Dalla raccolta Blu, Edizioni Ensemble (2019)

 

Nell’oblio

lontano il riflesso delle tue
mani sulle vetrate scarne della cantina
fotografia scolorita di un’età
apparentemente disadorna

prima che le ore venissero inghiottite
da monotonie senza piacere
la fugacità delle luci
create con sapienza da dita morbide
era capace di riempire di pace il pensiero
affollato

con dispetto le pagine sono state voltate
dal vento

in memoria di pallide effusioni
risuonano i salmi
canzoni sacre per gli alberi
che hanno smarrito i loro rami

l’innocenza è per coloro che non vedono

 

*

 

Lame nel buio

l’hai visto il vecchio
che sputa disgustato
sul muro della verità?
non trova pace il penitente
nella camera da letto
il filo del silenzio
strozza la speranza

fiamme e cani
a passeggio nel parco
non si curano del dubbio
la scia della vanità
volteggia spavalda
ma il cerchio non si chiude

i lampi in lontananza
oscurano la notte
ci sarà tempesta
dicono i saggi con lo scettro

 

*

 

Orme invisibili

Protetti da quattro mura inutili
ed illusi che queste ci separino
dal dolore di chi non può vederci,
siamo simili a sardine in scatola
che qualcuno mangerà, pur se sazio,
per il solo riprovevole gusto
di affondare i denti in umide pelli
delle quali anche i topi hanno ribrezzo.

Siamo soli e sappiamo
di esserlo. Abbiamo perso
il senso del comune:
niente è nostro, ma tutto
è “mio”, come se ora
avessimo qualcosa
da poter reclamare
oltre una morte amara.

La fuga è stata la nostra scelta,
nascondersi invece di lottare
i timori al posto del coraggio.
Cresciuti in una teca di vetro
e immunizzati da sofferenze
che pur ci appartenevano, abbiamo
serrato noi stessi le alte gabbie
dove altri ci avevano portato.

Siamo una generazione
persa, senza un’identità,
senza passato e futuro,
con un innato bisogno
di tutto, invece del quale
abbiamo trovato solo
un mare inesplicabile
di fili legati al nulla.

Che cosa lasceremo ai figli
che non avremo? A chi daremo
ciò che non abbiamo? E la terra
ci accoglierà dopo la morte?
Se nessuno ci ricorderà,
dove andremo a poggiare il corpo?
Saremo derisi e umiliati,
mutilati, scacciati e vinti.

Da sempre morti,
non lasceremo
risposta alcuna
perché a nessuno
abbiamo fatto
domande: il posto
per noi rimane
nel lungo oblio.

Sulle nostre tombe
raffigureranno
fiumi di parole
vuote come gli occhi,
fuochi spenti e lacci
slegati; di nomi
propri, quelli veri,
un vaso di nulla.

Non ci rimane
che abbandonare ora
mestamente la terra
che non ci vuole più. Spero
solo che avremo la dignità
di non pretendere alcun ricordo
né di chiedere una vile preghiera
che possa alleviare l’ultima sera.

 

 

Giuseppe Settanni è nato a San Giovanni Rotondo nel 1981 e vive a Fano. Dopo il romanzo Nero (Palomar, 2010), ha pubblicato alcune poesie nell’agenda Poesie per un anno 2016 (Edizioni Helicon, 2016) e nella raccolta Versi in volo 2016 (Sensoinverso Edizioni, 2016). Del 2019 è invece Blu (Edizioni Ensemble – finalista al Premio Elena Violani Landi 2019 per l’opera prima), la sua prima raccolta poetica.

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1 Comment

  1. Manuela 13/01/2020 at 3:33 pm

    Da questi versi, mi sento lasciata trasportare da una “ventata” di sentimenti, emozioni, ansie, nostalgie ma anche speranze. Emerge una consapevolezza della realtà del nostro tempo tesa, sempre più tragicamente, verso l’oblio con colpe da ricercare non nello sguardo vacuo di un estraneo ma nelle nostre eterne dicotomie, insaziabili e inarrestabili. Come in Orme invisibili, una consapevolezza c’è ed è quella di provare a conservare almeno un po’ di dignità e non pretendere di essere ricordati… per quel che abbiamo fatto… o per ciò che non abbiamo avuto il coraggio di iniziare o portare a termine!