Particolare dell’immagine di copertina

Dalla prefazione di Donatella Bisutti

Leggendo i componimenti iniziali di questa nuova raccolta di Antonella Sica […] sembra di trovarsi davanti a una poesia ambientata nel quotidiano, e soprattutto a una poesia di “interni”, come molte poesie di Emily Dickinson, una poesia in cui, come è stato osservato, si accampano gli oggetti, di cui tuttavia subito si sospetta la valenza simbolica. Ma più si procede nella lettura, più questo scenario di “interni” si sfonda e lascia spazio a un “esterno” di dimensione cosmica: anche se in una delle ultime poesie della raccolta riappare un interno condominiale abitato da un televisore, dove in una cucina in disordine una donna si affaccenda “in ciabatte”, intorno a questa apparente banalità “trema la corolla nera del mondo”. L’esterno dunque, “impaziente di morte”, irrompe nei versi trascinando con sé, come in una piena, passione disperazione e abbandono, a smentire quella iniziale volontà dell’Autrice di mantenere una tensione governata e controllata, quella enunciata in uno dei testi iniziali, Fame: “Ho lasciato sempre/ qualcosa nel piatto/ pur avendo ancora fame”, una volontà che si propone di opporsi a quel pazzo desiderio di libertà, di esperienza e di avventura che la spingerebbe addirittura a “mangiare erba”, farsi cioè libera creatura soltanto animale. Più si procede dunque nella lettura, più ci si rende conto del forte valore ossimorico del titolo di questa silloge, che suona come una sfida. Esso riunisce in una figura del Mito, Penelope, come due lembi di quella tela di continuo tessuta e disfatta per essere rifatta di nuovo, la pazienza e l’ira, la prima retaggio atavico del femminile, la seconda simbolo dell’ardua lotta per coniugare quel femminile in un’accezione nuova. Accettazione e silenzio sembrano il punto di arrivo di questa scrittura di esplorazione esistenziale, punto d’arrivo insieme della vita e del linguaggio. Linguaggio che in questi testi appare ricco di spezzature, scheggiato e fortemente analogico, spesso in modo spiazzante, in continua spola fra un quasi minimalismo del quotidiano e un piano simbolico, fra interiorità e realtà esterna, fra profondità psichica e verticalità di un cielo abitato da luna, sole, nuvole, vento, e anche fra un linguaggio “alto” e un linguaggio “basso”. […]

da L’ira notturna di Penelope (Prospero Editore 2022)

L’IRA NOTTURNA DI PENELOPE

Pelle su pelle cucita
troppo stretta ai fianchi,
sconosciuta addosso
che vive la mia vita; che rimane
quando vorrei andare via
che non prende, chiede
sempre permesso e mi consuma
di rabbia dietro, dal posto
già assegnato nella retrovia.
Cucita addosso la pelle
di mia madre, di mia nonna
ricamata come un corredo
a riscatto della carenza.

Ogni giorno con pazienza
disfo un punto combattendo
l’ira notturna di Penelope
tremando il dubbio se qualcuno
ancora sotto respira.

*

Si è complici di un sintomo
un comune dolore d’essere
periferia abbandonata, arsa
da cemento e sterpaglia.

Amore è solo un segno
posto troppo in alto
per le mani.

*

LE FINESTRE

Quand’ero bambina il mio sguardo
era spezzato da un grande pino
davanti alla finestra. Sulla destra,
lontano, un grattacielo rosso
che faceva un po’ Niuiorc
e cinema americano in bianco e nero
e di quinta, più lontano ancora,
l’ospedale psichiatrico di Quarto
con i suoi alti alberi a proteggere
il dolore e la follia.

La finestra della mia adolescenza
affacciava su un muro ricoperto
d’edera e glicine e lo sguardo
rimaneva nella stanza, sulle pagine
dei libri: gli Einaudi bianco latte
e l’economica Garzanti sugli scaffali
come un arcobaleno; rossi i francesi,
verdi i russi e gli italiani, azzurri di lama
i tedeschi, grigi i classici latini e greci.

La finestra dei vent’anni non aveva tende,
solo il muro del palazzo di fronte, le finestre
degli altri; luci fioche di cucine, sguardi
chini sulla sera, gomitoli pieni di nodi.

La finestra dei trent’anni si apriva
su una strada in salita affiancata
da lunghi platani scuri, nessun segno
di vita; solo qualche cinghiale
e automobili di fretta verso casa.
Un mistero in cima alla salita.

La finestra dei quaranta era alta sulla collina;
geometria di tetti sotto lo sguardo irregolare.
Pece nera sulle vecchie grondaie
dove gialli fiori casuali spuntavano
nelle crepe dove il vento
aveva portato la terra.
Fiori che aprivano ferite nei tetti
dove entrava la pioggia
creando ombre di fiori sui muri.

La finestra di oggi ha un palazzo verde acido
di fronte, attaccato alla collina.
Dalle finestre vecchi operosi e lenti
che appena esce il sole stendono i panni
come a far prendere aria alla vita.
E a destra si apre la fuga del mare
con cui sono solita parlare
e che increspa il mio sguardo di sole.

FRAMMENTI DI UN EPILOGO

Quando sarò andata via
dovranno occuparsi
della mia assenza.
Riempiranno tutti i buchi
che ho fatto nella terra
per mettere radici.
Sgombreranno
il mio piccolo spazio:
terranno l’oro per il valore,
getteranno i libri
e le fotografie senza più memoria
nascoste tra le pagine.
I miei fogli di tormento
diventeranno carta
su cui appuntare i fantasmi
di una nuova vita
o la lista della spesa.

 

Antonella Sica, laureata in Lettere Moderne, è regista e manager culturale in ambito cinematografico. Ha fondato e diretto il Genova Film Festival e realizzato audiovisivi più volte premiati. Nel 2016 pubblica con Prospero Editore Fragile al mondo, la sua prima raccolta di poesie. Nel 2017 vince il Premio Internazionale di Poesia “Città di Milano” con la silloge La memoria nel corpo, pubblicata da Rayuela Edizioni. Nel 2019 con L’ira notturna di Penelope, ancora inedito e qui per la prima volta pubblicato, vince il Premio come Miglior Silloge al XX° Premio di Scrittura Femminile “Il Paese delle donne”.

 

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