Dalla presentazione di Joyce Lussu (1968)

[…] Alcuni dei poeti del Black Power raccolti in questa antologia sono scrittori di fama consolidata, come LeRoi Jones, nato a Newark nel ’34, che ha studiato nelle università di Howard e di Columbia grazie a varie borse di studio e premi letterari; la sua commedia L’olandese ha vinto nel ’64 il premio Obie per il miglior lavoro teatrale in America, e le sue poesie sono largamente pubblicate anche in Europa e in Africa. Come Ted Joans, nato nel ’28 nell’Illinois, il quale è anche musicista e pittore, assai noto in Africa, dove trascorre i mesi invernali, e in Europa, dove André Breton lo accolse trionfalmente: “il solo poeta surrealista afroamericano”. Come Dudley Randall, nato nel ’14 a Washington, che dopo aver fatto i mestieri più vari si è affermato poeta d’avanguardia, saggista e ottimo traduttore dal latino, dal francese e dal russo. Randall è il più anziano dei poeti qui presentati, con James Worley, nato nel ’21 nell’Indiana, e ora insegnante a Columbia; e Naomi Long Madget nata nel ’23 a Norfolk, nella Virginia. Gli altri, a eccezione di Don L. Lee che è del 1942, e proviene da Detroit, sono tutti nati negli anni Trenta, e vengono dai ghetti di New York, come Raymond Patterson e Elliot Warley, o di Chicago, come Kent Foreman, o di Cleveland, come Edward Spriggs e Bobb Hamilton: o dagli Stati del sud: Etheridge Knight dal Mississippi, Sonia Sanchez dall’Alabama, Zack Gilbert dal Missouri, James Lucas dalla Virginia, Clarence Major dalla Georgia, Le Graham dal Tennessee. Oliver Le Grone, figlio di un pastore protestante dell’Oklahoma, insegna pedagogia a Detroit; e Mari Evans, dell’Ohio, è musicista oltre che poetessa. Il solo nato in Africa, a Johannesburg nel ’38, è William Kgositsile; emigrato negli Stati Uniti studia ora sociologia a New York con una borsa di studio. Questi intellettuali avevano tutti la possibilità di fare dei loro talenti una merce di scambio, per contrattare l’acquisto di una collocazione e di una carriera nella società bianca, se si fossero adattati a risolvere il loro problema personale distaccandosi dalla massa dei ghetti e rinunziando ad aggredire il potere; mettendosi magari la coscienza in pace con qualche marcia della pace e qualche richiesta di diritti civili alla Luther King. Ma hanno scelto invece il Black Power, ossia una condizione in cui tutto, compresa la sopravvivenza fisica, è buttato sulla bilancia. La loro scelta politica è più avanzata della loro poesia, che si muove inevitabilmente ancora all’interno di strutture letterarie insufficienti ad esprimerla pienamente. Il linguaggio che ciascuno usa è strettamente legato alla sua storia personale, alle sue esperienze concrete: più la rottura col mondo ufficiale è profonda, più l’espressione poetica si rinnova. […]

Dalla postfazione di Silvia Baraldini

La ristampa di questo volume di poesie afro americane, scritte durante gli anni del Movimento per i diritti civili e durante il periodo del “Black Power”, offre l’opportunità di rileggere e valutare l’eredità di quella stagione di lotta e di cambiamento. […] La schiavitù, come l’apartheid in Sudafrica, ha determinato il passato e il futuro degli Stati Uniti. Il sistema economico, politico e sociale sviluppato dai coloni e dai loro discendenti si fondò sul lavoro e sullo sfruttamento dei sette milioni di africani e africane fatti schiavi e tradotti contro la loro volontà nel continente americano. L’incapacità del potere politico statunitense di ammettere questa verità, e in qualche modo di ripagare il suo “debito”, come più volte è stato chiesto, (dopo la guerra di Secessione la richiesta era di quaranta dollari e un mulo, oggi si parla di milioni di dollari), ostacola la costruzione di una vera fratellanza e uguaglianza, lasciando il campo alla dominante retorica americana. Per ritornare agli scritti di questo volume, se vogliamo che avvenga un vero cambiamento su entrambe le sponde dell’Atlantico, dobbiamo far nostra la lezione impartita dagli autori di quegli anni: senza lotta il potere nulla concede. Non è un nuovo insegnamento, il primo a declamarlo fu Frederick Douglass il 4 luglio 1852, quando rivolgendosi a coloro che celebravano la nascita della nazione chiese: “Cosa significa per gli schiavi il 4 luglio”?

 

Traduzione di Joyce Lussu*
da L’idea degli antenati. Poesia del Black Power (Gwynplaine 2013)

Etheridge Knight
UNA DONNA WASP* VISITA UN DROGATO NEGRO IN CARCERE
(*) Wasp: Bianco anglosassone protestante

Dopo le spiegazioni e i regolamenti, egli
entrò camminando circospetto.
Peli neri gli coprivano il mento, indicando
ideali scellerati.
“Questo non può essere vero”, pensava, “si tratta
di un classico errore”;
questa è una torta zuccherata di malintesi
è probabile che qualcuno
abbia voluto combinarmi una trappola.
Che cosa c’entro io
con una signora in blu tutta ben messa di sangue distinto.
Proprio è risorto cristo
se un drogato negro in carcere scambia visite con una donna così

“Tieni su la tua stupida faccia, amico,
impara a muoverti con un po’ di grazia, amico;
abbassa di una tacca il sacro scudo.
Lei potrebbe avere qualche buona ragione
come – ero nella prigione e non mi hai fatto visita – o simili.
E in ogni modo liberati
dalla paura anacronistica, battiti contro la nebbia
e non usare parole grosse”.

Dopo l’accomodarsi e i convenevoli
andavano alla ricerca di un denominatore
comune o non comune;
ma potevano constatare soltanto che ambedue erano esseri umani.
“Mettiti a tuo agio, amico!
Cerca di essere amabile, amico! La dama è imbarazzata quanto te”.

“Ha dei bambini, signora?”
L’attacco ruppe la diga, le loro lenze tremolarono nell’acqua.
Lei non gli offrì delle pillole
per curare i suoi molti mali, né massicce prediche
bensì piccole chiacchiere buffe:
“Il mio pupo fa i primi passi… proprio non riesco a tener pulita la
stanza…”
Nel suo chiacchierio non balenava la resurrezione e, in verità,
non tremò percossa nessuna catena;
ma dopo che prese congedo, lui camminava con delicatezza
e per ore non disse parole grosse.

A WASP WOMAN VISITS A BLACK JUNKIE IN PRISON

After explanations and regulations, he
Walked warily in.
Black hair covered his chin, subscribing to
Villainous ideal.
“This can not be real,” he thought, “this is a
Classical mistake”;
This is a cake baked with embarrassing icing;
Somebody’s got,
Likely as not, a big fat tongue in cheek!
What have I to do
With a prim blue and proper blooded lady?
Christ in deed has risen
When a Junkie in prison visits with a WASP woman.

“Hold your stupid face, man,
Learn a little grace, man; drop a notch the sacred shield.
She might have good reason,
Like: I was in prison and ye visited me not, or some such.
So, by all means clear
The anachronistic fear, fìght the fog
And use no hot words.”

After the seating
And the greeting, they fished for a denominator,
Common or uncommon;
And could only summon up the fact that both were human.
“Be at ease, man!
Try to please, man! the lady is as lost as you.”

“You got children, maan?”
The thrust broke the dam, and their lines wiggled in the water.
She offered no pills
To cure his many ills, no compact sermons, but small
And funny talk: “My baby began to walk… I simply cannot keep his
room clean…”
Her chatter sparked no ressurection, and truly,
No shackles were shaken,
But after she had taken her leave, he walked softly,
And for hours used no hot words.

*

Dudley Randall
MODERAZIONE

Quel poliziotto
era davvero cattivo.
Prima mi chiamò ragazzo negro,
poi mi spinse contro un muro
mi disse di alzare le mani sulla testa
e di appoggiarle lì contro
mentre lui mi frugava.
E per tutto il tempo che mi esplorò le tasche
mi diede calci, pugni e mi coprì d’ingiurie.

Ero così rabbioso che lo avrei steso a terra.
Avrei potuto farlo, solo
non volli urtare la sua sensibilità
e perdere la benevolenza
della buona gente bianca
che lo aveva fatto lavorare.

MODERATION

That cop was powerful mean.
First he called me black boy.
Then he punched me against a wall
And told me to put my hands on it and lean against it
While he searched me,
And all the time he searched me
He kicked me and cuffed me and cussed me.
I was mad enough
To lay him out,
And would have did it, only
I didn’t want to hurt his feelings,
And lose the good will
Of the good white folks downtown,
Who hired him.

*

Sonia Sanchez
POESIA  (Per quelli delle scuole medie, 1966-67)

guarda me che frequento la scuola
media
sono nera
bella, ho un uomo
che guarda il mio
viso e sorride.
sul mio viso
ci sono neri guerrieri
che cavalcano nelle navi
della schiavitù;
nel mio viso
c’è malcolm
che sputa i suoi semi di metallo
su una terra di pecore;
sul mio viso
ci sono occhi giovani
che respirano tra nere croste.
Guardaci
noi delle scuole medie
siamo neri
belli e la nostra negrità
intona un canto
mentre va errando l’america
stolida con le sue viscere acquose.

POEM (for dcs 8th graders – 1966-67)

look at me 8th
grade
i am black
beautiful, i have a
man who looks at
my face and smiles.
on my face
are black warriors
riding in ships of slavery;
on my face
is malcolm
spitting his metal seeds
on a country of sheep;
on my face
are young eyes
breathing in black crusts.
look at us
8th grade
we are black
beautiful and our black
ness sings out
while america wanders
dumb with her wet bowels.

*

Clarence Major
FRATELLO MALCOM: BASTA CON LO SPRECO

Egli disse UNA VERA RIVOLUZIONE
per cambiare le strutture
della società: la nostra forza investita nella lotta
non nascosta nel cassetto del comò
egli intese dire
e anche intese dire basta con l’uccidere
il proprio io
come il vertice della società bianca
impose alla sua base, all’arco di volta
del suo impero

Egli disse UNA VERA RIVOLUZIONE
per gli uomini Non più il bianco interprete
delle cose per il mondo
dei non bianchi Non più i bidoni dell’immondezza
davanti alla porta di casa
Non più i meschini litigi
tra le vittime
Ma egli non visse per vedere l’Unità
la meschinità lo colpì col metallo.

BROTHER MALCOLM: WASTE LIMIT

He said A REAL REVOLUTION
to change the structure
of the society: money in the bank
and not in the dresser drawer
he meant
he also meant a lack ofkilling
of the self
which the peak of white society
imposed on the bottom, the back porch
of the empire

He said A REAL REVOLUTION
for men No longer the white interpreter
of things for the world
of non – whites No longer the garbage cans
by the front door
No longer the petty arguments
between the victims
But he did not live to see Unity
the pettiness got him with metal.

*

Mari Evans
L’INSORTO

Dammi la libertà
affinché io non muoia
poiché non sangue ma
fierezza scorre nelle mie
vene, e principi
son la mia essenza,
così che io
col capo eretto vedo
Libertà, non il cielo!
Io sono quello che
osa dire
sarò libero, o morto.
Oggi stesso.

THE INSURGENT

Give me my freedom
lest I die
for pride runs through my veins
not blood
and principles
support me so that
I
with lifted head see
Liberty… not sky!
For I am he who
dares to say
I shall be Free, or dead –
today…

*

Don L. Lee
STEREO

Posso sgombrare una spiaggia o una piscina senza toccare l’acqua.
Posso vuotare un ristorante di tutti gli avventori in meno di un’ora.
Posso svalutare una proprietà solo mostrandomi nell’ufficio di un
agente immobiliare.
Io solo posso vuotare di significato la parola del Signore
per molti
che la usano nell’ora della messa domenicale.
Io ho il Potere,

POTERE NERO

STEREO

I can clear a beach or swimming pool without touching water.
I can make a lunch counter become deserted in less than an hour.
I can make property value drop by being seen in a realtor’s tower.
I ALONE can make the word of God have little
or no meaning to many
in Sunday moring’s prayer hour.
I have Power,

BLACK POWER

*

Etheridge Knight
SCRIVERE POESIE IN PRIGIONE

È difficile scrivere una poesia
in prigione;
l’aria non si lascia catturare
dal poeta.
Le stagioni trascorrono non viste
e non accendono un fuoco giovane
in questo palazzo cupo e vuoto di passione.
Le parole delicate sono rare e ubriache
contro il metallo delle chiavi;
occhi spalancati fissano enormi zeri
e chiedono soltanto compassione.

Ma la compassione non ispira il poeta.
E tuttavia la poesia ha bisogno di un suggerimento.
Qui non vi è neanche la tristezza del canto,
neanche un meraviglioso furore,
gli uccelli non battono le ali. E l’amore?
Ebbene l’amore se ne è andato,
l’amore è volato verso la Cina.

TO MAKE A POEM IN PRISON

It is hard to make a poem
In prison;
The air lends itself not
To the singer.
The Seasons creep by unseen
And spark no fresh fìre
In this dark palace of no passion.
Soft words are rare and drunk drunk
Against the clang of keys;
Wide eyes stare fat zeros
And plea only for pity.

But pity is not for the poet.
Yet poems must be primed.
Here is not even sadness for singing,
Not even a beautiful rage rage,
No birds are winging. The air
Is empty of laughter. And love?
Why, love has gone,
Love has flown to China.

 

*L’idea degli antenati. Poesia del Black Power (Gwynplaine 2013)
a cura di J. Lussu / introduzione di Roberto Giammanco / postfazione di Silvia Baraldini

Curato e tradotto da Joyce Lussu, il presente volume raccoglie una selezione di poesie scritte durante gli anni del Movimento per i diritti civili negli Stati Uniti dai migliori poeti del “Black Power”. I versi proposti esprimono la sofferenza e la volontà di lotta degli afro-americani di fronte a una questione razziale ancora oggi, nell’America di Obama, tutt’altro che risolta, come spiega Silvia Baraldini nella sua post-fazione all’opera. Con un saggio introduttivo di Roberto Giammanco.

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