Parlando di Alessio Alessandrini e della sua attività di scrittore, lettore, studioso e divulgatore di poesia, non possiamo non apprezzare la sua onestà che produce un profilo di intellettuale rigoroso, la cui modestia e lo stile sommesso e appartato rispecchiano una posizione defilata ed inclusiva all’interno del dibattito del settore in questo primo ventennio dei Duemila. L’autore marchigiano riveste un ruolo tanto importante quanto nascosto (λάθε βιώσας è un motto, e un monito, che sembra attagliarsi perfettamente al nostro autore), e questo atteggiamento ha posto le basi di un lavoro incessante nel suo corpus poetico, dedicato ad un’analisi della valenza simbolica degli elementi naturali e del legame primordiale con gli animali, nell’esistenza umana.
Nell’ultima pubblicazione I congiurati del bosco (Pequod 2019), ci imbattiamo infatti negli unici altri testimoni (muti), oltre a noi, del meccanismo del mondo con cui stabilire una sorta di silenziosa comunicazione: gli animali, a cui dedichiamo un’assidua osservazione, angosciata ma anche fiduciosa. Essi sono forse osceni, forse indecenti oppure soltanto autentici, componenti indecifrabili del regno a cui anche noi umani apparteniamo, pur avendo dimostrato ampiamente di essercelo dimenticato: «l’equilibrio che ci è stato evocato / la sua composta rettitudine / forse è solo un inciampo e / il piede anche se ruota / perno nell’asse assegnato / e non osa avanzare, è / un solingo piede in fallo» (pag. 15). Il nostro respiro si dissolve in quello del mondo, forza motrice che possiamo toccare in tutta la sua cieca potenza e che conduce lo sguardo della poesia di Alessandrini, caratterizzata da un eloquio rudemente levigato, in cui ogni sintagma è materia densa, viscosa, mai distaccata, poiché il pathos sostanzia le concrezioni di incontri e rivelazioni, di immagini e sensazioni. Esse vengono affinate con inesausto lavoro di scalpello, frutto di un’esperta riflessione illuminata dalle tante meditate letture (da Saba a Sereni, da Penna a Magrelli, per non parlare della curiosa ed inesausta esplorazione della poesia contemporanea internazionale, dagli statunitensi Collins e Wright allo svedese Tranströmer).
Rastremare concetti ed immagini, osteggiare ogni trucco che rende fasulla la rappresentazione, fa parte del compito, non solo poetico, a cui si è consacrato il poeta ascolano, mantenendo costantemente una posizione di contrasto alla seduzione della bigiotteria e all’abbaglio del virtuosismo, che conduce ad un lavoro perseverante di pulizia ed ecologia espressiva. Questo sforzo assiduo, come narrato nel testo conclusivo de I congiurati del bosco, rappresenta il principale imperativo per chi scrive versi: «restare nel limite / come un animale braccato / ma senza l’illusione del bosco» (pag. 56). La poesia ci deve disilludere, predisporci all’inclusione, alla pluralità degli affetti e delle relazioni, a paragonarci senza filtri di superiorità con chiunque. E se il più delle volte ogni incontro o avvenimento ci si impone come mesta dimostrazione della degradabilità e caducità del nostro cammino, Alessandrini lavora ad un’inversione del segno, convinto della validità di «questa incrollabile / fiducia nel passo falso, nello scacco / nello scorno del sacro» (pag. 55).
Questa volontà inesausta di reazione, di inoculare col verso un antidoto al «veleno quotidiano» (pag. 22), permette di esprimere un’intonazione ed un dettato pienamente personali, in cui è evidente l’abilità di calibrare ogni accento, ogni spunto, attraverso una tramatura mai inopinatamente palese di richiami fonici ed iconologici, con geminazioni di suoni, giochi di paronomasie, rime interne ed assonanze, oppure grazie alle continue gradazioni correlative, il tutto per agganciare chi legge al fascino delle storie raccontate. Tutto questo arsenale formale non deve a ogni buon conto inibire, né tantomeno essere interpretato come uno specchio illusorio per la mente del lettore, va bensì visto come un manuale di decodificazione del linguaggio segreto, allusivo e spesso contraddittorio del reale. I congiurati del bosco ci offre in definitiva un lasciapassare per essere tra coloro che riescono a decifrare il mistero che ci attende quotidianamente nel folto fogliame del fuori.
da I congiurati del bosco (Pequod 2019)
AMMORBIDENTE
E poi non ci resta che
questo tentativo estremo
di aggiungere ammorbidente
a tante parole che
cedue occludono la gora
del lavello, nel loro
espandersi a macchia d’olio.
Attutire, intenerire, acquisire
prudenza per trovare quella
che sa la scienza del medio
che abbia un suo senso comune:
un giusto peso tra l’eccesso
del vaffanculo e quello
della deferenza.
LA LUCERTOLA
Provi a contemplare l’innocenza
esposta della lucertola, del geco
che non si sottrae alla luce
accesa del sole in assedio
come fosse la sola
a costruirsi un sentiero
in questo incipiente deserto,
nell’incendio rosso che
occupa il cielo e fa l’aria
affamata.
Nella bellezza così forzatamente
manifesta si insidia l’inganno
ma intorno non vi sono
che fantasmi, profanano
un insanabile sonno.
NEL BOX
Quando chiuso nel box
lanci fuori ogni oggetto,
ti chini e con rigetto
espelli tutto tutto quell’orpello
di giochi, colori, mattoni.
E’ questa la pulizia di cui
parlano i poeti,
l’alchimia del ridurre tutto
all’essenziale.
Il restare nel limite
come un animale braccato
ma senza l’illusione del bosco…
Alessio Alessandrini (Ascoli Piceno, 1974), è insegnante di scuola media. La sua prima raccolta La Vasca (Lietocolle 2008) è risultata vincitrice del XXII Premio Letterario Camaiore nella sezione Proposte Opera Prima. Nel 2014 è uscita presso l’editore Italic-Pequod la sua seconda opera poetica Somiglia più all’urlo di un animale, silloge segnalata al XXVII Premio Camaiore, al XXIX Premio Montano e alla terza edizione del Premio “Civetta di Minerva – Antonio Guerriero”. Nel 2019, sempre per la Italic-Pequod, è uscita la silloge inedita dal titolo I congiurati del bosco. Sue poesie posso essere lette in raccolte antologiche o sul web. Collabora come redattore al progetto editoriale Arcipelago-Itaca Edizioni e con l’associazione culturale Umaneventi.