Particolare dell’immagine di copertina (Una pagina del Prometeo di Luigi Nono)

Dalla postfazione di Milo De Angelis

Lorenzo Chiuchiù scrive da sempre ciò che è verticale. Scrive gli spazi che non si possono abitare, circondati dai fili dell’alta tensione, sorvegliati dai tiratori scelti. Rasoi, asce, lame, cesoie, mille armi da taglio sembrano abbattersi su di noi e toglierci il respiro. Siamo chiamati in causa, seriamente, non è più letteratura. Qualcosa di antico e imperativo – come il verso di Lorenzo – ci esige e ci chiama a giudizio, ci impone di rispondere. E noi rispondiamo, entriamo pagina dopo pagina in un tribunale cosmico che ci vuole testimoni oculari e ci interpella con quel “tu” ossessivo che percorre tutto il libro e che di volta in volta è il lettore o l’autore, sono io o il primo venuto. E ci immerge in un fiume ad alta densità visionaria, ci sconvolge con improvvise sentenze oracolari. […] Così entrare in questo ultimo libro saettante e prodigioso di Lorenzo Chiuchù, Le parti del grido, significa entrare a capofitto nel cuore del dissidio: temporale assoluto e duello incessante tra gli opposti, lacerazione che non si può ricomporre tra istante e profezia, memoria e incubo, urlo e costruzione, dimora e avventura solitaria. Sono contrasti arcaici, insanabili, non formano una dialettica o un gioco di domande e risposte. Rimangono lì, come cani rabbiosi, uno di fronte all’altro, non si danno pace e non ci danno tregua. E la pagina di Lorenzo – ampiezza di uno sguardo universale nella cruna di una parola acutissima – è il luogo fisico in cui si accende tale contrasto, il luogo sanguinoso in cui «ilsalto non ritrova terra» e «i cielisono tuttiscritti, / feriti a morte e ancora sacrificati, come soldati». Oppure – in uno scorcio urbano di rara e drammatica bellezza […].

da Le parti del grido (Effigie Edizioni 2018)

L’estremo ti trova senza motivo
sostanza misericordia non ritrattabile
e vene infuse nel marmo senza
le molte avvisaglie del passo falso.
Dicevi grazie all’unica volta,
perdutamente, ma ricorsive come
le vite nel passo ancora falso
le nuove metriche erano
il corale che cantavi da solo
per tentarti, per tradirti, per
sottrarti: ma tu credevi, avevi te stesso
colpa e notturno cardiaco.

*

Chi si perde vede aghi nel vento,
segnano est e scelgono terra –
ed è allora che vanno chiamati.
Ma mentre la casa è ascesa
al sogno asimmetrica
tu, un passo dopo l’altro, sali
sull’albero maestro
per vedere quante vite appartengono
ai cieli, quante alle monete di sorte,
quante alla suddivisione in prisma
dell’uncino. Una goccia
di sangue affiora dall’indice: il sole
delle orbite incontrate qui si libera per tutto
il tempo violento prima di te,
quando i bambini nella notte
chiamano madre la luna.

*

Così inizia e così finisce,
con il disprezzo infisso nel fianco
come una cesoia primordiale
o come se la rosa regredisse
nel rosso nella gemma
nella tempia terrestre
nel sogno di un dio:

è la fuga dall’unico all’unico
e ora chiudi il pugno –
e colpisci.

Una meridiana per il forse innocente

Quando sei entrato nel bosco
la luna era il giorno pieno
e il giorno non permanente:
è stato per una parola di troppo
o per una santa derisa, o
forse è stato perché non credi
alle molte diserzioni
e alle molte luci contro l’unica:
o forse è stato perché proprio qui,
molti anni fa, hai perso
un orologio amato
o perché hai mancato la terra
e ora sei nel centro della materia:
ricordi che qualcuno voleva
fermare il corso del sole:
come
la cadenza delle ombre al vento
è in quattro quarti la follia:
è imperativo e brani di spirito.

 

Lorenzo Chiuchiù ha pubblicato i libri di poesia Iride incendio (Niebo, La Vita Felice 2005) e Sorteggio (Marietti 1820 2012). Ha curato Metafisica cristiana e neoplatonismo e La devozione alla croce di Albert Camus (Diabasis 2004 e 2005). Di Jean-Paul Sartre ha curato e tradotto Mallarmé, la lucidità e il suo volto d’ombra (Diabasis 2010). Ha pubblicato Atleti del fuoco. Undici studi tra arte, tragedia e rivolta (Mimesis 2018). Ha scritto un’introduzione a Così parlo Zarathustra (Giunti 2017).

 

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