Dalla raccolta Le buone maniere, Valigie Rosse (2018).

 

 

Inquilini

Sono morta cadendo dalle scale.
Il piede, l’orlo della vestaglia,
nel volo avevo perso le pantofole.
Atterrai sul tappeto dell’ingresso
e fu solo la mia casa a starmi accanto
tenendomi per mano nel trapasso.
Nel necrologio mi piansero i nipoti,
sette sciacalli smaniosi di incassare
i resti immobiliari della zia.
La casa fu venduta tramite agenzia.

E vennero i facchini per i mobili,
e gli architetti con progetti allucinanti;
un branco d’operai invase queste stanze
poi furono picconi e martelli pneumatici,
macerie di mattoni e cavi sradicati.
Rimasero soltanto i muri esterni:
la facciata era un viso stralunato,
le finestre due orbite svuotate.
Ho assistito a questo scempio
senza dire una parola.

Da allora è una tortura:
un finto stile impero nel salone
e quadri pretenziosi alle pareti
per non dire di questi due ragazzi
con la boria di tangheri arricchiti:
lui con i suoi scatti di rabbia
e l’altro con la voce fastidiosa,
le loro smancerie di baci e lingua
e quelle porcherie che fanno a letto,
un amore a dir poco stomachevole

che non posso evitare di guardare.

*

 

Il latte versato

Ormai non si può più tornare indietro.
S’è rotto in mille pezzi il bricco in vetro.

Il bianco che dilaga e non s’arresta
adesso nutre solo il pavimento.

Un liquido incolore ti molesta
scendendo dalle guance verso il mento.

Convivere col danno e col rimorso
inizialmente appare impraticabile.

Vedrai che prima o poi sarà possibile
averne un altro mezzo sorso scarso.

 

*

 

La prima volta
saranno solo sillabe sul muro
vergate con lo spray
da mani strafottenti.

Ti guarderanno come una minaccia
sicure prima o poi di rincontrarti.
Tu volterai lo sguardo e imparerai
che le parole hanno vita propria.

Le rivedrai un giorno
schizzare dalla bocca di un compagno
sul campo di calcetto doposcuola.
Saranno trementina in pieno viso –

nonostante le tue vane proteste
ti rimarranno addosso come macchie
resistenti ai colpi di bruschino.
Ancora ti consideri un bambino.

Saranno le parole a ricercarti
le solite, affilate
taglienti nella loro noncuranza
svolazzeranno cupe dentro un bus,

le sentirai per strada, al bar, a scuola
mentre fai la coda allo sportello.
Crescerai con la paura che
lo stiano dicendo proprio a te.

Non sono mai leggere le parole.
Hanno il peso di un corpo adolescente
che si lascia cadere dal balcone.
Finocchio. Frocio. Buco. Culattone.

 

 

Marco Simonelli è nato nel 1979 a Firenze, dove vive. Fra i suoi ultimi lavori in poesia Firenze Mare (in Poesia Contemporanea. Undicesimo Quaderno Italiano , Marcos y Marcos, 2012), l’antologia Poesie d’amore splatter (Sartoria Utopia, 2015), Il pianto dell’aragosta (d’If, 2015) e Le buone maniere (Valigie Rosse, 2018).

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