanno lo stesso incipit (“Era l’incedere che spettinava l’aria… / Era la pioggia che accarezzava il vento… / Era la luna piena che si mostrava… / Era la sera chinata su due seni… / Era come mantello aperto…). Probabilmente il vertice lo raggiunge in Senz’alba quando sublima il patetismo di un triste evento personale e soprattutto con lo splendido ossimoro “nenie mute”, parente nobile dell’ormai triviale “silenzio assordante”: “Mai ho dimenticato / i fratelli che non ti ho dato / segregandoti tra i chiodi delle mie stanze / e le nenie mute delle culle vuote.”

In un’epoca in cui domina il versoliberismo e in cui più che la metrica tradizionale può il tasto invio, probabilmente è la prosa poetica il futuro (evoluzione? degenerazione?). Come poesia del mese scelgo uno dei tre testi di Carlo Selan: illuminazioni ellittiche, anzi forse più scoppi sonori che squarci di luce (“Il tac-tac della freccia per accostare a destra”, “il vento copriva il rumore della cinghia da revisionare o della radio durante la pubblicità”, “mentre accadeva un tuono”); stralci di un diario assoluto, cui l’assenza di un contesto (narrativo? biografico?) permette di presentare un particolare sotto una luce universale; lacerti di prosa che sconfinano nella poesia grazie anche alla natura stessa del lacerto; grumi di narrazioni in cui i protagonisti sono un cipresso caduto, la terra, una casa, un mezzo di trasporto piuttosto che coloro che indossano i pronomi personali; frammenti, per abbozzare qui una conclusione, di paura e meraviglia.

 

TESTO 3

Quando con il treno, i biglietti comprati, i semi piccoli per il cortile di terra battuta della casa nuova con il mutuo aperto ancora da pagare. Stancarsi di trascorrere da un’abitazione all’altra, veloci quanto ora sembrerebbe guardando il tempo quando lo si chiama, quando torna. Ogni tanto ti capita di non avere paura. Di quando eri in macchina in una strada provinciale, pioveva forte, il vento copriva il rumore della cinghia da revisionare o della radio durante la pubblicità. Di quando e nonostante questo tu hai aperto l’ipotesi lontana, il guasto, la possibilità di trovarti ancora nudo a coprirti di pelle, a cercare un riparo scavato nella pietra, di chiederti se un tempo in che modo saresti stato al sicuro, non sentirti più al sicuro. Il tac – tac della freccia per accostare a destra, nel margine minimo tra l’asfalto drenante e la terra fangosa e bagnata, mentre accadeva un tuono. Non avevi paura. A volte capita di non smettere di avere paura.

 

Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato tre libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse, Parole incrociate (Tracce, 2008) e Ostello della gioventù bruciata (Miraggi, 2015). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità sia di aderire al “canone”, alla tradizione, che di frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e performances al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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