La poesia è essenziale?!

Per la redazione di Poesiadelnostrotempo la poesia lo è – non saremmo qui a postare recensioni e report tutte le settimane. I poeti e i critici potrebbero affermarlo senza discorsi ampi e profondi, o un editore in una scheda di un libro in promozione che vende cinquantamila copie, ma non è un argomento scontato.
Molti considerano essenziale la pace, ma accade esattamente il contrario.
Quali sono le azioni che generano la pace e come si mantiene?
Perdonare, concedere un dono.
… ma su queste sabbie d’agosto sembrano correre le orde di lupi come in una poesia di Rimbaud “sull’antica Europa” scritta centocinquanta anni fa. Forse riesce a consolare nella sua straordinarietà quel viaggio verso Itaca ancora più antico – e di mari ne ha solcati Odisseo a causa dell’antefatto, la decennale guerra contro Ilio.
La strada verso la poesia è lunga, non è semplice o semplificabile, è piena di ostacoli, più terrena di quanto si possa pensare, connaturata agli interrogativi e ai sentimenti umani. Ma gli esseri umani, che vivono la stessa vita dei poeti, che fanno?
Non vivono le stesse banalità e quotidianità dei poeti, o il cielo della stessa storia dove nasce il moto proprio, il tentativo della voce che si dona in un segno?
L’atto che genera la poesia è un dono verso se stessi, ma è importante comprendere come si trasmette, così diventano indispensabili tutti gli individui che, eroicamente, considerano la poesia della vita, il mistero legato all’esistenza, oltre la straordinaria presunzione di una scrittura nelle finte epiche contemporanee.
Proviamo a unire i puntini e a sostenere per una volta gli argomenti utilizzati dai poeti con la vita e la poesia degli individui di questa società. Le azioni che ci aspetteremmo dagli attori in gioco – i poeti stessi, i critici, gli editori e tutte le strutture culturali del paese – per questa cessione, per questo concedere un dono, perché non vanno oltre le semplificazioni, verso la progressione di conoscenza sensibile che è poesia?

La parola essenziale non è un valore, se concretamente nessuno fa qualcosa di significativo, se non si agisce culturalmente per realizzare la poesia nella realtà, o la pace… Declinata sul piano commerciale o della comunicazione, promuovendo un libro, pare un trionfalismo vacuo. Le donne e gli uomini di questa società vivono qualcosa di completamente diverso, e non sempre c’è la stessa consapevolezza nell’ambiente variegato della poesia italiana, non si uniscono i puntini che sono pure disegnati piuttosto grossi, e continuamente lo ricordiamo negli editoriali, nei report su premi o sui titoli più venduti dagli editori.
Come rendere disponibile la poesia? Come rilanciare la poesia nelle scuole? Come implementare la pratica della lettura e l’interpretazione? Come aiutare gli editori meritevoli? Che azione realizzare nei confronti delle librerie? La Repubblica Italiana in che modo aiuta la poesia contemporanea e i poeti?
Abituate al troppo rumore, le nostre orecchie continuano a sentire silenzi, nessuna presa di posizione, e si guarda da un’altra parte, e c’è chi sostiene che la poesia sia sempre più essenziale, ma come oggetto mitico o nell’era dei consumi e delle chiacchere roba da spiaggia!
Perché no, oggetto mitico, gingillo astrale, e poi non siamo mica all’Accademia di Svezia, dove magari ironicamente parlare di poesia come prodotto inutile, ma quasi mai nocivo… Va benissimo il successo delle “antologie”, anche se le copie vendute non arricchiranno Kavafis.
Tutto questo però ci ha lasciato un po’ di amaro in bocca, un brulichio in pancia, una soave emicrania, perché trasformare la divulgazione della poesia in un prodotto di mercato senza apparati critici e punti di riferimento ci uniforma culturalmente.

Tutti possono leggere le poesie delle “antologie” da spiaggia e da divano, ci informano i grandi editori. Grazie, ma questo equivale a dire che cosa, che le opere da cui provengono le poesie sono criptiche invece, che c’è una moltitudine di gente incapace di interpretare e che ha bisogno di una semplificazione? Leggendo Ossi di seppia o Allegria di naufragi ci sentiamo meno spiaggiati?
Scusate l’ironia e, nuovamente, il parallelismo con la pace, ma sotto gli ombrelloni ce n’è poca quest’anno, e pensieri e preghiere vanno in altre direzioni, non verso i beach party.
Come consiglio, abbiamo scelto una serie di libri usciti nell’ultimo anno. I redattori hanno mandato delle schede – belle, difficili, buone, brutte, ottocentesche, misteriose, indeclinabili, pazienterete, non è il pacchetto turistico completo, solo note di lettura, non un’antologia e la spiaggia nella foto di copertina è quasi vuota.
Bisognerà indagare il senso delle opere, ordinandole, scommettendo sulla propria intuizione, toccherà essenzialmente complicarsi la vita, ma crediamo che serva più serio impegno e riflessione sulla realtà che ci circonda e sui tempi che stiamo vivendo.

Poesie da ultima spiaggia

Verso la ruggine di Prisca Agustoni (Interlinea Edizioni 2022) è un’opera dedicata all’ambiente, che racconta di un immane disastro ecologico, causa di morte per centinaia di persone e di danni irreversibili all’ecosistema brasiliano, il crollo di una diga nello stato di Minas Gerais, il cui contenuto tossico va a riversarsi nel fiume Rio Doce, devastandolo. Attraverso una scrittura in versi potente e nitida, ricca di sfumature lessicali, l’autrice dà voce alla popolazione locale inerme, i Krenak, che hanno perso la vita e la terra in cui abitavano da generazioni. Il libro affronta un tema centrale della nostra contemporaneità, la catastrofe ambientale che in nome del profitto si declina di volta in volta in eventi distruttivi, segnando in maniera spesso irreparabile porzioni del pianeta, uccidendo animali e esseri umani. Le vittime principali sono spesso i soggetti più fragili, come gli indigeni Krenak, a cui non a caso queste poesie restituiscono dignità e importanza, ponendoli al centro di una scena apocalittica, descritta con immagini iconiche e indimenticabili, non solo per descriverne il dolore, ma anche e soprattutto per accoglierlo e farlo proprio.
(Silvia Rosa)

L’esistenza umana fa parte dell’ecosistema etico di un universo creaturale che ne conosce la forma e ne svela l’essenza (singola e plurima) nell’assenza. Le campane di Silvia Bre (Einaudi 2022) muove a partire dall’impermanenza del suono che abita il vuoto dell’origine come “preistoria acustica della poesia”: “corpi adorati tradotti/dall’udito, tutto un cielo/ammanettato in gola”. L’individuo entra a far parte del paesaggio attraverso “la lingua del buio” ma “senza mai dirla”, e sperimenta la propria resistenza ontologica nell’imminenza della percezione d’assoluto che risiede in ogni frammento di realtà.
(Gisella Blanco)

Fuochi Fatui (Oédipus 2021) di Enzo Campi è un’opera suddivisa in tre sezioni in cui le parole si declinano sulla pagina in maniere diverse in nome del principio reiterativo di un montaggio disalternato, sullo sfondo concettuale della suggestione drammatica del Faust di Goethe: seguendo il fuoco fatuo che guida Faust e Mefistofele a entrare nella dimora del sogno, si spalanca l’impero di una forma laddove l’ab-uso della parola coincide con la messa in scena di un sé ab-usato come trionfo del nesso significante/significato.
(Sonia Caporossi)

Si dice spesso che la poesia sia testimonianza ed esperienza. In questa diade rientra perfettamente album (nottetempo 2021) di Elisa Donzelli. Il titolo suggerisce esplicitamente l’intento dell’opera: una raccolta di volti, figure e immagini. In una parola: memorie, come esplicitato nella poesia che apre il volume. Ricordi che rischiano di essere perduti con l’avanzare degli anni. Urgente quindi una scrittura che tenga conto di cambiamenti e persistenze. In uno dei testi, l’autrice parte da un caso di cronaca italiana. Si tratta di viale della Minerva. Per Marta Russo. Il pretesto della poesia sono gli spazi del campus romano dove ebbe luogo l’uccisione della studentessa ventiduenne. Spazi che sembrano intrisi da un senso del pericolo, dalla persistenza di un atto violento, illogico e fine a sé stesso, che potrebbe ripetersi in altre forme. Luogo violato e ricordo doveroso (“Per giorni sei stata in quel tratto di strada / compagna di passo evanescente”) in un raro caso di compenetrazione tra cronaca e poesia che non sfocia nell’instapoetry. Nel caso di album, la parola poetica spazia tra i luoghi, coinvolge la persona scomparsa, l’oltraggio che ha subito. Rende infine conto del significato generale che il fatto di cronaca ha comportato, non solo per chi scrive ma per le persone disposte ad ascoltare.
(Adriano Cataldo)

Monica Guerra in Entro fuori le mura (Arcipelago Itaca 2021) conduce la parola in uno sterrato, ricco di ostacoli, che non fa mistero dell’assedio del reale: tra vuoti di senso, inautenticità delle relazioni ed estenuazione del soggetto, il portamento di ognuno oscilla tra satura freddezza e nevrosi, mentre paesaggi stranieri al cuore sembrano raggrumare intorno a un individuo trincerato in desolazione e in ostinata alterità. Ma i territori di esistenza, attraversata la poesia, e ritratti in frammenti lirico-narrativi, finiscono per mostrarsi per quello che sono: circoscrizioni dolorose di un io ferito dall’esistenza, che si pretende fortificato perché consapevole di essere, per sua debolezza di visione, smarginato in essere. Riposto ogni spavento del dire, l’opera ridefinisce con ritmica e imaginale precisione la vera separazione ontologica dell’individuo senziente dalle cose, e indica una via d’approdo che lo ipotizzi libero e assolto, nel chiamare a sé un vuoto ospitale, non più subìto ma evocato; una postura nuova che permetta, pure nell’insufficienza e nella costitutiva imperfezione, di abitare la realtà esterna con rinnovata flessibilità e consapevolezza.
(Isabella Bignozzi)

Paolo Maccari, Quaderno delle presenze (Le Lettere 2022). L’ambientazione è quella toscana, per lo più la Val d’Elsa, luogo di formazione ed educazione sentimentale del poeta. I protagonisti sono le voci, i volti, le presenze umane e animali che ostinatamente abitano – ed agitano – la memoria, con tutte le loro storture. La poesia sa coglierne il dettaglio, l’ombra, quella nota disforme che fissa nella mente l’unicità di una persona, di una situazione, di un gesto. Ma soprattutto nel verso vibra quella ricerca di autenticità, il tentativo di toccare con mano, anche tremante, l’altro nella sua umana (e disumana) essenza, spesso trasfigurata, non compresa o non accettata. Così, come spettatori di un film che smuove rabbia e tenerezza, sfogliamo il Quaderno delle presenze, giungendo ai titoli di coda con lo straordinario componimento intitolato Cinema-vita.
(Rossella Renzi)

Le attese (Vydia editore 2021) è un libro di Giuseppe Nava: attesa di ciò che si desidera, attesa di ciò che deve accadere, attesa del cambiamento e, infine, attesa dell’ineluttabile, la morte. Un tema, dunque, urgente sempre: e proprio per questo classico, perché connaturato a ogni vicenda umana. Ma il pregio del libro risiede anche all’efficacia del linguaggio, perfettamente inerente al tema: in grado di farsi epico e metaforico, scampando però sempre al rischio dell’astrazione, radicato com’è a un presente concretissimo. Centrale nel tema dell’attesa campeggia la categoria del tempo che muta irrevocabilmente la vita e i destini, individuali e collettivi.
(Alessandra Giappi)

Movimento e stasi (Industria&Letteratura 2021) di Massimo Palma è un libro intenso, pensato, fortemente inquieto, fatto di movimenti rallentati, accelerazioni improvvise, di fermo immagine che cercano pace nel gioco d’ombra di accadimenti politici arrivati ai ferri corti con il tempo e con il nostro privato. Sottotraccia – non a caso è sua la citazione in apertura – si percepisce un’affinità con la poetica di Franco Fortini in particolare per l’attenzione al tema dei rapporti tra poesia e realtà.
Nel verso la terra vuotata che siamo diventati dopo si coglie uno dei nodi del libro e dell’idea di progetto che lo ha generato: la volontà di descrizione in atto della storia. Movimento e stasi racchiude immagini potenti che rimbombano nel sottofondo costante di sirene ed eliche, da cui emerge, riemerge costantemente il suono, la parola, il verso capace di mostrare il senso di spaesamento che ci rappresenta. Oggi, queste sonorità ci riportano non solo a cosa è accaduto a Genova vent’anni fa, ma ci fanno risuonare il fragore delle molte guerre, piccole e grandi, che si muovono attraversando i nostri presenti.
(Fabrizio Lombardo)

Il libro d’esordio di Angelo Restaino, Contrada dello Zodiaco (Fallone editore 2021), è una raffinata miscela che sa dosare bene la grandeur di paesaggi di tradizione italiana, ronzanti di luce calda e mare e popolati da muse «che più che muse son sirene», e la delineazione precisa di una soave cartografia dell’anima. Vera e propria perla è l’ultima sezione che dà il titolo al libro, Zodiaco, in cui ogni componimento prende il nome latino di una costellazione: in essa il poeta, così come facevano gli astronomi antichi e moderni, lega insieme punti distantissimi tra loro per conferire senso e significato alle configurazioni astrali (cf. la recensione di Pierluigi Lanfranchi su La Balena Bianca). Imperdibile la poesia Cervus, l’epifania di un cervo al crepuscolo.
(Claudia Mirrione)

“Ogni mimesi è miserabile/ come la natura vasta delle Indie/ o i campi sterminati di boschi/ che tu vedi dall’alto entrando/ in un folto di luci che s’abbagliano/ e s’oscurano”. Da qui leggere Cavallucci marini (Il labirinto 2022) di Gino Scartaghiande, Somnium Scipionis che nell’alto vola sopra i campi arati o l’Aurelia, Pontecagnano o il quartiere di San Lorenzo, in un moto che sempre cade e di nuovo salva, incessantemente. Spegne quando, nella fragilità, afferra gli ultimi chiarori di un riflesso che non è che tale. Quando chiede ancora una necessità che un io non debba da solo volere, ma possa condurre a qualche risposta che spieghi, che si mostri e non crolli. Riaccende invece con chiarezza quando nei versi torna la consapevolezza del fatto che non si è mai vissuti per questa vuota certezza che consola dell’ombra il suo non essere ancora un corpo e di un corpo il suo non cogliersi termine di un gesto. Quando l’io si costringe a una domanda che sa volere, prima di affievolire nella nostalgia di qualcosa o ricordando. Allora, ecco, il terzo momento: trasformare è dire nel proprio nome la tenerezza di avere un nome. In questo, dunque, poter fare (questa volta nella vita) di ogni sillaba o incastro di suoni la promessa che altre persone già hanno compiuto, semplicemente scegliendo o essendo capaci di lasciare ogni viso e cosa amata. Loro, però, ancora non sapendo e non potendo capire.
(Carlo Selan)

Alfred Tennyson, In memoriam e altre poesie (Mondadori 2022). Mancava da decenni un’antologia abbastanza comprensiva dell’opera di questo grandissimo poeta inglese, vi si trova tutto il poema elegiaco In Memoriam, stralci di molti dei poemi narrativi e monologhi drammatici, chi conosce l’inglese può apprezzare la musicalità, la varietà di ritmi e metri, ma anche l’originalità di alcune scelte traduttive. Non c’è in fin dei conti ragione per non stare come il suo Ulysses, vecchio, sull’ultima spiaggia, guardando il mare e gettandosi nell’alto viaggio della poesia: «some work of noble note may yet be done».
(Luca Mozzachiodi)

Mary Barbara Tolusso con Apolide (Mondadori 2022) propone un testo articolato in sei sezioni dove dialoghi e riflessioni si intersecano con la quotidianità. Sullo sfondo emerge la storia, dalle guerre civili romane alla globalizzazione: nell’elaborazione del tempo, attraverso diversi scenari, dai tramonti e dai palazzi di una finis terrae occidentale, i destini individuali e collettivi vengono condotti a una visione dell’essenziale, in attesa che qualcuno “calpesti / l’eternità con la punta delle dita”.
L’umanità è vista all’interno di un vasto corpo strappato alla “coesione naturale”, reso “liquido” dagli eventi e dalla “consistenza / elementare della fine”, ma la dolcezza è proprio l’intelligenza che considera ciò che è difficile nominare, dipingendo come nei sogni e svelando le illusioni tra spazi apparentemente fuori dalla scena, ma “sillabari aperti” delle nostre esistenze.
(Christian Sinicco)

(Visited 755 times, 1 visits today)