Dalla nota di Amedeo Anelli

Non saranno questi versi della Macadan una versione contemporanea delle lacrimae rerum, le lacrime delle cose? In un passo dell’Eneide Virgilio asserisce «sono le lacrime delle cose e le cose mortali toccano i cuori». In un mondo frantumato, nello specchio infranto del sentire e del senso, nell’impossibilità di abitare il “romanzo quotidiano”, in un disagio carnalmente vissuto e nell’interrogazione amorosa del senso, cosa rimane? Con strutture complesse ricche di intonazioni, che fanno deflagrare più ambiti linguistici ed esperienze culturali, con improvvisi scarti intonativi e “virate del respiro”, in una intensa tessitura la Macadan mette in essere l’ordito e la trama delle articolazioni fra l’io e il tu, fra l’io e l’altro, e ciò che rimane di un orizzonte storico brutalmente esploso e ampiamente dissignificato e dissignificante. È un’epopea ricca, questa della Macadan, in cui una quotidianità mai banale dialoga con i grandi temi del consistere, in una ricerca sempre insoddisfatta di perfettibilità: forse l’unica dimensione che ci rimane in tempi di basso impero. Questi pianti sommessi, nel perenne considerare e nel rilancio comunicativo, aprono continuamente nuove possibilità sulle cose morte e su ciò che ha limite, la dura esperienza dell’imparare il transito dalla difficoltà all’opportunità.

Da Pianti piano (Passigli, 2019)

la nebbia
mi appoggia
al nickel dell’attesa
nuvole scese fino
alle ginocchia
capelli bagnati
si uniscono alle ciglia
la vista si ritira in sé
le labbra pulsano frantumi
di parole santificate
nei papiri estinti
arte monumentale la
città inghiottita dai detriti
non arrivano dallo spazio
che i segnali da noi
mandati
non scegliamo
che le bugie da dire

*

scivola il paesaggio
spacca il faro
sinistro ghiaccio
del mio cuore non scioglie
i nodi
della caduta i primordi
ripetono
la luce ad infinitum
i peccati li voglio tutti
solo per me
Tu libera le energie
inciampate a monte scegli
con cura l’obiettivo
e lasciati scelto dalla prima
mano tesa in fuga
la luce è uno stato di
confine dove una voglia
estranea ti fa rimanere
di troppo il nemico
con te

*

quelli che amo sono sparsi
per il mondo
tra paesini e metropoli
intorno a me questa domenica
mi soffoca con la bava
dell’attesa
il tuo amico dice bene che dobbiamo
fare una grande famiglia per essere
tutti insieme ma ricordo Sartre
con l’inferno degli altri
che mi abitano di continuo come
se volessero annientarmi
le ore si contano da sole gocciolano
sul mio dolore accucciato
in margine al letto svuotato da tempo
una fitta nell’anima
mi avvoltola nel mio passato
e con la prima sigaretta del mattino
vedo il nostro film buttato
con tatto alla fine del libro
appendice o apocalisse

*

i miei incubi
sono dei lunedì
sopra Hiroshima
quando trema la terra
di notte so che Dio
mi dondola senza di te

nei cortili dei monasteri
colgo misteri soffoco desideri
fioriscono litanie ovunque
dal cielo una luna diurna
scivola piano nel dunque
di un verso terre ignote
con tanta vita quanta morte
crescono ali ai cavalli dell’infanzia
ma non trovo più la sella per cavalcare
gli anni

lasciami qui troverò nomi
nuovi agli arcangeli
preparerò un esercito
in preghiera aspetterò l’apertura
della frontiera

*

Dio sta sistemando un’altra volta
i poli magnetici
le comunità scientifiche sono preoccupate
un sorriso informe s’intrufola
nel ricordo che mando in stampa
trema il sole un po’ nero
il vento di maggio canticchia
strofe gregoriane tra sofia e teodora
oggi i preti sono allegri
nel palmo mi pulsano i punti cardinali
l’erba invade l’argilla
nella stanza calante

 

Eliza Macadan (1967) vive a Bucarest e scrive in romeno, francese e soprattutto in italiano. Le sue raccolte di poesia hanno ricevuto vari riconoscimenti in Romania, Francia e Italia (Premio Leon Gabriel Gros 2014 per Au Nord de la Parole e Anestesia delle nevi finalista dei premi Camaiore e Fabriano 2015). Le raccolte italiane sono: Frammenti di spazio austero (2001, 2018), Paradiso riassunto (2012), Il cane borghese (2013), Anestesia delle nevi (2015), Passi passati (2016), Pioggia lontano (Archinto 2017), Zamalek, solo andata (Terra d’Ulivi 2018).

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