Dalla raccolta inedita  L’indifferenziata

si immagini uno strascico, una coda – pelosa, del caso –
un continuum di vacuum, si immagini di svoltare
di abbandonare il tracciato, si immagini un’area
possibilmente un pentacolo di erbe pixellate
una tappezzeria vintage luminescente
da incollare su cielomareterra,
si immagini un ghiacciaio, un corvo un petalo
seccato di aver perso il collante e il picciolo,
le curve della linfa, le linee della vita,
un solido semirifrangente di scogliere
si immagini un vettore, una secante disturbata
dal rumore, si concluda che il fuori è stranito,

l’interno solo una performance di

finto granito

*
lo strazio della curva nella
emergono cadaveri dal

fratture d’ossa e ghiaccio
pelli di scoiattoli, semi, pericarpi

mangiavano, attestato

la treccia dentro l’ambra
traccia l’ape nell’estate

sul ventre miele, liquefatta

pangea di madre in figlia
la faglia del distacco

il circolo si amplia

la linea dall’umano al replicante
carbonio azoto poliuretano espanso

*
letania delle forme che s’informano
appressano, si squagliano, flash del mangiadischi
nel deserto
l’uomo, vecchio, no, solo assolato di rughe, di polvere,
suonava e risuonava lo stesso pezzo
ipnosi di rito, compagnia, va a sapere
interessa il mangiadischi, pile alcaline, al litio
la durata, da calcolare, alla fine si sarebbe alzato, era la domanda
nessuna la formulava, neppure un’ombra, neppure un [cactus
gira, rigira,
quanti chilometri  ancora, quanto tempo
letania del già detto, visto, ascoltato, toccato, assaggiato,
pausa, intanto che riprende, riposa
la forma, del fiato.
*

lo spazio intero pure non basta
più ampio e multiforme
di un marzo quando è cielo

l’eccesso che si fa misura
ferma e gravata
pioggia senza vento,

erba a scavare sassi e fuoco caldo
l’acqua materia, parli una parola
caos, nel ritorno ma anche nell’andata

quasi un ricordo, un gelo secco
che disseta il corpo-non solo, non solo
anche la luce,

stracci a un mercato d’africa dispersa, vivi e
colorati, che altro vuoi che fosse, noi eravamo

*

quando si scioglierà il grasso nelle arterie
canteremo i muchi, i fili di sangue
l’acqua, la terra sopra i tendini,
l’aria rarefatta.

non è un buon posto, dicono, che
cazzo ne sanno,
entra in un bar, ordina cappuccino, rum e un’aranciata
si scioglieranno gli insaturi, si spera,
le mani alla testa, rovescia, esce e
si allontana.

sembra importante non lasciare traccia.

 

Viola Amarelli, campana, ha esordito con la raccolta di poesie Fuorigioco (Joker, 2007), seguita dal monologo Morgana (Vico Acitillo e-book, 2008), dal poemetto Notizie dalla Pizia (Lietocolle, 2009), Le nudecrudecose e altre faccende (L’arcolaio, 2011), i  racconti di Cartografie (Zona, 2013), le poesie di  L’ambasciatrice (autoprodotto, 2015) e di  Il cadavere felice (Sartoria Utopia, 2017), le prose in prosa di Singoli plurali (Terra d’ulivi, 2016) e, in veste di co-autrice, La deriva del continente (Transeuropa, 2014) e La disarmata (CFR, 2014). È presente in numerose antologie, riviste cartacee e on line; alcuni suoi testi sono stati tradotti in Germania.

 

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