“Scrivere un testo poetico a partire da una parola altra; proseguire la scrittura come fonte di formazione e deformazione di un nuovo atto significante; addentrarsi nel libro primigenio e riportarne a sé la metamorfosi compiuta di una nuova sostanza. Sebbene la scrittura poetica non abbia luoghi privilegiati di nascita, ma tutto e tutti, potenzialmente, possano realizzare – con elaborazioni, furti, svuotamenti, ricostruzioni e ogni altro paradigma selettivo – le potenzialità illimitate di questo dire, non c’è dubbio che il gesto comporti una dose di azzardo non comune. Se poi l’autore di riferimento è uno scrittore così fortemente aperto e interrogante come Edmond Jabès, che, a partire dalla parola, attraverso la lingua, costruisce il testo arrivando al libro, come conglomerato ampio e stringente dell’impresa umana più audace, allora non si può non restare piacevolmente meravigliati. Ma Enzo Campi è poeta di solido pensiero e di progettualità linguistica costantemente tesa alla sperimentazione e ricerca di significati inesausti, quindi l’opera di Jabès è un approdo, per certi aspetti gravoso, ma ricco di sviluppi e diramazioni, e sentito necessario per le sue esplorazioni poetiche. […] Non un’opera di specularità mimetica; ma nemmeno una scrittura apocrifa, come avrebbe potuto essere: bensì un dire ulteriore che prende avvio dalla vicinanza con l’autore di riferimento; dal desiderio di introiettare il suo dire pensante; dal piacere intellettivo che la metaletterarietà produce. Il tutto sempre alla ricerca, non di un astratto esercizio, ma di quella parola che la poesia rende tangibile, pur nella costante ondulazione dei sensi che si rendono inafferrabili. Perciò bisogna dimenticare il testo di riferimento, che pure ha la sua presenza, e partire da un nuovo oblio. Perché se è vero, come scrive Jabès, che ‘il senso delle parole è quello della loro avventura’, allora Enzo Campi ha sperimentato proprio questo. E l’avventura lo ha portato oltre l’origine, verso la pensosità di altri libri – delle descrizioni, dei flussi, delle interruzioni, delle cancellazioni – dalle cui frasi, all’orizzonte o tra i margini della pagina-isola, da Il e Ile prendono vita Ilio e Ilèa. Lei, selva naturale, lui il sostegno. Capaci di sovvertire lo sguardo sulla realtà per regalare ‘un’immagine rivelatrice’: il principio poetico vero e reale che ricompone il mosaico attraverso figure rovesciate.” (Dalla prefazione di Giorgio Bonacini)

da L’inarrivabile mosaico (Anterem Edizioni, 2017)

Si domanda a un’isola chi è?
L’isola c’è.
È cava al suo interno.
Ospita i corpi nel cuore di una fenditura,
allo stesso tempo ripiegata e disvolta.
L’isola c’è:
gravida di fonemi impronunciabili
estirpati da libri inconosciuti
incede lenta
ad allumare la faglia
in cui rendersi alla veglia
degli ospiti
Fu allora che il testimone inaugurò il récit estirpato
dal libro delle parole mascherate
a guaine avviluppanti di rara
consistenza o fili d’acciaio tesi
e allineati come cifra ideale per
ridefinire il mosaico da ricomporre
se poi impressa fu la marca che non
consente divisioni di sorta a tutto ciò
e molto altro si àncorano per svilire
la deriva e consolidare l’approdo

*
Dal fuoco,
quanti vergini fuochi
accesi!

L’isola c’è.

Si tiene al riparo dai tornadi.
Relega la nebbia oltre l’orizzonte.
Rende docili le acque ma conserva
in sé il seme del fuoco nutrendosi
di magma e cenere.

L’isola c’è.

Erutta la lava della riappropriazione.

All’insegna del sangue che la terra madre versa
per espellere la vita
e rimetterla in circolo.

Ti sono.
Fallibile, disse Il.

Mi sei.
Riesco a toccare la tua fallibilità, rispose Ile.

Due, separati in uno.
Due, separati nell’utopia dell’uno.

Il e Ile : si defilano l’uno dall’altra solo toccandosi.

*

Non vi è limite che non sia messo alla prova sino in fondo.
– un filo di sangue, ed è già una frontiera da oltrepassare

E fu allora che île chiamò il testimone
a dettare il ritmo della condivisione
a culle d’aurore ancora celate
dall’oscurità se mai specchiate
a mala pena nell’iride della
pietra scheggiata dalla grandine
e semi sepolta nel fango a nenie
soffuse che fluiscono raso terra
e che inducono al movimento
perenne ogni passo è come un
gradino per avvicinarsi al ramo
per disegnare nell’aria una curva
per recitare una parabola con cui
incitare la sabbia a sciogliere il
sacro nodo di sangue e cenere
Il libro della condivisione è il libro dei limiti

*
Taglierai nella carne viva.
L’avvenire ha il pudico rossore dell’aurora
All’alba dell’ultimo giorno del nono mese
in un tripudio di lucciole impazzite
Ile unse il suo ventre insanguinato con la rugiada
e recitò
il suo saluto al sole:
sono fuochi fatui le lucciole
disegnano il profilo di una radice
che fluttua nell’aria e si leva verso il cielo
come a rovesciare la sua essenza sotterranea

*
Glaciale il bianco delle sue vette
Il nuovo testimone – intessuto di seta
e d’organza, abbacinato e
sovræsposto in un trionfo
di luce, si
presentò col
gesto della riverenza

Nero il sole della parola
e quando île gli chiese
chi sei?
egli aprì il libro delle rivelazioni
e disse:
per il chicco di sale e il granello
di sabbia il mosaico è un labirinto
e nel percorso infinito tra le tessere
che lo compongono si consuma il
travaglio e il dispendio
c’è sempre un filo da
tendere e in cui sfibrarsi
ma la soma è leggera
porta e si fa portare
guarda il sole
e ricorda il motto:

Costruire a caldo.

Costruire a calce e sabbia.                                                                              
io sono solo un
umile manovale

Tutte le citazioni in grassetto sono di Edmond Jabès e sono tratte da Il libro delle somiglianze (Moretti & Vitali, 2011), Il libro della condivisione (Raffaello Cortina Editore, 1992), Desiderio di un inizio. Angoscia di un’unica fine (S. Marco dei Giustiniani, 2001), Il libro della sovversione non sospetta (Feltrinelli, 1984), La memoria e la mano (Mondadori, 1992), Uno straniero con sotto il braccio un libro di piccolo formato, (SE, 1991).

 

Enzo Campi è nato a Caserta nel 1961. Vive e lavora a Reggio Emilia. Autore e regista teatrale, dal 1982 al 1990, con la compagnia Metateatro. Videomaker indipendente, ha realizzato, dal 1991 al 2005, numerosi cortometraggi e un lungometraggio (“Un Amleto in più”). Suoi scritti letterari e critici sono stati pubblicati su riviste, antologie, cataloghi di mostre e sono reperibili in rete su svariati siti e blog di scrittura. Ha curato numerose prefazioni, postfazioni e note critiche in volumi di poesia. È presente in svariati volumi monografici con contributi critici e creativi tra cui Totilogia (Diaforia – Cinquemarzo, Viareggio 2014), Emilio Villa. La scrittura della sibilla (Diaforia – Cinquemarzo, Viareggio 2017), Maurice Blanchot (Marcos y Marcos, Milano 2017). Ha pubblicato: Donne – (don)o e (ne)mesi (Liberodiscrivere, Genova 2007), Gesti d’aria e incombenze di luce (Liberodiscrivere, Genova 2008), L’inestinguibile lucore dell’ombra (Samiszdat, Parma 2009), Ipotesi Corpo (Smasher, Messina 2010), Dei malnati fiori (Smasher, Messina 2011), Ligature (CFR, Sondrio 2013), Il Verbaio (Le voci della luna, Milano – Sasso Marconi 2014), Phénoménologie (BIL produzioni cartacee, Bologna 2015), ex tra sistole (Marco Saya, Milano 2017). Principali curatele: Poetarum Silva (Samiszdat, Parma 2010), Parabol(ich)e dell’ultimo giorno – Per Emilio Villa (Dot.com Press, Milano – Sasso Marconi 2013), Pasolini la diversità consapevole (Marco Saya, Milano 2015), Il colpo di coda. Amelia Rosselli e la poetica del lutto (Marco Saya, Milano 2016). È direttore artistico del Festival Multidisciplinare di Letteratura Contemporanea “Bologna in Lettere”.

 

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