Laboratorio di Poesia, a cura di Alfonso Maria Petrosino, esce l’ultimo venerdì del mese su ‘Poesia del nostro tempo’. Vengono commentati i versi degli aspiranti poeti del Laboratorio online e scelta la poesia del mese.

Le due caratteristiche salienti delle poesie di Massimo Cenci sono l’ecfrasi fotografica, ovvero le poesie si pongono come commenti o elaborazioni di fotografie prese dall’autore, e le anafore, figura preponderante. Che sia il ritratto di una donna che prega in una chiesa in Romania, o i cortili di periferia, all’inizio c’è un’immagine fissa che la parola poi mette in moto. Sia in un caso che nell’altro i versi fanno il giro del soggetto, non lasciano spazi irrisoliti, la descrizione è lo strumento di cui si serve un cuore accorato dalla fede altrui o dalla scomparsa della propria infanzia. Alcuni dettagli rischiano di essere convenzionali (“Invidio le tue mani congiunte”), altri denotano un gran senso dell’osservazione (“Invidio il vuoto che generi intorno”). L’anafora, soprattutto nella terza poesia, Stanco, è pervasiva: su 19 versi la parola “stanco” è ripetuta 16 volte. Nonostante il procedimento retorico e lo scopo per il quale venga messo in atto siano evidenti e ribaditi dalla chiusa (“Sempre uguale / Sempre uguale / Sempre uguale”) e quindi a suo modo coerenti, il rischio di macchinosità rimane. Potrebbe avvantaggiarsi di un’esecuzione orale.

Le tre brevi poesie di Lorenzo Mele sono dimesse e malinconiche. “Spalancare la luce” “liberare la vita” sono le formule nelle chiuse che indicano quello che si vorrebbe e non si ha: più vita, una svolta, una presa di coraggio più che una presa di coscienza, perché la coscienza di un’adeguatezza – non ancora adulto, non ancora vivo – è chiara.

Su tutto prediligo l’incipit di Lunedì: “Muoio nei lunedì patetici / alle ore catastrofiche / che semina il sole / quando scivola giù” sembra niente e invece potrebbe essere intonata da un tenore per una Bohème ambientata nel XXI secolo.

Alla prima tentazione di commentare le poesie di Davide Morelli con una scelta di formule tratte dalle sue stesse poesie e travisate a tal fine (“Eppure non ti mancavano le capacità espressive”, “Sono svalutate oltremodo le parole”, “Nessun colpo di teatro”) subentra il desiderio di restare sul margine, in ascolto e in sospensione di giudizio, declinando le possibilità concesse da una poetica che oserei definire modernista (“Non ho niente da dire / ma lo dico”) e scegliere come poesia del mese la sua Vertigine, per la porta e il gatto del terzo verso, appigli reali in quella che suona come una dichiarazione di poetica, e per la corsa sul filo del rasoio che mi fa pensare tanto alla lumaca del colonnello Kurtz, sebbene in questa vertigine non ci sia lo stesso orrore, orrore.

 

Vertigine

Vengono celebrati numeri ed immagini.
Sono svalutate oltremodo le parole.
Un cigolio di porta. Un gatto inarca il dorso.
Corro sul filo del rasoio. Rincorro la vita
con un vitalismo d’antan. Intanto
frasi tascabili mi muoiono addosso.
Non ho niente da dire
ma lo dico. Mi raccomando:
fanne buon uso. Solo modiche
quantità in una notte insonne
o sul far della sera. Per il resto
ognuno lucidi i suoi specchi.
Ognuno stabilisca nuove regole
ad un vecchio gioco sporco.
Non sembra vero,
ma anche uno come me
ha attraversato la vertigine del nulla,
seppur amando il mondo.

 

Alfonso Maria Petrosino ha pubblicato tre libri di poesia, Autostrada del sole in un giorno di eclisse, Parole incrociate (Tracce, 2008) e Ostello della gioventù bruciata (Miraggi, 2015). La sua poesia, che descrive luoghi e situazioni in relazione a un paesaggio urbano e all’umanità che lo abita, si avvale di una metrica precisa e raffinata. La redazione di Poesia del nostro tempo ha scelto Alfonso Maria Petrosino per impersonare la figura del maestro, capace di leggere attentamente e suggerire soluzioni, anche ai neofiti della poesia, proprio per la sua capacità sia di aderire al “canone”, alla tradizione, che di frequentare i nuovi palcoscenici della poesia, dagli happening e performances al poetry slam, essendo stato campione indiscusso di queste scene per molti anni.

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2 Comments

  1. Davide Morelli 05/12/2019 at 6:45 am

    Ringrazio il poeta Petrosino per aver scelto un mio testo come “poesia del mese”. Volevo solo chiarire due cose, visto che ho inviato al vostro bel sito letterario solo pochi componimenti. Non faccio parte di nessuna scuola: potrei per questo considerarmi un autarchico o forse più realisticamente un isolato. Ho avuto anche io delle letture formative, ma non mi sento epigone o manierista di nessuno in particolare. Mi piacciono molto le poesie brevi. Mi piace la scrittura epigrammatica, che cerca di giungere al nervo delle cose in poche parole. Cerco di scrivere poesia aforistica(un genere minore ma a mio avviso rispettabile) . Per poesia aforistica intendo anche le liriche di Sandro Penna, Montale(Xenia e Satura), Tiziano Rossi(“Gente di corsa”), Patrizia Cavalli, Nelo Risi, l’ultimo Giorgio Caproni, la produzione più recente di Cesare Viviani, Auden(gli Shorts). Inoltre tutti gli aforismi possono essere travisati. Ciò non toglie che possano essere anche essi considerati fronte di conoscenza. Quando scrivo comunque cerco di eliminare qualsiasi ridondanza, di ridurre al minimo le parole. Cerco di ridurre all’essenziale, talvolta sfiorando l’afasia(e per afasia intendo un afasia non fluente caratterizzata da uno stile telegrafico). D’altronde non si può far finta di niente: la crisi del linguaggio poetico è evidente da Montale in poi. Scrivere versi allora per me è diventata una operazione di sottrazione e non di accumulo: il mio ritmo è basato soprattutto sul levare più che sul battere. Tutto qui.

  2. Davide Morelli 05/12/2019 at 7:28 am

    Inoltre due parole sugli aforismi…
    Montanelli creava degli aforismi. Poi nelle conversazioni li citava e li attribuiva a grandi scrittori. Nessuno contestava o aveva da ridire. Ma si potrebbe fare anche il contrario: prendere degli aforismi di pensatori famosi e poi dire che sono nostri. Non tutti si accorgerebbero della truffa. Questo significa che l’aforisma è spesso una massima, una sentenza, un pensiero, una battuta: insomma un’opinione e dipende perciò non dalla logica ma dall’autorevolezza di chi ha creato la frase. L’aforisma non è un sillogismo. Karl Kraus vedeva in esso “una mezza verità” oppure “una verità e mezzo”. Ma forse esagerava. Sempre a tal riguardo si deve ricordare che si possono trovare aforismi che affermano una cosa ed altri l’esatto contrario. Celebre è l’aforisma di Longanesi: “eppure, è sempre vero anche il contrario.” Ad esempio Pittigrilli nel “Dizionario antiballistico” invertiva gli aforismi. Umberto Eco a riguardo ha definito questo genere di aforismi cancrizzabili, cioè reversibili. Altre volte l’aforisma si rivela una generalizzazione indebita, per cui oltre ad una piccola verità contiene una piccola bugia. L’oggettività quindi lasciamola a quelle che un tempo venivano chiamate scienze esatte.
    Ringrazio il poeta Petrosino per l’attenzione. Mi scuso per il disturbo. Un cordiale saluto.