Dalla prefazione di Paolo Giovannetti

[…] siamo di fronte a un uso accorto di procedure che mi piace definire installative, sempre più attuali nella poesia degli ultimi vent’anni, e qui declinate in modo tendenzioso, in quanto messe al servizio di un’intrapresa latamente polemica. Il lettore deve tenerne conto. Deve inoltrarsi nel testo a occhi ben aperti, e armato di sospetto. Questi non sono poemetti, a ben vedere. Probabilmente, gli si chiede, al lettore, di fraintendere molto, di ricostruire nessi impensati, di attivare connessioni di forme e di significato imprevedibili e idiosincrasiche. Meglio ancora se, invece di significati, ne discendano gesti, istruzioni, modi d’uso del discorso e della socialità. Stiamo perdendo il suono primigenio delle stagioni, della natura che ci invita al rinnovamento: e invece siamo costretti a leggere su una cartina di Google Maps dove e perché trentanove disgraziati vietnamiti sono morti dentro un camion frigorifero, assiderati. Certo, tutto vero: sempre che quanto appena detto non comporti altre retoriche, ideologie della poesia a uso di anime belle, e a sostegno delle apologie convenzionali del “fare poesia”; dato che le attese di questo libro vorrebbero tenerci lontani, almeno un po’, dai cattivi maneggi della parola.

 

da Le attese (Vydia editore 2021, Premio Gianmario Lucini 2020)

tutto è pronto nel nido dell’albero
fiduciosi del favore delle lune o delle maree
e cresce geometrica la forma e il dettaglio
e si affina l’astronomia della tua posizione
svelata dalle impronte che svaniscono sulla pelle

crescono e pesano gli strati delle promesse
delle previsioni e delle rassicurazioni
comprimono la gabbia ed il respiro
spostano gli organi, i baricentri sballati
ma ogni volta che t’alzi si accende il mondo

non dicono che pure il corpo si dirada
asciugato nella ghiaia, appeso al cavo di metallo
quanto del mondo è davvero taciuto oppure sei tu
compresso gradualmente a un tendine unico
a una grande cartilagine

*

leggere ancora leggere non capire non credere
possibile rinunciarti col sorriso più spavaldo
sollevata sopra la piena che copre le cime degli alberi
misurata a contagocce a tappi a misurini
centoventi per cominciare poi di trenta in trenta
dicono manco te ne accorgi finché un giorno
leggi e lo vedi che la luce l’attraversa
che sta andando e non toccherà nemmeno terra
ma per capire dovrai leggere e ancora leggere
nelle pieghe della pelle gli occhi le pagine saltate
per disattenzione e leggerezza

*

tous les bruits désastreux filent leur courbe
questa dunque sarebbe la strada non l’abbandono
non il silenzio dei ritiri delle mani che sfiorano i libri
fatti trovare pronto quando il lago straripa dillo al mondo
non dare al male un avversario da colpire ma
scompari col corpo nelle parole leccale sono asciutte
levigale con le mani non armarti d’altre armi
ama come pioggia anche se l’argine non regge

 

Giuseppe Nava (Lecco, 1981), vive a Trieste. Ha pubblicato Esecuzioni (d’If 2013; premio Mazzacurati-Russo) e Nemontemi (Prufrock Spa 2018). Suoi testi e traduzioni sono presenti su varie riviste e siti, tra cui InPensiero e Nazione Indiana. È stato uno dei curatori dell’antologia L’Italia a pezzi (Gwynplaine 2014). Collabora come redattore alle riviste Bollettino ’900 e Charta Sporca. Per Vydia ha pubblicato nella collana di poesia Nereidi Le attese (prefazione di Paolo Giovannetti – Premio Gianmario Lucini 2020).

(Visited 323 times, 1 visits today)