Frankie Fancello è molto attento al ritmo che le ripetizioni non solo anaforiche creano (“Sopravvivenza è la prima parola / la parola antica la parola nata / sopravvivenza è la nostra parola / la vera parola la grande parola” o “È di cenere questo infausto avvolgersi… / È di cenere questo nostro lavorare, imprecare… / È di cenere questa scia di paese che s’infuria”). In un testo in lode del celeberrimo gol di mano di Maradona nel mondiale dell’86 (“contro tutte queste legioni di borghesi, politici, / amministratori, vigili, prìncipi, fascisti, / comunisti, cantautori, editori, virtuosi, / preti, attori, insegnanti, poeti e intolleranti / sarebbe in volo, con la mano più in alto di tutte, / insieme a un mucchio di disperati, pirati e santissime puttane”) si serve dell’enumerazione, un espediente retorico che è molto gratificante da leggere, ma che rischia di peccare di facilità, soprattutto quando non mostra nell’intelaiatura (salvo il caso di “disperati, pirati” in cui il secondo termine è compreso nel primo) una tensione interna che vada al di là del puro accumulo; tralasciando il fatto che l’accostamento tra fascisti e comunisti, ancorché in enjambement, dispiacerebbe al Michele di Ecce Bombo e al professor Barbero. I punti migliori sono a mio avviso quelli in cui altera il dettato con piccoli enjambement (“Discorsi / privati” o “percorrendo / millenni) o quando condensa la vis polemica della lotta di classe in uno slogan: “Padrone / tu mi sorridi / bruciando”.

Daniele Stocovaz attinge a piene mani dall’immaginario stilnovista e prestilnovista: le sue poesie parlano di un amore assoluto per una donna superangelicata (“Sei entrata nella mia vita con passo felpato, / scintillar d’occhi e sorriso radioso. / La tua compagnia ha un qualcosa di favoloso / e la tua bellezza sa mozzare il fiato”) e la sintomatologia è quella tipica del genere: cuore travolto, confusione mentale, gioia estrema, constatazione d’ineffabilità. I versi non disdegnano anastrofi (quotidiano vivere, eterno oblio) né le anafore che strutturano il discorso. Ritorna spesso la parola anima (“Quel tuo sguardo è abisso / nel quale la mia anima si perde”, “Sai essere spirito soave che mi ristora l’anima”, “sentii la mente farsi di colpo leggera / e l’anima in pace”, “L’anima, tutta, si agita e non trova pace”); da una parte l’anima e dall’altra la donna amata, di una luminosità quasi iconoclasta. Azioni, narrazioni, dettagli, paragoni inediti, deviazioni potrebbero permettere di dare un rilievo maggiore e quindi una resa migliore sia all’una (la donna) che all’altra (l’anima).

Come poesia del mese scelgo La poesia è dinamica di Irene Sdrubolini. In assenza di metrica regolare l’a capo che caratterizza la maggior parte dei testi poetici diventa problematico; lo spazio bianco dopo ogni verso assume un ruolo nella definizione del ritmo e gradienti imponderabili. Chiedersi perché il verso vada a capo in quel punto e non in un altro è tanto ozioso quanto legittimo. Questo poesia è strutturata in due parti. La prima pone la premessa sia della scena che del procedimento, ovvero la neve che cade e il movimento che verrà innescato; nella seconda parte la messa in scena di un palazzo urbinate, le ripetizioni (distratto, distratta; me), l’io turbato e il turbinio del meteo sembrano mimare un passo dei Cantos.

La poesia è dinamica 

La poesia è dinamica
non si può stare fermi.
I chicchi di neve posano
il loro corpo
stanchi dalla caduta
su questo muretto
di apertura
scricchiolano
sui tetti
a palazzo Veterani
come pioggia
penetrano
il terreno
distratto.

E io sono qui
distratta  dall’immenso
che mi conduce
distratta dalla tosse
di chi come me
diversamente da
me
adempie i suoi doveri.
Non curante del tempo che trafigge
le mura
afflitte
pacificanti
di questa copertura.

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