Dalla raccolta Zero al quoto (Puntoacapo Editrice, 2018)

 

Questioni giurisdizionali

Scale. Ne sale gli assiti
poco prima sconosciuti, indovina
androni, appartamenti dalle targhe
impolverate d’anni
e se bussa a quelle porte ne esala
a stento dalle serrature un esile
fumaiolo di polvere.
Stagna acqua dalle gronde,
più oltre rade un fruscìo di catene
quel che resta d’un cane in agonia.

A chi mai servisse quel censimento
era liturgia di pochi eletti
apprendere, la dovizia d’appunti
il puntiglio anagrafico
a quali arbitri ambisse, s’era solo
la disossata spunta degli assenti.
Dopo il disastro ai reattori, lo sgombro
i più savi erano migrati a nord
sui pianori, tra i boschi di betulle
grati del contendere arbusti alle alci.

Si dice che chi paghi dazio e assenta
o si lasci estorcere sconfessioni
si aggiudica la nuda proprietà
di queste sue macerie, il privilegio
di smemorare, diritto d’espatrio.
Indugia leggendo anche il suo, di nome
su quelle liste logore,
dubita a doverne certificare
esistenza, ragione o suo perimetro.
Potrebbe evaderne
uscirne illeso per vizio di forma,
tuttavia si vista, si legittima
cede a quel giogo.

Finalmente la vita
si sarebbe accorta di lui.

 

Podere carestia

Non si chiedeva il senso del vegliare,
lui guardiano di cosa poi
se era tutto disfacimento, i muri
una rovina di scorpioni ed edera.
Pure lo inebriava sostare immoto
tra quegli aratri, sfregarne residui
di spore e letame tra i polpastrelli,
sentirsi anche lui olla di quel destino
di terra e nuvole.

Non lo turbava l’insignificanza
di quel cerimoniale:
restare desto ogni notte, la nebbia
le calli dove scantona smarrita
qualche volpe esausta, ai tetti sconci
il raro guizzo d’un gatto selvatico
e il mattino sulla soglia il bicchiere
di latte tiepido, la ricompensa
di chissà quale mano
debitrice d’oblio, o di pietà.
Non lo inquietava assolvere
l’ambasciata a baluardo del nulla
sorbirlo stilla a stilla. Non diverso
sarebbe stato vivere.

 

Di certe pruderie che non sospetti

La vita non si dice, non significa.
Ci s’avvicina come ad un asintoto
dimostra per assurdo la sua ipotesi.
È soluzione che condensa, satura
soggetta a sedimentazione rapida
per gravità vi bascula, precipita.
La vita non si còmpita, non indica.
Si recita ad accentazione sdrucciola
svicola se si sillaba, vi latita.

Ha persistenza solo per istanti
quel poco che vanifica l’antidoto
– consisterne finché si può, si deve –
e radica negli interstizi atipici
quegli attimi che addensa il temporale
per l’attrazione – nota – delle punte.
Frazione di millesimo che sgretola
residue parte e arte, come una zìqqurat
di sovrapposte, d’avventizie carte.

 

 

Fabrizio Bregoli, nato nel bresciano, risiede da vent’anni in Brianza. Laureato con lode in Ingegneria Elettronica, lavora nel settore delle telecomunicazioni. Ha pubblicato alcuni percorsi poetici fra cui Cronache Provvisorie (VJ Edizioni, 2015 – Finalista al Premio Caproni) e Il senso della neve (Puntoacapo 2016 – Premio Rodolfo Valentino 2016 e Premio Biennale di Poesia Campagnola 2017,  Finalista ai Premio Gozzano, Merini, Caput Gauri).  Il suo ultimo lavoro è Zero al quoto (Puntoacapo 2018 – Premio Città di Arcore 2018). Sue opere sono incluse in Lezioni di Poesia (Arcipelago Itaca, 2015) di Tomaso Kemeny e in numerose altre antologie. Con il poemetto ENIAC è incluso in iPoet Lunario in versi (Lietocolle 2018). Ha inoltre realizzato per Pulcinoelefante il libriccino d’arte Grandi poeti (2012).

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