Dalla prefazione di Franca Alaimo

La poesia di Daìta Martinez sottrae spesso, anche dopo una lettura tenace e ripetuta, il senso pieno delle parole che vengono disposte sul bianco del foglio come oggetti fisici sonanti, ubbidendo esse ad altre regole che a quelle di un’ordinaria sintassi, ad altre esigenze che a quelle di una facile comprensione/afferramento d’intenti. Bisognerà, dunque, e più di una volta, rinunciare a capire e, piuttosto, lasciarsi affascinare (nel suo senso arcaico di ammaliamento meduseo) dalle sonorità e dall’architettura d’insieme dei versi. Una cosa, questa sì, è palese: le parole intrattengono fra loro un rapporto insieme ludico e liturgico, dal momento che, come nella celebrazione dei riti sacri, il senso più profondo cui alludono passa attraverso simboli nei quali si annulla l’ovvietà, la norma; mentre, come in un gioco le cui regole restino altrettanto misteriose, esse trasgrediscono lo spazio, separandosi l’una dall’altra attraverso pause lunghissime, o frantumandosi al loro interno, o colando nel vuoto vocali e consonanti come gocce di latte (se vogliamo tenere conto della radice del termine “nutricare” implicito nel titolo della silloge: nutrica – che, però, è variante dialettale – di mammella che dà latte), o adeguandosi alla composizione tipografica di una “colonna” come sulla pagina di un giornale: una sorta di monolite compatto e però inquietante, come cresciuto per concrezioni successive di sentimenti ed esperienze. […] Tutto questo dà al lettore la sensazione di assistere ad un allestimento scenografico, o a una sorta di moderna installazione: le parole dell’esteriorità, oggetti e personaggi insieme, stanno nello spazio, allestiscono i luoghi: una stanza, un vicolo, una piazza, una bottega; mentre le parole-emozioni (quelle dell’interiorità) si nascondono fra le prime trovando cavità per ripararsi, per leggersi meglio. Le parole si fanno utero, nido, cuna, alludendo al farsi stesso della Poesia, al suo astrarsi dal reale, dapprima attentamente osservato e poi trasceso e poi salvato in un a parte. […] La silloge tutta mima, di fatto, uno stato onirico, in quanto a raccontare non è una memoria ordinata e razionale, ma un flusso emozionale, un’interrotta tensione che vuole ad un tempo svelarsi e nascondere, accumulando simboli, figure, suoni, sovrasensi. […] La “nutrica” (cioè la neonata, ma, etimologicamente, come già detto, la mammella che cola latte), che dà nome a questa silloge, sottolinea, dunque, il rapporto simbiotico fra l’autrice e la sua poesia, ché, mentre la prima, (anche se priva dell’esperienza della maternità, così da potere soltanto guardare, come donna, una culla vuota nella cerniera delle stelle) partorisce, da poeta, i suoi bellissimi versi e li nutre con il latte delle metafore e dei suoni e delle immagini; la seconda, a sua volta, la sostiene e la sazia e la fa crescere nella conoscenza del proprio sé, tentando guarigioni e consolazioni fra nenie simili a quelle della prima infanzia, il significato inabissato, la bella musica che dalla sua bocca di madre si versa nell‟orecchio della poeta – sua creatura.

 

Da Nutrica (LietoColle 2019)

poc’anzi l’attesa
il chiarore corso
giù dai tetti d’un
sonante tremore

;

quest’ora cruda
un via vai le urla
assordate di una
donna c’è vento

;

un filo e un viso
profuma il cielo
la pietà l’angelo
la grotta piccina

*

potrebbe quindi aprirsi il cielo

un istante di vetro azzurro è il
suo carnale accento alla paura
nella soffice alba di un sorriso

orla il sorgere del cuore dopo

il vino bianco la vernice degli
zoccoli la ruggine della sedia
e tutto il resto solo a tarda ora

potrebbe allora aprirsi il tondo
del ventre l’incerto della voce
tornata sull’abisso della chiesa

che serrava il silenzio dal viso

canti circoncisi alla lotta degli
avverbi e l’uomo in mezzo di
nuovo e di scatto questa linea
seguita dal sogno ci mangiava

*

strada d’albicocco
dalle mani s’odora
il silenzio del treno

;

ancora una carezza
e un passo sulla via
le mani pianissimo
sfiorarsi dal sorriso
rosa bianca bianca

;

un silenzio solo
due malinconie
non sai angelo
del fiore che giù
si fa improvviso

*

la contadina affama
il gomitolo nel giorno

una lacrima s’è sfilata
dalla rosa del grembiule

;

il sentiero di campagna
ha dipinto un riccio di spigo
sul collo melagrana dell’alba

è buffo il sorriso che hai
mi nasco nel miraggio timore
una finestra al silenzio s’affronta

*

scrive al cuore
una menzogna
di zucchero ha
coperto il seno

;

ti baloccavo a
nascondino la
mela è caduta
ieri nel pozzo

;

hai detto è tua
la colpa a una
figlia di gesso
snudavi l’orto

 

Daìta Martinez, segnalata e premiata in diversi concorsi è in antologica con Ladolfi, LietoColle, La Vita Felice, Mondadori, Akkuaria, Fusibilialibri, Ursini Edizioni, Cfr Edizioni. Autrice dei testi in video Kalavria 2009. Ha pubblicato dietro l’una (LietoColle 2011), segnalata alla V Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Maria Marino”, e la bottega di via alloro (LietoColle 2013). Ha vinto il primo premio – sezione dialetto – del 7° Concorso Nazionale di Poesia Città di Chiaramonte Gulfi, ed è stata finalista – sezione opere inedite in lingua siciliana – della 44° edizione del Premio Internazionale di Poesia Città di Marineo. Inserita nell’Almanacco di poesia italiana al femminile Secolo Donna 2018, edizioni Macabor, nel 2019 ha pubblicato la finestra dei mirtilli, suite poetica a due voci, stilata insieme al poeta comisano Fernando Lena (Edizioni Salarchi Immagini), e ad aprile dello stesso anno il rumore del latte (Spazio Cultura Edizioni). È vincitrice del Premio Macabor 2019 – sezione silloge inedita di poesia – con pubblicazione ‘a varca di zagara in lingua siciliana.

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