da L’avversario (Vydia editore 2021)

Affreschi

1.
Nelle lunette s’accucciano rapaci
(falchi e gufi) che catturano le prede
e appena al di sotto
le scritte latine
maestose, dai saloni alle cappelle.

2.
Rivedo il vecchio appoggiato al sasso
che accoppa le formiche
seguendole seduto
le calpesta in punta.

3.
Ebbe piacere e stupore per la gru
che si libra ad altezze vertiginose.
Stupore che una cosa così grande,
dotata di lance-zampe
che in un soffio fugge fra i nuvoli,
fosse abbattuta da una punta.
Piacere per la bellezza della caduta:
cadeva volteggiando, la gru, in una danza,
scoprendo ora il ventre, ora le ali chiuse.

Le grandi case

Sospiro al crollo delle grandi case
di campagna abbandonate all’edera,
lasciate alle sferze dei venti
agli alieni rumori dei camion
che montano il piano stravolto
mentre è in cielo la tempesta
verde e nero il fondo.
Forse in una stanza resta ancora,
sul tavolo maestro,
l’altare degli anni Cinquanta
con la Vergine e Stalin –
e fuori si diverte una mitraglia
sulla coscienza spoglia
di chi passa ora.

Mi stringe come una corda il collo
l’abbandono della grande storia,
le idee infestanti per i martiri
e invano fantastichi cosa
si dissero in quelle stanze,
quando il momento cadde
con l’amore e le liti meschine
e la pena dei figli inetti
e il contagio immenso e rosso
dopo il nero fascino
in bestemmia toccandosi
a croce per il raccolto
per una mucca,
per un coniglio dagli occhi gonfi
per il tabacco lasciato essiccare
proprio dove, adesso, la grande
rotatoria controlla la via
e la molle coscienza
di chi volta ora.

Autunno

Cammina un’ape sull’ocra pavimento
indotta forse dallo scirocco ubriaco
a penetrare un altro mondo
verso il nocciola della lisca a piastrelle
intorpidita.
Sarò veloce, efficace più di te
ape tardiva
perché natura me lo impone
specie in giornate remissive come questa
se la specie dorme su deboli polpacci
e chiede il suo gene di essere difeso
e se anche non fosse non avrei esitazione
ad usare una ciabatta legnosa
contro la tua insistenza di reduce,
ape tardiva che ti ostini, come un relitto
incapace d’affondare fino al giorno dei giorni
quando il miracolo si scarta e le foglie
da gialle tornano tenere e verdi
e anche il tuo tornio rinasce.

Giovanni Tuzet è nato Ferrara nel 1972. Come poeta ha pubblicato 365-primo (Liberty House, Ferrara 1999), 365-secondo (Liberty House, Ferrara 2000), 365-terzo (Raffaelli, Rimini 2010), Logiche e mancine (Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero 2017) e L’avversario (Vydia editore 2021, con uno scritto di Raffaello Palumbo Mosca, collana di poesia Nereidi). È autore della raccolta di saggi A regola d’arte (Este Edition, Ferrara 2007) e come narratore ha pubblicato La città ideale (Marietti 1820, Genova 2017).

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