da Versante d’esilio (Minerva 2018)

 

I corpi, nella precisione del cerchio, le membra
originarie dell’uomo, ordinate in un giro di corsa,
il grande cavallo cadde con un nitrito e nell’ombra
l’immagine di sé, metà vivi e metà ricordi, le teste
si toccarono nello sforzo, tintinnarono… in quel
lento e progressivo inoltrarsi nel buio di una folla:
latitudine in atto, perfezione di un disegno
che oltre i secoli torna, acqua e poi acqua.

 

Lettera a un amico d’infanzia
I.
Cosa vuoi che ti dica mio caro amico d’infanzia,
mi sto inoltrando in un’età che non conosco
e ho paura di ritrovare le mie ali di cera
più sottili. Dopo tanti ricordi, devo ammettere
che i nostri giochi sono cambiati, non corriamo più
sul pontile ora e non ci sbucciamo più le ginocchia sulla ghiaia.
Ma quella terra, quella terra così rossa, arsa dal sole,
la ricordo ancora. Spaccata dall’aridità,
bastava una sera di pioggia per farsi fangosa, cedeva
il passo, nelle stagioni delle grandi piogge, risaliva
nei campi la tranquillità antica delle ore più calde,
più intime e qualcuno, più in là, già s’inoltrava
con una piccola radio, fumando e masticando erbe.
Di ali, se proprio ora devo ammetterlo,
ne ho sempre avute più io di te, ma la tua dolcezza…
quella dolcezza terrena con quell’odore misto
di terra fangosa che tanto ti ha generato, non l’ho mai saputa,
a tratti l’ho intravista, è vero, e questo
se proprio devo essere sincero mi è bastato, mio caro amico,
sei rimasto in quel villaggio tu… a cui ora faccio ritorno,
ma nella discrepanza fra ciò che un posto è diventato
e i ricordi che se ne portano, più mi avvicino, più tutto si allontana.

 

II.
In questi anni se ancora non l’hai saputo,
sono stato in luoghi sempre diversi, frequentato
innumerevoli studi, corsi… fatto cose tanto diverse
quanto a me stesso inimmaginabili, ma una scuola che insegna
ad amare non l’ho ancora trovata. C’è un uomo sai,
che osserva ogni cosa, lo noto talvolta affacciato sulla bocca
di qualche frammento o gesto, nelle pieghe insolite
che tendono avviare alcune ore. Lo vedo così come è,
con il mio stesso volto dedicarsi al commercio dei dolori
e delle dolcezze di una storia che io vado compiendo e lui da senso.
Ho però conosciuto, se così posso dire, quel destino che mi segue
e che io stesso ho creato, ho dato nome, il mio…
e spesso mi ha raggiunto lungo le pause di questa durata.
Sai, ama il sole del mezzogiorno, lo ama terribilmente,
ama la sua altezza imponente, la sua luminosità,
la distanza dalle cose, la sua quasi inumanità.
È una stagione da compiersi tutta in verticale questa,
nel tempo si consumerà sempre più in alto.
Vorrà dire che quando il frutto sarà maturo,
al suo limite più estremo, una caduta con più rumore
ti sveglierà nelle tue ore più quotidiane.
Allora ti chiedo solo questo mio caro amico d’infanzia,
vienimi accanto, ovunque mi trovi,
sii vicino, tu e quel tuo odore di terra bagnata.
Questa strana poesia di cui non comprendi la lingua
e né mai la comprenderai, è un invito e una speranza a ciò.

 

Alessandro Anil, nato nel 1990, ha vissuto in India fino a sedici anni, a Santiniketan, frequentando la scuola del poeta R. Tagore. Si è laureato in Filosofia e Letteratura in Canterbury e Cambridge. Vive in Italia dal 2013. È stato premiato o segnalato da Poesiafestival, Premio Rimini per la poesia giovane, Casa della Poesia di Como, Premio Mario Luzi. Sue poesie sono apparse nella rivista Atelier e in riviste italiane e inglesi del settore. Ha tradotto per l’Almanacco di poesia di Raffaelli editore poeti bengalesi nel periodo post-Tagore. Oltre alla poesia svolge l’attività di drammaturgo e regista. Suoi testi sono stati rappresentato a Canterbury, Inghilterra, nell’evento New Dramatists in Progress. Ha scritto e diretto To Celebrate the Human Glory, Dance Once, Pray Twice, The Tea Room. Il suo libro Versante d’esilio è stato pubblicato nel 2018 da Minerva editore.

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