Dall’immagine di copertina di  Eric Isselee

Dalla quarta di copertina

Non è mai troppo tardi per scoprire e conoscere un poeta di valore: Janet Frame lo è e questo volume lo dimostra – anche senza i testi originali a fronte, le traduzioni fanno fede. Chi la conosce già come autore di racconti e romanzi di assoluta precisione e potenza linguistica, specchio di quella conoscenza della psiche e del comportamento umano di cui solo i grandi scrittori sono capaci di dare testimonianza, ne scoprirà qui la voce lirica: cristallina nella sua neozelandesità, coinvolgente nella sua universalità. [Marco Sonzogno]

Estratti dall’introduzione  

Nel 1990 Un angelo alla mia tavola è stato adattato per il grande schermo da Jane Campion e la storia della giovane Janet Frame (l’autobiografia tratta solo la prima metà della sua vita) ha attratto un pubblico internazionale ancora più vasto di quanto non avessero fatto i suoi celebri libri di prosa. In Nuova Zelanda, Frame divenne un’icona molto amata anche da coloro che non avevano mai letto gli scritti che l’avevano resa celebre. Le sue opere, tradotte dall’inizio degli anni ’60 in numerose lingue europee (olandese, francese, tedesco, italiano e spagnolo) hanno poi avuto una diffusione ancora più capillare.
Ma dov’era la poesia? Che ne era stato della poetessa? Una risposta è che la poesia di Frame era “nascosta in bella vista” nelle sue opere di prosa, come fa notare la docente universitaria Gina Mercer: Uno dei confini più inamovibili e invalicabili in letteratura è quello fra prosa e poesia, eppure Janet Frame attraversa ripetutamente questo confine, scrivendo prosa poetica ed includendo interi capitoli di poesia nelle sue ricerche romanzesche. […] Insieme alle poesie disseminate nei romanzi, alcuni dei racconti brevi di Frame possono essere definiti “poesia in prosa”, come il poeta e scrittore neozelandese Bill Manhire ha riconosciuto includendo il racconto A Note on the Russian War (‘Una nota sulla guerra di Russia’) tratto da La laguna e altre storie nella sua antologia 121 New Zealand Poems (2005). Forse questo tipo di attenzione alla natura poetica della prosa di Frame ha contribuito a far passare in secondo piano come lei avesse sempre prodotto anche poesia. Di tanto in tanto pubblicava poesie su rivista, ma confrontate con la sua reputazione di scrittrice di prosa sembra che queste pubblicazioni sporadiche siano state trascurate. È però da notare che ogni volta che Frame parlava in pubblico, cosa che fece molto più di quanto testimonianze disinformate sulla sua vita lascino supporre, recitava quasi sempre molte delle sue poesie, per la gioia dei presenti. […] Nonostante il successo commerciale, Frame non pubblicò mai una seconda raccolta di poesie. Perché no? Credo che le ragioni siano complesse e che non vi sia un’unica risposta. I molteplici fattori includono la necessità di guadagnarsi da vivere, il che significava accondiscendere ai desideri dei suoi agenti ed editori producendo prosa, che era più vendibile. […] Parleranno le tempeste, è la terza edizione di poesie scelte in traduzione a vedere la luce in tre anni. Bisogna essere grati a quei traduttori ed editori che apprezzano il valore dell’immaginazione poetica di Janet Frame e si impegnano a restituire la sua voce unica, le sue intuizioni e osservazioni puntuali, la sua saggezza e la sua empatia, il suo impiego fluido di parole e ritmo, i suoi giochi di parole e le sue allusioni, le sue metafore sorprendenti, il suo umorismo e la sua malizia in una lingua nuova per la gioia di un nuovo pubblico. [Pamela Gordon]

Dalla nota delle traduttrici

Janet Frame è un’autrice nota soprattutto per la prosa e meno per la sua poesia. In particolare – verosimilmente anche per il pubblico italiano – i suoi discussi trascorsi psichiatrici ne hanno quasi irrimediabilmente condizionato la fama e l’analisi dell’opera. Nonostante le distorsioni e le allusioni di parte della critica, non ci è sembrato che Frame assecondasse in alcun modo – a ben guardare gli scritti editi –quell’approfondimento personale da parte di pubblico o critica che spesso si genera attorno ad una personalità letteraria dalla biografia controversa e discussa. Frame, come illustrato anche dall’introduzione della nipote Pamela Gordon, non solo non riteneva che la sua vita privata dovesse ricevere attenzione alcuna, ma era anche piuttosto infastidita dall’accanimento biografico che allontanava l’attenzione dalle opere. Janet Frame era una donna intelligente, sensibile e riservata, il cui unico vero interesse, senza dubbio legittimo, era quello di scrivere e ricevere responsi critici a ciò che aveva scritto, analogamente a ogni altro scrittore mai esistito. Pertanto, che parte della trascurata poesia di Frame possa essere frutto o espressione dell’esperienza del ricovero poco interessa. Quello che salta agli occhi – e che più importa – è invece l’abilità di Frame nel provocare sentimenti presenti e concreti in chi legge: la sua analisi cristallina, il suo talento nel dissezionare i più complessi sentimenti umani, il nascosto, il non detto tanto quanto la sua capacità di trascendere colpa e vergogna nel resoconto delle passioni del mondo. Il lettore della poesia di Frame, sebbene si trovi spesso di fronte a temi complessi e profondi, troverà che la voce dell’autrice rende accessibile in modo estremamente semplice anche il più complesso degli stati d’animo. [Eleonora Bello e Francesca Benocci]

 

da Parleranno le tempeste. Poesie scelte (gabrielecapellieditore 2017), cura e traduzione di Francesca Benocci ed Eleonora Bello

Canto

Provati estate primavera autunno inverno,
datemi il grande freddo per sempre,
ghiaccioli su tetti muri finestre il sogno
marmoreo perpetuo integrale di un mondo e di persone ghiacciati
nella più nera delle notti, così nera da non riuscire a distinguere
il sogno perpetuo integrale marmoreo.

Gli occhi ciechi sono ora padroni di sé.

Un tempo

Un tempo la brezza calda della gente
che filtrava sotto la porta chiusa che mi separava da loro
cambiava la fiamma, influenzava
la forma dell’ombra,
mi bruciava ribruciava dove facevo
tavolette di cera nell’oscurità.

Poi oltre la porta era solo silenzio.
Le gazze ladre tappavano il buco della serratura
attraverso cui rassicuranti becchi di luce avevano pizzicato briciole.
Un inverno che non ho mai conosciuto
ha sigillato le crepe con un male chiamato neve.
Cadeva così pura
dal nulla, in fiocchi accecanti.

Oltre la porta era solo silenzio.
Io indugiavo nel mio rituale solitario.

Effetti personali

Un amo dentro a un portafoglio di plastica strappato,
una vite arrugginita, un folletto della Cornovaglia,
del mio primo libro un volantino spiegazzato,
alti il doppio, o morti, nelle foto di famiglia
i bambini, un orologio d’argento con la cassa rotta
“Resistente agli urti” ma non era l’orologio che il piccolo Levìta
aveva, nell’inno, nella sera silenziosa fatta
di oscuri cortili del tempio e luce sbiadita…

anche se mio padre si chiamava Samuel. Che udito debbo avere,
e perché, mi chiedevo un tempo, per sentire il Verbo?
… un chiodo lucido… la lettera di un nuovo amore,
una spilla ossidata appartenuta a mia madre.
Poi, quasi adescasse dall’ultima marea questo ciarpame infranto,
la bella mosca schiuma-onda da pesca, di mio padre il vanto.

Parleranno le tempeste

Parleranno le tempeste; di loro puoi fidarti.
Sulla sabbia il vento e la marea scrivono
bollettini di sconfitta, gusci imperfetti
presso il memoriale liscio d’alberi d’altura,
alghe, uccello lacero, rasoio affilato, corno d’ariete, conchiglia.

Dacci le notizie dicono gli asceti leggendo
e rileggendo dieci miglia di spiaggia; tra gusci vuoti, guarda,
bruciano nella stampa del sale, storie
d’inondazione: come abbandonai casa e famiglia.
Rasoio: come tagliai la gola alla luce del sole.
Corno d’ariete: come caricai danzando alla luce lanosa del sole.
Conchiglia: come la mia vita salpò su un’oscura marea.

 

Janet Frame (Dunedin 1924–2004) è stata una tra le più importanti scrittrici neozelandesi. Candidata due volte al premio Nobel, l’ultima nel 2003, è soprattutto nota per il film di Jane Campion Un angelo alla mia tavola tratto dalla biografia omonima. Nata in una famiglia indigente, riesce a diplomarsi come insegnante ma è successivamente bollata come non “normale” e non idonea all’insegnamento. Diagnosticata schizofrenica, viene internata per otto anni in manicomio dove è sottoposta a 200 elettro-shock e minacciata di lobotomia. A darle forza e libertà sarà la scrittura e i riconoscimenti che il mondo letterario inizia a tributarle arrivando a essere tradotta in tutto il mondo. Non così per le sue poesie, amatissime ma raramente tradotte. Oltre a Un angelo alla mia tavola, sono stati pubblicati in italiano i romanzi Gridano i gufiVolti nell’acqua e Verso un’altra estate. Parleranno le tempeste è la prima raccolta di poesia tradotte in italiano.

Francesca Benocci è nata a Sinalunga, in provincia di Siena, il 17 maggio 1985. Dopo infinite peripezie geografiche e un corso di studi in medicina messo prematuramente da parte, approda alla facoltà di Lettere e Filosofia di Siena. Si iscrive al corso di laurea in “Lingue, letterature e culture straniere” laureandosi nel 2010 in inglese e russo. Scrive una tesi che ha come oggetto la “comparazione” tra due traduzioni italiane di uno stesso testo in inglese. Ha completato, sempre presso l’Università di Siena, un master in traduzione ed editing di testi letterari e ha iniziato un dottorato in Translation Studies alla Victoria University of Wellington, in Nuova Zelanda.

Eleonora Bello (1985) ha conseguito  una laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l’Università degli Studi di Milano, dove ottiene anche il Master di primo livello PROMOITALS (Didattica dell’Italiano come lingua seconda e straniera). Successivamente ottiene il Master di secondo livello all’Université de Franche-Comté (Besançon, Francia) in Letteratura e Cultura Italiana. Ha insegnato italiano come lingua straniera a Milano, Città del Messico e Besançon.

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